Testo dei motivi del ricorso al TAR Lazio proposto dal Coordinamento AER – ANTI – CORALLO per l’annullamento del Regolamento per il rilascio delle concessioni per la radiodiffusione televisiva privata su frequenze terrestri (Deliberazione n.78/98 della Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni)

TESTO DEI MOTIVI DEL RICORSO AL TAR LAZIO PROPOSTO DAL COORDINAMENTO AER – ANTI – CORALLO PER L’ANNULLAMENTO DEL REGOLAMENTO PER IL RILASCIO DELLE CONCESSIONI PER LA RADIODIFFUSIONE TELEVISIVA PRIVATA SU FREQUENZE TERRESTRI (DELIBERAZIONE N.78/98 DELLA AUTORITÀ PER LE GARANZIE NELLE COMUNICAZIONI).

Successivamente all’emanazione del piano di assegnazione delle frequenze per la radiodiffusione televisiva di cui alla deliberazione n. 68/98 dell’Autorità (già impugnato avanti il TAR Lazio dagli odierni ricorrenti) quest’ultima ha emanato (con deliberazione n. 78/98 impugnata con il presente ricorso) il regolamento per il rilascio delle nuove concessioni televisive sulla base del suddetto piano. Al riguardo appaiono preliminarmente opportune alcune considerazioni relative ai compiti dell’Autorità, all’oggetto della deliberazione impugnata, alle norme di riferimento ed ai problemi connessi all’assestamento del sistema delle radiodiffusioni, pur tralasciando ogni considerazione relativa alla costituzionalità di tale organismo al quale sono attribuiti confusamente poteri amministrativi e di controllo oltreché sanzionatori.

Va però subito osservato che l’Autorità non ha pienamente assolto ai suoi compiti, che non possono limitarsi alla semplice applicazione delle norme della legge del 1997, tanto più quando si prospettano situazioni, preesistenti o nel frattempo maturatesi, di conflitto con principi costituzionali, con situazioni di fatto e criteri tecnici che rendono probabile, o addirittura certo, che l’applicazione delle norme emanate nel 1997, rischiano di provocare situazioni di conflitto tra le norme del regolamento, la situazione di fatto e le nuove disposizioni previste dal disegno di legge n.1138, all’esame del Parlamento che prevede il rilascio, alle televisioni locali, di licenze ed autorizzazioni piuttosto che le incostituzionali concessioni. Una situazione questa che, anche a prescindere dall’approvazione del ricordato disegno di legge, unitamente a molte altre, vizia irrimediabilmente la deliberazione che si impugna. Molte questioni invero sono conseguenti agli aspetti di illegittimità che caratterizzano la legge n. 249/97 e le altre leggi alle quali fa riferimento il provvedimento impugnato. Il regolamento vorrebbe essere, sul piano tecnico giuridico, di esecuzione della disciplina delle radiodiffusioni televisive in applicazione del c.d. piano di assegnazione di cui alla delibera n. 68/98, pur essa impugnata. L’aspetto paradossale di tutta questa vicenda è dato dalla mancata considerazione da parte dell’Autorità per le garanzie nelle telecomunicazioni, dalle denuncie, fatte dalle Associazioni, relativa agli inconvenienti che comporterà l’applicazione del regolamento; per scongiurarli l’Autorità avrebbe dovuto sottoporre al Ministero e al Parlamento il quadro della situazione e delle conseguenze derivanti, sul piano tecnico, dal regolamento basato sul piano delle c.d. frequenze, nonché più in generale sull’assetto del sistema, anche nella ragionevole previsione del rivoluzionario avvento del digitale che si aggiungerà ai mutamenti della struttura del sistema prospettati dal d..l. n. 1138. Andava prospettata al Governo, anche in relazione a quanto prevede l’art. 1, comma 6 lettera c della legge 249/97, l’opportunità di un urgente intervento legislativo, reso necessario non fosse altro per l’inadeguatezza dei termini previsti per i singoli adempimenti, termini che erano stati assunti con riferimento a situazioni che nel frattempo sono mutate e che, in molti casi, sono comunque di impossibile osservanza o tali da imporre una sproporzionata, artificiosa, lievitazione dei costi necessari per la precipitosa realizzazione di impianti, ecc. L’Autorità doveva e deve farsi carico di prospettare pericoli ed inconvenienti (tanto più quando sono facilmente prevedibili, oltreché denunciati dagli operatori) suggerendo anche gli opportuni rimedi.

