30 GENNAIO 1980
ORDINANZA DELLA PRETURA CIRCONDARIALE DI BARI
Il Pretore, ecc. – La ricorrente ha proposto, in via principale, azione di spoglio o manutenzione a tutela dello stato di fatto instaurato concretantesi nello stabile esercizio dell’attività di radiotrasmissione su banda cittadina di 104 Mhz, lamentando la sovrapposizione e comunque l’interferenza ad opera del segnale irradiato, da alcuni mesi, dalla emittente Radio Bari Club e da impedire o comunque da disturbare la ricezione, nelle varie zone della città, dei programmi radiofonici da essa trasmessi.
In punto di fatto, risulta pacificamente dagli atti di causa (e, in ogni caso, non forma oggetto di contestazione) che la s.n.c. radio Spazio, avente ad oggetto l’esercizio dì editoria radiofonica, è regolarmente costituita sin dal gennaio 1977, ed è altresì iscritta nel registro dei giornali e periodici presso il Tribunale di Bari; che essa esercita da tale epoca l’attività quotidiana di trasmissione di programmi radiofonici su banda 104 Mhz; che ha tempestivamente dichiarato il possesso delle apparecchiature e l’impiego della frequenza al circolo costruzioni presso la direzione compartimentale poste e telegrafo ed alla questura di Bari, che ha sempre utilizzato la frequenza in esame nelle trasmissioni giornaliere, quanto meno a fare tempo dal giugno 1977 (cfr. comunicazione 20 giugno 1977 al circolo costruzioni; atto costitutivo e statuto; certificazioni camera di commercio e cancelleria Tribunale Bari).
Il problema dell’ammissibilità della tutela possessoria in tema di bande di frequenza radio-tv appare suscettibile, in generale, di soluzione in senso affermativo. L’oggetto del possesso non può, evidentemente, individuarsi nel canale o banda in sé considerati, che costituiscono null’altro che categorie tecniche di qualificazione e di classificazione delle onde elettromagnetiche. E’ invece, la stessa attività di irradiazione delle onde, emesse o modulate su una determinata frequenza, che può essere ricondotta alla esplicazione di una signoria sulla cosa corrispondente all’esercizio di un diritto reale. Comunemente, peraltro, viene escluso che le onde elettromagnetiche, in quanto energie irradiate nello spazio, possano costituire in se e per se oggetto di possesso da parte di colui che ha provocato la emissione. Invero, secondo l’interpretazione corrente, la detenzione o il possesso di energia (ad. es., l’energia elettrica), e la tutelabilità dell’una o dell’altro con le tipiche azioni possessorie, possono configurarsi soltanto allorché l’energia stessa venga introdotta in un sistema o rete su cui l’utente eserciti, nel proprio interesse, una signoria di fatto: solo nel momento in cui l’energia può essere captata da tale sistema o rete, e così utilizzata, essa diviene suscettibile di essere qualificata come bene mobile ai sensi dell’art. 814 cod. civ.; al di là, invece, di tale collegamento, l’energia stessa costituisce nient’altro che un flusso “in itinere“, e non risulta quindi idoneo a formare oggetto di diritti, restando essa non separabile dall’attività di produzione e di irradiazione (cfr. Cass. 22 giugno 1968, n. 2084, Foro it., Rep. 1968, voce Possesso, n. 50); se ne ricava che l’utente, di energia elettrica può lamentare una lesione del possesso solo quando l’atto di interruzione operi nella parte di impianto che si trovi nel luogo che è nella disponibilità dell’utente stesso, mentre l’attività che impedisca la immissione nella rete nella parte non detenuta dall’utente non implica attentato al possesso di questi, salve le azioni ex contractu. Secondo altra opinione, invece, il possesso delle energie va tenuto distinto dal possesso della rete di distribuzione, e la energia stessa va considerata, sia prima sia dopo la immissione nella rete dell’utente, come flusso unitario, flusso sempre rinnovantesi dal punto di produzione a quello di utilizzazione: sì che l’attività di interruzione del flusso, avvenga prima o dopo la immissione nella parte di rete che è nella disponibilità dell’utente, implica pur sempre una lesione che incide su una situazione di fatto qualificabile in termini di possesso (cfr. Pret. Matelica 24 agosto 1955, id., Rep. 1957, voce cit., n. 102).
