ChatGPT come ‘fonte’ giornalistica? Meglio andarci cauti.

 

(7 luglio 2023)  Non c’è dubbio in merito al fatto che l’Intelligenza Artificiale possa svolgere interessanti attività di supporto anche nel contesto di una redazione giornalistica, tuttavia un fatto occorso a inizio giugno negli Stati Uniti offre lo spunto per riflettere se sia il caso di utilizzare tale risorsa con molta prudenza e come, comunque, le sue indicazioni non esonerino il giornalista dal dovere di verifica dei fatti.

Nel caso che riportiamo, è successo che Mark Walters fondatore di Armed American Radio e dj della medesima stazione, ha intentato una causa per diffamazione direttamente contro OpenAI, azienda produttrice di ChatGPT.

Questo senza che si possa escludere che, in subordine o a latere, la richiesta di indennizzo non venga successivamente traslata sul giornalista che di ChatGPT ha fatto un uso troppo confidente.

Una fonte molto creativa

Il giornalista in questione si chiama Fred Riehl e si era ripromesso di fare un report su una questione legale che vedeva la fondazione Second Amendment (SAF) procedere contro Robert Ferguson, il procuratore generale di Washington, per uso improprio dei suoi poteri.

Riehl è stato incaricato di fare un servizio sull’argomento, di cui in verità sapeva poco, e così ha pensato di ‘farsi aiutare’ da ChatGPT, chiedendo al sistema online un riepilogo informativo della questione; lo ha fatto senza sapere che ChatGPT per rispondere alle domande attinge da un suo database e che non può in nessun caso accedere ai siti online.

Quindi il database di OpenAI non conteneva alcuna informazione recente, comprese le informazioni inerenti al fatto in questione, ma ChatGPT, invece di esplicitare a Riehl il suo limite, ha risposto alle richieste sul tema con una storia completamente inventata!

Il chatbot ha creato una narrazione nella quale il conduttore radiofonico Mark Walters aveva il ruolo di tesoriere e di responsabile finanziario della fondazione (la qual cosa non è mai stata vera) e inoltre, sempre senza alcun riscontro di verità, che Walters era stato accusato di “appropriazione indebita di fondi per spese personali e di manipolazione di documenti finanziari”. 

A quel punto Fred Riehl ha chiesto di avere ulteriori dettagli sull’accaduto e ChatGPT, sempre creando di sana pianta la storia, ha aggiunto che Alan Gottlieb, fondatore della Second Amendment Foundation, aveva dunque denunciato Mark Walters e, dimostrando grande cura per il dettaglio (come un bravo romanziere, anche se pessimo giornalista), si è persino inventata un numero di iscrizione al ruolo generale del caso.

Una querela inevitabile

Nulla di tutto questo aveva il pur minimo fondamento, ma la storia è stata diffusa da Riehl e Mark Walter, la cui reputazione è stata ovviamente danneggiata da tale fake news diffusa a mezzo stampa, ha deciso di sporgere querela per diffamazione.

Non lo ha fatto, in prima istanza, verso Fred Riehl, come sarebbe stato plausibile e probabilmente anche più corretto, bensì direttamente nei confronti di OpenAI, la cui ‘creatura’ ha dato vita dal nulla alla ‘pseudo notizia’.

Al momento non si sa ancora se tale querela verso OpenAI stia procedendo (non si può escludere che Mark Walters abbia chiamato in causa la società anche valutando la risonanza mediatica della sua azione).

Resta il dato di fatto che il giornalista Fred Riehl ha divulgato informazioni destituite di un qualsiasi fondamento ed è verosimile che se un fatto analogo accadesse in Italia, sarebbero il giornalista e la sua testata ad essere chiamati a rifondere il danno d’immagine cagionato.

Un caso curioso, ma emblematico, sul quale può valere la pena riflettere prima di avventurarsi in forme di ‘giornalismo creativo AI-assisted’ che non hanno tanto il sapore della modernità, quanto quello dell’imprudenza. (AR)

 

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