In questo quadro, la pretesa dell’Autorità di risolvere, nel volgere di pochissimi mesi (il regolamento concernente l’organizzazione ed il funzionamento dell’Autorità è stato approvato il 16 giugno 1998 !), ciò che non era stato possibile in quasi otto anni, si è dimostrata irragionevole e produttrice di ingiustificabili danni con le conseguenti inevitabili impugnazioni. L’omissione poi, nel regolamento di disposizioni per regolare la possibilità di collegare le trasmissioni mediante satellite con quelle via cavo, o con frequenze terrestri, la mancata previsione di modalità per la realizzazione degli impianti di trasferimento del segnale, di collegamento con studi mobili, ecc. ecc.; sono tutte carenze che lo inficiano ed alle quali occorre porre pronto rimedio se non si vuole compromettere ogni possibilità di dare un assetto accettabile al sistema, particolarmente per quanto riguarda il fondamentale riparto locale. Un punto poi sembra indiscutibile: l’Autorità non può trascurare le possibilità di realizzare il più ampio pluralismo, evitando che soggetti interessati possano essere esclusi dall’esercizio del diritto di cui all’art. 21 della Costituzione; ed altri possano esercitarlo con pluralità di mezzi tecnici (come le radiofrequenze che vengono indebitamente sottratte alle televisioni locali) omissioni che giustificano, di per sé, l’annullamento del provvedimento, tanto più se le frequenze sottratte all’esercizio del diritto ex art. 21 vengono destinate all’esercizio del diritto ex art. 41 della Costituzione.

Si rende pertanto necessaria l’impugnazione del provvedimento che viene proposta col presente atto per i seguenti

MOTIVI

1) VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 3, COMMI 2 E 3 E DELL’ART. 1, COMMA 6, LETT. C) N. 5 DELLA LEGGE 249/92

Il Regolamento impugnato è stato adottato senza :

– che sia stato completato (contrariamente a quanto previsto dall’art. 1, comma 2 della legge 249/97) il processo di pianificazione televisiva attraverso l’adozione della cosiddetta pianificazione di secondo livello ;

– che sia stato emanato il piano di assegnazione delle frequenze radiofoniche ;

– che siano state contestualmente definite (contrariamente a quanto previsto dall’art. 3, comma 3 della legge 249/97) le regole per il rilascio delle concessioni radiofoniche ;

– che siano state previste (contrariamente a quanto previsto dall’art. 3 comma 3, lettera B n. 3 della legge 249/97) norme specifiche per l’emittenza locale in materia di pubblicità, sponsorizzazioni e televendite (al contrario sono state previste norme per le televendite delle emittenti nazionali in contrasto con la legge 483/92) ;

– che sia stata prevista la misura dei canoni concessori (come previsto dall’art. 1, comma 6, lettera C n. 5 della legge 249/97).

2) ILLEGITTIMITA’ DEL REGOLAMENTO DERIVATA DALLA ILLEGITTIMITA’ DEL PIANO DELL’ASSEGNAZIONE DELLE FREQUENZE

Gli odierni ricorrenti hanno già impugnato avanti questo TAR il Piano Nazionale di assegnazione delle frequenze sotto molteplici profili. Si richiamano sul punto i motivi già esposti nel relativo ricorso, che si riflettono anche sull’impugnato Regolamento.

3) VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 2 e 21 DELLA COSTITUZIONE. ILLEGITTIMITA’ DELL’ART. 3 DELLA LEGGE n. 249/97 E DEL’ART. 6, CO. 3 DELL’ALL. 1 ALLA DELIBERA n. 78/98

Nella sentenza n.202 del 1976, la Corte costituzionale ha precisato, ai punti 5 ed 8 in particolare, che l’art. 21 della Costituzione riconosce un diritto soggettivo perfetto di radiodiffusione, la cui inviolabilità è garantita dall’art. 2 della Costituzione, la cui rilevanza è riaffermata dall’art. 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (legge 4.8.1955 n. 848). Diritto peraltro che era già riconosciuto, ai soggetti privati, dalla legge n. 1352 del 1928 in materia di radiodiffusione di esecuzioni musicali e poi dalla legge n. 633/41, “in ragione della natura e dei fini della radiodiffusione”, come spiega l’art. 51.

Diritto soggettivo perfetto del quale non può essere impedita la titolarità e l’esercizio a persone fisiche; anzi, costituzionalmente sono proprio le persone fisiche a vantare una prevalenza in proposito. Il regolamento impugnato, prevedendo, conformemente all’art. 3 della legge n. 249/97 che la concessione può essere richiesta “esclusivamente” da società di capitali: si pone in aperto contrasto con le norme ed i principi costituzionali, sotto due distinti profili: il primo concerne la previsione di concessioni quando invece, trattandosi di disciplinare un diritto soggettivo appare costituzionale il regime di autorizzazioni, come previsto dalla sent. n. 202/76 della Corte costituzionale; per il secondo profilo l’incostituzionalità appare manifesta per il contrasto che vengono esclusi dalla previsione proprio le persone fisiche che sono i naturali titolari del diritto di cui all’art. 21 della Costituzione.

Il diritto di radiodiffusione del resto trae il suo fondamento dalla libertà di manifestazione del pensiero, intesa in senso lato, dalla quale ha tratto origine e consolidamento la stessa libertà di stampa; ma oggi il diritto di radiodiffusione ha acquistato sicuramente una maggiore rilevanza rispetto a quello di stampa:

La Corte costituzionale, non a caso, ha assunto proprio questo soggettivo diritto dell’uomo quale presupposto per la dichiarazione di illegittimità della riserva allo Stato delle radiodiffusioni; nelle successive sentenze poi la Corte costituzionale ha precisato che l’art. 41 (neppure menzionato nella sent. 202/76), cioè la libertà di iniziativa economica, deve pur sempre essere subordinata e connessa all’esercizio del ricordato diritto soggettivo dell’art. 21. Vero che per quanto riguarda l’esercizio del diritto di radiodiffusione occorre utilizzare le radiofrequenze che sono (fino ad oggi) disponibili in misura più limitata rispetto alla carta (ma con l’attuazione delle trasmissioni in digitale la disponibilità sarà di gran lunga superiore alle concrete esigenze) per cui é opportuno regolamentarne l’utilizzazione, ma ciò non giustifica minimamente provvedimenti che ne limitino l’uso così da rendere impossibile o anche solo difficile l’esplicarsi di quel pluralismo che è prescritto dall’art. 21 della Costituzione (questo postula l’universalità “tutti hanno diritto…”, dal quale principio consegue appunto il corollario del pluralismo). La posizione soggettiva dell’esercente la radiodiffusione è stata riconosciuta anche dalla Cassazione, Sez. III, con la sentenza n. 7418 del 16.2.1983. La manifestazione del pensiero, la libertà d’espressione e d’informazione, è riconosciuta e garantita come diritto inviolabile dell’individuo, esercitabile anche con la radiodiffusione, oltreché dalla nostra Costituzione, dalla ricordata .Convezione europea.

Purtroppo l’azione amministrativa ed i provvedimenti legislativi non si sono ispirati ai principi dell’art. 21 della Costituzione ed hanno dato prevalente importanza a quelli dell’art. 41 e questo incostituzionale orientamento caratterizza anche la legge n. 249 del 1997. Così è data prevalenza agli aspetti economici, del capitale piuttosto che degli impianti, delle attrezzature, e del concreto esercizio del diritto dell’art. 21. La pretesa che l’utilizzazione delle radiofrequenze (che sono una risorsa naturale della quale nessuno, neppure lo Stato, può vantare la proprietà), in particolare quelle che, per la loro natura e caratteristica (propagazione terrestre in vista ottica), sono naturalmente destinate alle trasmissioni in ambiti delimitati, comunemente detti. locale, possano esser negate alle televisioni locali per destinarle alle reti nazionali viola l’art. 21 della Costituzione.

4) VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 3 E 21 DELLA COSTITUZIONE. ILLEGITTIMITA’ DELL’ART. 3 b 5 DELLA L. 249/97

La sent. n. 202/76 ha riconosciuto la prevalenza, quanto all’utilizzazione delle radiofrequenze c.d. terrestri, alle radiotelevisioni operanti in ambito locale. Questa previsione trova nuova e più rilevante conferma nel fatto che le reti nazionali possono pur sempre, ed in parte già lo fanno, utilizzare quelle radiofrequenza da satellite che sono poi loro congeniali quanto non lo sono quelle c.d. terrestri appena ricordate.

Queste infatti, stante al loro propagazione limitata alla linea dell’orizzonte, sono naturalmente destinate a trasmissioni su scala limitata, locale.

Il sospetto di incostituzionalità della legge n. 249/97 nella parte che prevede per le televisioni locali solo “un terzo dei canali irradiabili per ogni bacino di utenza” (art. 2, n. 6, lettera e) appare più che fondato alla luce degli artt. 3 e 21 della Costituzione e della sent. n. 202/76 della Corte costituzionale, imponendo la necessità di rimettere gli atti alla Corte di legittimità delle leggi.

5) OMESSA INDICAZIONE DEL NUMERO DELLE TELEVISIONI LOCALI. VIOLAZIONE DELL’ART. 2, co. 6 DELLA LEGGE 249/97

Altro motivo di illegittimità è la violazione dell’art. 2, n. 6, e della legge n. 249/97. Il c.d. piano delle frequenze e conseguentemente il regolamento, non prevedono il numero delle televisioni locali alle quali vanno attribuite le necessarie radiofrequenze per l’esercizio del diritto di radiodiffusione, ciò quando invece per le reti nazionali ne predetermina il numero. Così il regolamento non si è preoccupato delle esigenze dell’emittenza locale considerandola come residuale ed attuabile solo una volta soddisfatte le esigenze delle reti nazionali, quando invece avrebbero dovuto, quantomeno essere soddisfatte prioritariamente le esigenze di trasmissioni locali. A questo proposito é bene ricordare ancora una volta che la sentenza della Corte costituzionale del 1976 n . 202 aveva riservato alle emittenti locali tutte le radiofrequenze terrestri meno quelle, e solo quelle, necessarie per due reti nazionali del servizio pubblico. Il più che fondato sospetto di incostituzionalità richiede la remissione degli atti alla Corte costituzionale.

6) FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 3, CO. 3 DELLA LEGGE N. 249/97. IRRAGIONEVOLEZZA, VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI EGUAGLIANZA.

L’art. 7, co, 3 lettera f, del regolamento, prescrive che, con la domanda per la concessione televisiva locale, debba essere documentata l’esistenza, almeno quattro mesi prima della presentazione della domanda, di un patrimonio di almeno trecento milioni.

Tale prescrizione è irragionevole, ingiustificabile, e rischia di provocare grave quanto inutile danno qualora non venga poi rilasciata la concessione (magari per l’artificiosa “indisponibilità” di radiofrequenze); inoltre essa si pone in contrasto con la previsione dell’art. 6, co. 8, applicabile alle reti nazionali, secondo la quale, con la domanda, può essere documentata la costituzione di una riserva destinata all’aumento del capitale, riserva che dovrà essere versata entro 30 gg. dal rilascio della concessione. La diversità di trattamento dimostra ancora una volta il mancato rispetto dei principi costituzionali e la deliberata intenzione di ostacolare il corretto esercizio del diritto di radiodiffusione.