Tali principi possono essere opportunamente adattati al fenomeno della occupazione di frequenze radio-tv, pur nella carenza di una disciplina legislativa che avrebbe dovuto conseguire alla dichiarazione di illegittimità costituzionale delle norme stabilenti il monopolio dello Stato in tema di trasmissioni radiofoniche e televisive via etere anche nell’ambito locale (Corte cost. 28 luglio 1976, n. 202, id., 1976, I, 2066). Ed invero, anche aderendo alla prevalente e restrittiva opinione, della inidoneità cioè, delle onde elettromagnetiche a costituire oggetto di autonoma signoria, è lo stesso presupposto del loro inscindibile collegamento all’attività di irradiazione che, mentre per un verso esclude l’esercizio di un potere da parte di terzi fino a quando le onde non siano immesse nelle apparecchiature riceventi nella disponibilità di questi (v. sopra), evidenzia al tempo stesso la situazione di persistente assoggettamento del flusso all’attività del soggetto che, con l’impiego degli appositi strumenti, ne effettua la irradiazione nello spazio. Sotto tale profilo, il possesso nelle energie irradiate si atteggia come aspetto particolare di una situazione possessoria più ampia e complessa che investe la organizzazione e la disponibilità degli apparecchi di irradiazione, e le modalità concrete di impiego degli stessi. Ogni qual volta sia dato individuare una attività organizzativa autonoma per la produzione, la irradiazione o il convogliamento di energie a mezzo di appositi strumenti, il bene prodotto si configura come la “immediata” esplicazione dell’attività produttiva, e, per le modalità con cui è prodotto, costituisce direttamente oggetto di un potere (di impulso, di direzione, di variazione di intensità e potenza, ecc.) che è inscindibilmente connesso con la signoria esercitata sul complesso delle apparecchiature: l’attività di impiego e di controllo degli strumenti comprende in sé, come un cerchio concentrico necessario, la disponibilità e il controllo del flusso di energie irradiato. In tale prospettiva, appare lecito affermare che il possesso delle apparecchiature si compenetra con il possesso delle energie irradiate attraverso l’impiego delle stesse: in altre parole, che le modalità di irradiazione del flusso delle onde elettromagnetiche costituiscono un aspetto, ed anzi l’aspetto essenziale, nel quale si estrinseca l’attività di godimento dei trasmettitori e, quindi il possesso su di questi esercitato dall’agente. Non dissimili sono le argomentazioni, con le quali si ammette, pacificamente, che il possesso di un bene immobile si estenda anche allo spazio aereo sovrastante: in base, cioè, al rilievo che anche su questo spazio è concepibile (e nei limiti in cui è concepibile) un intervento potenziale del potere di fatto del titolare (cfr. Cass. 20 aprile 1976, n. 1379, id., Rep. 1976, voce cit., n. 16). Pertanto, non vi è ostacolo a ritenere che l’attività, concretantesi nella distruzione o nel deterioramento dell’impianto di trasmissione radiotelevisiva o di un suo accessorio, abbia lo stesso contenuto, e produca lo stesso effetto, dell’attività che, anziché incidere direttamente sulla struttura materiale dell’impianto, si ripercuota invece sulle modalità e potenzialità di impiego, e cioè sulla irradiazione delle onde elettromagnetiche, in guisa da paralizzarla o disturbarla: in altri termini, l’attività materiale di distruzione di un qualche congegno (manopola, valvola, modulo, ecc.) che determini un effetto di scadimento della irradiazione, e la emissione di segnali interferenti, che agiscano sul flusso delle onde del trasmettitore in guisa da conseguire lo stesso effetto, non possono non essere considerate come attività egualmente idonee ad incidere su una identica situazione di possesso, il possesso cioè delle apparecchiature organizzate e destinate alla irradiazione dei programmi radiofonici o televisivi: la signoria, nella quale si estrinseca il possesso, ha per oggetto gli strumenti di trasmissione, staticamente intesi, e in pari tempo, le energie irradiate in conseguenza del loro naturale impiego. E’ lecito da ciò desumere che le modalità di irradiazione delle onde, su una od altra frequenza, sono a loro volta suscettibili di tutela possessoria: non già nel senso che i canali o le bande di frequenza costituiscano esse stesse oggetto di possesso, bensì nel senso che il flusso delle energie irradiate è dominato dal potere di fatto del titolare dell’impianto nell’effettivo modo di produzione e di utilizzazione del flusso medesimo, ossia nella “frequenza” attribuita al segnale nella fase di emissione o di modulazione che precedono la irradiazione nello spazio.
