Intervento dell’Ing. Antonello Giovannelli, Prof. Inc. Università di Ferrara, e responsabile Ufficio Tecnico Elenos, al convegno AER – ANTI – CORALLO, IBTS Milano – 16.10.1999 sugli aspetti fondamentali della normativa relativa ai campi elettromagnetici generati da sistemi fissi per le telecomunicazioni e radiotelevisivi compresi nella banda 100 KHz – 300 GHz (articolo pubblicato sulla rivista Broadcast & Production Novembre/Dicembre 1999)

INTERVENTO DELL’ING. ANTONELLO GIOVANNELLI, PROF. INC. UNIVERSITA’ DI FERRARA, E RESPONSABILE UFFICIO TECNICO ELENOS,  AL CONVEGNO AER – ANTI – CORALLO, IBTS MILANO – 16.10.1999 SUGLI ASPETTI FONDAMENTALI DELLA NORMATIVA RELATIVA AI CAMPI ELETTROMAGNETICI GENERATI DA SISTEMI FISSI PER LE TELECOMUNICAZIONI E RADIOTELEVISIVI COMPRESI NELLA BANDA 100 KHZ – 300 GHZ (ARTICOLO PUBBLICATO SULLA RIVISTA   BROADCAST & PRODUCTION NOVEMBRE/DICEMBRE 1999).

 