7) OMESSA PREVISIONE DELLA MODALITA’ DI TRASFERIMENTO DEL SEGNALE AGLI IMPIANTI DI TRASMISSIONE

Nessuna indicazione fornisce il provvedimento impugnato per ciò che concerne il necessario trasferimento del segnale, dagli studi della televisione ai siti nei quali sono installati gli impianti e le antenne di irradiazione (della programmazione), cioè dei c.d. ponti radio, ne prevede collegamenti con studi mobili, ecc. Senza questi “ponti” e collegamenti, per i quali era necessario anche prevedere le radiofrequenze da utilizzare (a tal uopo promuovendo l’opportuna modifica del piano di ripartizione delle radiofrequenze tra i vari sevizi) il regolamento impugnato non potrà mai essere funzionale; il difetto di motivazione sul punto è, di per sé, motivo decisivo per imporne l’annullamento.

8) MANCATA TRASPARENZA. VIOLAZIONE DELLA LEGGE n. 241 DEL 1990 E DEI PRINCIPI REGOLANTI IL CORRETTO SVOLGIMENTO DEL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO

Le Associazioni sono venute a conoscenza di indirizzi adottati dall’Autorità e di alcuni svolgimenti, del procedimento, dalla stampa o da terzi, ben prima che ne fossero ufficialmente informate (si vedano gli articoli di stampa allegati doc.2).

Non sembra che simile comportamento potesse essere tenuto tanto più che ha reso difficile la formulazione di utili osservazioni e suggerimenti che avrebbero potuto contribuire ad evitare errori che invece sono stati commessi.

9) VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DELLA LEGGE 223/90, 483/93 E 249/97. INGIUSTIZIA MANIFESTA, DISPARITA’ DI TRATTAMENTO.

a) Il Regolamento (art. 7) prevede che la concessione televisiva nazionale possa essere richiesta anche per emittente di televendite. In considerazione che l’art. 1, comma 1, lettera I dello stesso regolamento definisce tali le emittenti che trasmettono prevalentemente offerte dirette al pubblico allo scopo di fornire dietro pagamento, beni o servizi, compresi i beni immobili, i diritti e le obbligazioni (cosiddette televendite), risulta evidente il mancato rispetto dell’art. 9 bis della legge 223/90 (come introdotto dalla legge 483/92) che prevede per le emittenti nazionali un limite di tempo di trasmissione per le televendite di solo un’ora e dodici minuti al giorno. Tale previsione del regolamento causa gravissimo nocumento all’emittenza locale che ha ricavi particolarmente significativi per le trasmissioni di televendite che, in questo modo potrebbero disperdersi a vantaggio dell’emittenza televisiva nazionale.

b) Anche gli obblighi, relativi all’informazione, imposti alle emittenti locali a carattere informativo violano la legge, oltre che essere affetti da una ingiusta disparità di trattamento, in quanto impongono alle locali degli oneri praticamente insostenibili, quali l’obbligo di programmi informativi per tutti i 365 giorni all’anno. Ciò anche in contrasto con l’art. 2, comma 20 della legge 249/97 che attribuisce al concetto di trasmissioni quotidiane il significato di trasmissioni con frequenza inferiore a cinque giorni alla settimana o, in alternativa a centoventi giorni a semestre (principio simile a quello della carta stampata).

10) VIOLAZIONE DELL’ART. 30 D.P.R. 27/3/92 N. 255

All’art. 1, comma 1 lettera R il Regolamento limita il concetto di autoproduzione ai programmi prodotti in proprio, da una controllante o controllata o infine per quelli prodotti in coproduzione. Tale impostazione costituisce violazione dell’art. 30 del D.P.R. 27/3/92 n. 255 (Regolamento di attuazione della L. 6/8/90 N. 223) che definisce come autoprodotti anche i programmi realizzati da terzi su commissione dei titolari di concessione.