L’ammissibilità della tutela possessoria, nel senso indicato, viene agevolmente riconosciuta con riferimento all’attività di un organismo aziendale (impresa di radiodiffusioni: cfr. Cass. 12 aprile 1979, n. 2168, id., Mass., 456): invero l’azienda, quale complesso di beni economicamente collegati per l’esercizio dell’impresa, comprende anche beni immateriali, ed anche a questi si riferisce, evidentemente, la situazione che caratterizza il possesso dell’azienda. Non sembra tuttavia necessario, ai fini della esperibilità delle azioni possessorie, che l’impiego dei trasmettitori si inserisca sempre e necessariamente in una organizzazione imprenditoriale. Ciò che occorre è che possa individuarsi una attività di produzione dell’energia come modalità di impiego e di gestione di un impianto trasmettitore: è necessario, in altre parole, accertare la sussistenza dei requisiti di un possesso dell’impianto, non inteso soltanto staticamente (come disponibilità della res, materialmente considerata), bensì come predisposto per quelle determinate modalità di produzione e di irradiazione delle onde elettromagnetiche e come effettivamente impiegato (“posseduto”), secondo le modalità stesse. E’ questa situazione possessoria, nella inscindibilità degli aspetti considerati, che deve ricorrere in concreto, per legittimare la tutela ex art. 1168 segg. cod. civile.
Non vale poi osservare che, in difetto di una autorizzazione amministrativa all’esercizio dell’impianto di diffusione, non potrebbe essere invocata una tutela possessoria, corrispondente ad una situazione giuridica subiettiva priva ancora dei requisiti di liceità sul piano amministrativo. Soccorre, al riguardo, il principio secondo cui la tutela interdittale si estende a qualunque possesso, anche se illegittimo od abusivo, purché abbia i caratteri esteriori dell’esercizio della proprietà o del diritto reale.
D’altra parte, gli impianti di telecomunicazione non costituiscono beni insuscettibili obiettivamente di possesso da parte dei privati. L’assenza, poi, di una disciplina normativa, che venga a regolamentare il diritto conseguente alla dichiarazione di incostituzionalità delle norme sul monopolio, non toglie che l’impiego del trasmettitore corrisponda (nel concorso o meno di determinati requisiti, ivi compresa la autorizzazione) ad una situazione giuridica subiettiva contemplata astrattamente dall’ordinamento, pur nella fase attuale (cfr. la cit. Corte cost. n. 202/76). Vero è che, tra gli interessi costituzionalmente protetti, può essere ricompreso, sulla base delle stesse motivazioni adottate dalla citata pronuncia di incostituzionalità, la esigenza di pluralismo, quella cioè di garantire al maggior numero possibile di soggetti, compatibilmente con gli strumenti tecnici, il diritto di manifestare il proprio pensiero con il mezzo radiotelevisivo, onde evitare situazioni di monopolio od oligopolio. Senonchè, a parte i rilievi che attengano alla limitazione del numero delle frequenze (al riguardo, è stato da più parti sottolineato l’eccessivo ottimismo, su cui la Corte costituzionale ha fondato, in tema di disponibilità tecniche, le proprie valutazioni), è da osservare che la opportunità di non privilegiare, sul piano della attesa disciplina normativa, coloro i quali hanno approfittato di una situazione di carenza legislativa per invadere le frequenze libere, nella sicurezza di trasformare l’occupazione di fatto in un titolo per conservare la posizione acquisita (e, quindi, l’eventuale esigenza di porre i richiedenti in una situazione di parità ai fini del rilascio delle future autorizzazioni), non implica che debba considerarsi indifferente per il diritto il fenomeno dell’interferenza che incide su posizioni di fatto consolidate (ciò equivarrebbe a legittimare la più completa anarchia dell’etere), e non è di ostacolo alla esperibilità dei rimedi possessori, limitati per definizione appunto alla tutela del godimento di fatto qualificabile in termini di possesso. Sotto tale profilo, può considerarsi in certi limiti privo di rilievo anche il problema dell’utilizzabilità o meno, da parte del soggetto disturbato, della specifica frequenza adoperata (se questa, cioè, rientri o meno, in base alle ripartizioni previste da norme interne ed internazionali, tra quelle assegnabili alla utenza privata); per contro, nell’ipotesi in cui autore del preteso spoglio sia proprio il soggetto cui risulti assegnata od assegnabile la frequenza impiegata dal denunciante, il conflitto potrà essere risolto in base agli stessi principi che presiedono alla tutela possessoria (in particolare, valutando l’opponibilità della eccezione feci, sed iure feci), e verificando la sussistenza del requisito subiettivo dello spoglio).