Da gennaio 1999 è in vigore in Italia il Decreto n. 381 (10 Settembre 1998) attraverso il quale il Ministero dell’ambiente, d’intesa con il Ministero della Sanità ed il Ministero delle Comunicazioni, ha imposto una regolamentazione sull’emissione di campi elettromagnetici, individuando dei “tetti di radiofrequenza compatibili con la salute umana”. Tale Decreto prende in considerazione espressamente i campi elettromagnetici generati da sistemi fissi per le telecomunicazioni e radiotelevisivi compresi nella banda 100 KHz-300 GHz, ed investe in pieno, di conseguenza, il mondo del broadcast. Riassumiamo, intanto, gli aspetti fondamentali della questione. E’ noto che esiste una interazione tra campi elettromagnetici ed i tessuti biologici: i vari apparati impiegati nel campo della terapia medica ne sono la prova inconfutabile. Si pensi, per citare velocemente solo alcuni esempi, alla marconiterapia, che sfrutta un campo elettromagnetico di forte intensità alla frequenza di 27.12 MHz, o alla radarterapia, che invece opera ad una frequenza di 2.4 GHz (la stessa dei forni a microonde). In entrambi i casi l’energia trasportata dall’onda elettromagnetica viene, almeno in parte, rilasciata ai tessuti attraversati che evidenziano dei benefici nel processo di guarigione da varie patologie. Da quanto detto emerge una prima questione: esistono delle condizioni e delle modalità di applicazione secondo cui i campi elettromagnetici sono portatori di benefici e vengono normalmente e diffusamente impiegati in ambiente medico. E’ pertanto errato pensare ad una pericolosità “a priori” dei campi elettromagnetici. La pericolosità potenziale si ha nel caso in cui l’esposizione non sia controllata e non sia circoscritta ai tessuti in grado di trarre benefici dall’irradiazione (vedi box in queste pagine).
Diversi organismi internazionali si sono occupati dello studio del problema nelle sue varie tipologie, arrivando alla formulazione di raccomandazioni e limiti di esposizione che non devono essere superati. Dal punto di vista storico, si è vista la contrapposizione tra due grosse scuole di pensiero, quella “occidentale” e quella sovietica. Nei paesi occidentali si è cercata la correlazione tra i possibili danni per la salute ed il riscaldamento dei tessuti dovuto all’esposizione. Nei paesi dell’Est europeo si è invece sostenuta la possibilità di danni per la salute anche in caso di esposizione a bassi livelli di campo, tali da non produrre un effetto termico evidente. Questa ultima teoria, spesso non suffragata da chiari metodi di indagine, è stata spesso contestata da buona parte del mondo scientifico. In epoca recente, a seguito di ricerche di laboratorio effettuate in occidente, si è giunti ad accettare la possibilità di effetti non termici da parte di onde elettromagnetiche, mentre la scuola sovietica ha adottato il concetto di SAR (Specific Absorbtion Rate introdotto da Johnson nel 1975), e la sua limitazione a 0.4 W/Kg in caso di esposizione di lavoratori. Dunque, le due scuole di pensiero stanno convergendo verso una visione unitaria del problema. Il SAR sta a rappresentare “il rateo temporale a cui l’energia elettromagnetica a radiofrequenza viene assorbita da un elemento di massa di un sistema biologico”. Si parla di SAR specifico in riferimento al rateo di energia trasferita ad un elemento infinitesimale di volume del corpo, in un punto di esso, diviso per la massa dell’elemento di volume; di SAR medio in riferimento alla quantità totale di energia trasferita al corpo nell’unità di tempo, divisa per la massa totale del corpo. Il SAR, che si riferisce ad una situazione di campo “perturbato” viene utilizzato per l’individuazione dei “limiti base”. Naturalmente non è facilmente utilizzabile nell’attività di monitoraggio ambientale, per cui sono stati introdotti dei “limiti derivati”, che si riferiscono ad una condizione di “campo imperturbato”, più facilmente verificabili (relativamente!) dal punto di vista strumentale. I limiti derivati impongono un valore massimo di campo elettrico, o di campo magnetico, o, in condizioni di “campo lontano”, la densità di potenza trasportata dall’onda piana. Veniamo finalmente ad analizzare il Decreto 381, pubblicato sul n. 257 della Gazzetta Ufficiale Serie generale in data 03 / 11 / 98. Tale decreto intende esplicitamente riservare misure “più cautelative nei casi in cui si possano verificare esposizioni a campi elettromagnetici per tempi prolungati, da parte di recettori sensibili non esposti per ragioni professionali”. Per quanto riguarda il campo di applicazione del Decreto, questo fissa “i valori limite di esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici connessi al funzionamento ed all’esercizio dei sistemi fissi delle telecomunicazioni e radiotelevisivi operanti nell’intervallo di frequenza compresa fra 100 KHz e 300 GHz”. “I limiti di esposizione….non si applicano ai lavoratori esposti per ragioni professionali”. Questa limitazione trae motivazione dal fatto che si presuppone che il “lavoratore esposto per ragioni professionali” sia a conoscenza del rischio che la sua attività comporta, sia adeguatamente addestrato ad affrontarlo e rimanga esposto per un tempo limitato (al massimo, le ore lavorative). Tornando ai limiti, si ha una prima tabella con i valori che, “mediati su un’area equivalente alla sezione verticale del corpo umano e su qualsiasi intervallo di sei minuti” non devono essere superati. Tali valori sono: per frequenze comprese tra 0.1 e 3 MHz: 60 V/m di campo elettrico, 0.2 A/m di campo magnetico; per frequenze comprese tra 3 MHz e 3 GHz: 20 V/m di campo elettrico, 0.05 A/m di campo magnetico, 1 W/mdi onda piana equivalente; per frequenze comprese tra 3 GHz e 300 GHz : 40 V/m di campo elettrico, 0.1 A/m di campo magnetico e 4 W/mdi onda piana equivalente. Nel caso di più sorgenti, si ricorre ad una somma di contributi normalizzati. In corrispondenza di edifici adibiti “a permanenze non inferiori a quattro ore, non devono essere superati i seguenti valori, indipendentemente dalla frequenza, mediati su un’area equivalente alla sezione verticale del corpo umano e su qualsiasi intervallo di sei minuti: 6 V/m per il campo elettrico, 0.016 A/m per il campo magnetico intesi come valori efficaci e, per frequenze comprese tra 3 MHz e 300 GHz, 0.10 W/m per la densità di potenza dell’onda piana equivalente”. Il compito di disciplinare l’installazione e la modifica degli impianti di radiocomunicazione, nonché di sorvegliare e verificare la conformità degli impianti al Decreto spetta alle regioni ed alle province autonome, così come la prescrizione delle modalità e dei tempi di esecuzione delle eventuali azioni di risanamento (che sono a carico dei titolari degli impianti). Ci sembra però importante segnalare la differenza tra il limite italiano (6 V/m) e quello convenuto già da tempo nella ENV 50166-2 del CENELEC (norma europea di applicazione volontaria, edita nel 1995): a parità di condizioni, quest’ultima prevede 27.5 V/m da 10 a 400 MHz quale limite già ampiamente cautelativo della salute pubblica. La decisione italiana di adottare un limite molto più restrittivo forse doveva servire ad eliminare qualunque controversia, tranquillizzando le frange più “oltranziste” degli oppositori dei campi elettromagnetici. Oggi il risultato è che, a fronte di una serie di notevoli problemi pratici, economici e applicativi di tale severa norma, l’effetto “politico” della stessa non è stato raggiunto: in parte a causa di una gestione superficiale e un po’ demagogica dell’informazione sul tema fatta alla popolazione e in parte a causa della impreparazione di molti enti locali nell’affrontare una situazione del tutto nuova e sfuggente come quella dell’ “elettrosmog”.