11) VIOLAZIONE DELL’ART. 3, C.3, LETTERA B N. 2 DELLA LEGGE 249/97

Tale norma stabilisce che il Regolamento fosse emanato sulla base del seguente criterio direttivo (tra gli altri) : “Semplificazione delle condizioni, dei requisiti soggettivi e delle procedure per il rilascio delle concessioni”. E’ evidente quindi che il Regolamento doveva prevedere per l’emittenza locale norme semplificate sia in assoluto, sia rispetto alle norme previste dallo stesso Regolamento per le emittenti nazionali. Al contrario il regolamento non solo non introduce alcun elemento di semplificazione (all’art. 8 relativo alle concessioni locali vengono più volte richiamate norme particolarmente complesse previste dall’art. 7 relativo alle concessioni nazionali), bensì introduce anche alcuni elementi di particolare complessità (patrimonio netto in luogo del capitale sociale, previsto per le nazionali che come è noto è di più difficile determinazione ; numero dei dipendenti, non previsto per le nazionali ; obbligo, in molti casi, di adeguamento del patrimonio netto al momento della presentazione della domanda etc).

12) VIOLAZIONE DELL’ART. 21 DEL D.P.R. 255/92.

L’art. 9 del Regolamento (che prevede l’obbligo di esercire esclusivamente impianti omologati) viola il disposto dell’art. 21 del D.P.R. 255/92. Tale articolo prevedeva che per gli impianti in esercizio fosse sufficiente una dichiarazione dell’esercente dell’impianto attestante la rispondenza alle disposizioni del regolamento delle telecomunicazioni, la idoneità all’impiego e l’assenza di disturbi ai servizi di radiocomunicazione.

13) VIOLAZIONE DI LEGGE ILLOGICITA’ E INGIUSTIZIA MANIFESTA.

Il Regolamento fa praticamente dipendere il rilascio della concessione dalla indicazione e dall’impegno di ciascun istante a realizzare cose future, senza prevedere riferimenti oggettivi e temporali e senza peraltro prevedere contestualmente la decadenza dalla concessione per la mancata realizzazione di quanto indicato tra gli impegni nè il risarcimento del danno per coloro che rimanessero esclusi a causa delle “promesse” di altri poi non realizzate. Il Regolamento doveva fondare il rilascio delle concessioni su criteri oggettivi e riscontrabili e non su mere promesse.

14) VIOLAZIONE DELLA L. 223/90. MANCATO RISPETTO DELLA NORMA PERVISTA PER IL RILASCIO DELLE CONCESSIONI.

L’art. 8 c. 5 del Regolamento stabilisce che ciascuna domanda è diretta ad ottenere una sola concessione. Chi intende ottenere più di una concessione in bacini diversi e con il limite dei 15.000.000 di abitanti deve presentare più domande con evidente violazione della legge 223/90, che prevedeva una sola domanda per una sola concessione. Ed infatti le concessioni rilasciate sono state rilasciate per più bacini con un unico decreto.

A tal proposito si evidenzia l’assoluta ingiustizia e la disparità di trattamento anche sotto il profilo economico laddove, nell’art. 13 c 1, il Regolamento impone per ogni domanda di concessione locale un contributo spese di istruttoria di L. 10.000.000.

Ciò comporta peraltro che un emittente locale del Centro – Italia che chiede 5 bacini (regioni) deve corrispondere lo stesso importo di una emittente nazionale.

15) ILLEGITTIMITA’ DELL’ALL’ART. 7 C. 2 LETT. B) N. 2.

Il Regolamento impone la dichiarazione relativa ai versamenti dei canoni di concessione, senza tener conto di tutto il contenzioso sorto con riferimento alla determinazione dei canoni di concessione.

16) VIOLAZIONE DI LEGGE SOTTO ULTERIORE ASPETTO.

Gi allegati A e B al Regolamento fanno riferimento a emittenza locale, regionale, interregionale e nazionale, mentre le leggi 223/90, 422/93, 249/97, 650/96 e 249/97 suddividono l’emittenza, sotto il profilo territoriale esclusivamente in locale e nazionale.

Conseguentemente prevedere schede tecniche di acquisizione dati in modo diverso rispetto alle suddivisioni di legge comporta che ogni emittente si autoqualifichi secondo proprie personali valutazioni e peraltro fa presumere un intento di rilasciare concessioni sulla base di tipologie territoriali non previste dalla legge.