Bibliografia:
CEI 111-1 : Esposizione umana ai campi elettromagnetici ad alta frequenza – Rapporto informativo
CEI ENV 50166-1 : Esposizione umana ai campi elettromagnetici – Bassa frequenza (0-10 KHz)
CEI ENV 50166-2 : Esposizione umana ai campi elettromagnetici – Alta frequenza (10 KHz-300 GHz)

Box (1)
Nel campo delle misure
L’attività di misura richiede l’impiego di strumentazione costosa e di non facile impiego: in una prima fase è possibile utilizzare un misuratore di campo, possibilmente dotato di rivelatore isotropico. Questo tipo di strumento, dal costo variabile da 6 milioni a 12 milioni circa, è a larga banda, ovvero non discrimina il campo in base al suo valore di frequenza. Pertanto, il valore fornito è dovuto al contributo di tutti i campi elettromagnetici presenti, indipendentemente dalla frequenza di ciascuno. Se il rivelatore è isotropico non è necessario preoccuparsi della provenienza e della polarizzazione del campo. Nel caso in cui la misura fornisca un valore inferiore al limite prefissato, in genere non è necessario ricorrere alla fase successiva; viceversa, occorre procedere ad una seconda fase della misura, che richiede l’impiego di uno strumento più complesso e costoso, l’analizzatore di spettro, il cui costo può variare da 15 ad oltre 50 milioni. Quest’ultimo consente la visualizzazione e la misura su di uno schermo delle componenti del campo alle varie frequenze. L’antenna cui deve essere collegato (per la banda FM è utilizzabile una biconica o un dipolo calibrato), così come il cavo di collegamento, devono avere caratteristiche elettriche perfettamente note, e devono essere messe in conto nel risultato della misura. Non si dimentichi, infatti, che un analizzatore di spettro esegue una misura di distribuzione spettrale di potenza, mentre in questo caso occore una misura di valore di campo espressa in Volt / metro. Grazie all’informazione aggiuntiva sulla frequenza, è possibile individuare la sorgente del campo, la sua intensità, e predisporre eventuali azioni di risanamento sull’impianto realmente responsabile del superamento del limite. Nel caso di più impianti, esistono diversi criteri per ridimensionare la potenza di ciascuno di essi. Il fatto di utilizzare un’antenna (necessariamente direzionale) al posto di un sensore dalle caratteristiche isotropiche, costringe ad eseguire misure in polarizzazione sia verticale che orizzontale e con diversi puntamenti. In ogni caso, prima di procedere all’effettuazione delle misure, devono essere verificate alcune condizioni di base, in mancanza delle quali il risultato può essere notevolmente alterato. In primo luogo deve essere accertata la condizione di “campo lontano” rispetto alla sorgente; l’impedenza d’onda deve avere assunto un valore analogo a quello del vuoto (377 ohm) e il fronte di propagazione dell’onda deve essere praticamente “piano” (non più sferico come avviene, in prima approssimazione, vicino alla sorgente). Altra condizione da verificare è l’assenza di corpi conduttori nella zona circostante il sensore di misura (o l’antenna): questi potrebbero infatti comportarsi, a loro volta, da sorgenti e perturbare il campo in modo imprevedibile. E’ bene effettuare uno studio preliminare sulle caratteristiche degli impianti trasmittenti e sull’ambiente di misura in modo da adottare la strumentazione ed il metodo di misura più idonei. E’ opportuno infine che i risultati delle misure vengano confrontati con quelli teorici, e magari con quelli forniti da simulatori. Eventuali grosse discrepanze evidenzierebbero possibili errori in fase di misura.

Box (2)
Effetti dei campi elettromagnetici sull’uomo.
Già da decenni vengono studiati gli effetti dannosi provocati dalla esposizione ai campi elettromagnetici. Molti organismi, a livello mondiale, hanno cercato di individuare una relazione di causa-effetto tra l’esposizione a campi elettrici, magnetici, elettromagnetici, e lo sviluppo di malattie di grossa rilevanza dal punto di vista sanitario. E’ necessario effettuare una distinzione tra effetti dannosi a breve ed a lungo termine. I primi vengono associati all’effetto di surriscaldamento di tessuti che, essendo scarsamente irrorati dal sangue, non hanno la capacità di smaltire il calore prodotto dall’esposizione (come nel caso dell’opacizzazione del cristallino causata dal surriscaldamento per esposizione ad un campo elettromagnetico di forte intensità e ad alta frequenza) grazie al meccanismo di termoregolazione. Per quanto riguarda gli effetti a lungo termine, si è supposta l’esistenza di un nesso di causalità tra esposizione a campi e.m. anche di debole intensità (in particolare campi magnetici a bassa frequenza) ed un aumento della probabilità dello sviluppo di tumori e leucemie, specie in soggetti di giovane età. La difficoltà che la ricerca scientifica incontra è quella della esiguità numerica del campione, che non consente di procedere a valutazioni di carattere epidemiologico e statistico con un sufficiente grado di attendibilità. In altre parole, l’eventuale incremento di casi di tumore in soggetti esposti a campi potenzialmente pericolosi, viene a confondersi con le variazioni casuali del numero di colpiti dalla malattia. Inoltre, altri fattori rendono difficile il raggiungimento di risultati certi, quali il lungo tempo di latenza delle forme tumorali, l’imponderabilità dei fattori di predisposizione dei soggetti colpiti e, non da ultimo, l’oggettiva difficoltà dell’azione di monitoraggio.