E’ da aggiungere che l’esperibilità delle azioni possessorie non esaurisce, nella materia che interessa, l’ambito della tutela (e, in particolare, della tutela in via d’urgenza). Invero, l’organizzazione dell’attività di radiodiffusione in forma di impresa apre la strada alla configurazione di un diritto subiettivo di esplicazione dell’attività imprenditoriale in se e per se considerata, diritto che trova la sua fonte nella norma dell’art. 41 Cost. (libertà di iniziativa economica privata) e nelle disposizioni del codice civile in tema di impresa. La lesione di tale diritto (tutelabile, in via cautelare, a norma dell’art. 700 cod. proc. civ., ove ne ricorrano i presupposti) può atteggiarsi a sua volta, o come compressione diretta dell’attività imprenditoriale, attraverso un’azione comunque illecita che sia rivolta ad impedire od ostacolare l’esercizio dell’attività stessa, e si risolva quindi in fonte di danno ingiusto (art. 2043 segg. cod. civ.); oppure come attentato specifico, ossia come condotta di danneggiamento dell’azienda o dei segni distintivi di essa, in una delle svariate forme di concorrenza sleale (art. 2598 segg. cod. civ.): sotto quest’ultimo profilo, assumerà rilievo, anche in difetto di regolamentazione della materia, il criterio della proprietà d’uso. Con riguardo a ciascuna di tali situazioni giuridiche subiettive, è agevole ammettere il ricorso alla tutela cautelare atipica ex art. 700 cod. proc. civ., ogni qualvolta l’attività di interferenza nei programmi radiotelevisivi, concretantesi in fenomeni di sovrapposizione o di alterazione delle immagini e dei suoni, risulti idonea ad allontanare il pubblico dagli utenti (radio o teleascoltatori), a far venire meno le commesse pubblicitarie (maggiore fonte di finanziamento delle imprese del settore), ed a pregiudicare quindi in modo irreparabile lo svolgimento dell’attività imprenditoriale e l’esistenza stessa dell’impresa. Più difficile sembra, invece, ammettere un collegamento della tutela cautelare alla situazione giuridica prevista dall’art. 21 Cost. (libertà di manifestazione del pensiero). La facoltà di esprimere il proprio pensiero, nel senso specifico della parola, costituisce indubbiamente un diritto soggettivo perfetto, che trova protezione diretta e completa nella norma dell’art. 21 Cost.: cosa diversa è, tuttavia, la possibilità di esprimere il pensiero attraverso uno specifico strumento di informazione (stampa, radio, tv).
Questa facoltà, pur ricollegandosi anch’essa allo stesso precetto costituzionale, non può essere eccepita isolatamente da un momento organizzativo, che richiede il più specifico ed articolato intervento dell’organo pubblico. Sotto tale profilo, suole affermarsi che la facoltà in disamina costituisce un “valore costituzionale” (diritto di informare, e, dal lato passivo, diritto di essere informati), che trova garanzia, non tanto nell’immediato riconoscimento di uno specifico diritto, quanto altresì nella disciplina articolata dell’attività privatistica ai fini del coordinamento della stessa a scopi esterni e di natura pubblicistica; in tale prospettiva, si tende anche a collegare il valore costituzionale in oggetto a quello c.d. della “partecipazione”, fondato sulla norma dell’art. 32 Cost. Del resto, la titolarità di una emittente radio-tv locale non viene considerata come diretto esercizio della libertà di manifestazione del pensiero (e, quindi, come situazione giuridica che goda, di per sé, di una diretta tutela costituzionale)nella stessa sentenza n. 202/1976 la Corte cost., la quale fa anzi espresso riferimento alla esigenza di una specificazione normativa, che concorra a definire in concreto le condizioni per l’esercizio di siffatta attività, in armonia con altre molteplici esigenze (pluralismo, definizione di ambito locale, responsabilità di gestione, limitazione di pubblicità, divieto di monopolio e di oligopolio).
In fatto, l’indagine tecnica ha condotto sostanzialmente ad accertare che, in aggiunta a deficienze tecniche ed amministrative di carattere generale (in parte comuni anche alle apparecchiature della società ricorrente), l’impianto di diffusione della recente Radio Bari Club presenta una serie di inconvenienti, ed in particolare: 1) modula la c.d. portante fino ad una frequenza di trasmissione (103,75 Mhz) discostata di + 3 Khz, di una misura cioè maggiore di quella consentita dalle norme tecniche; 2) in sede di conversione del segnale, crea frequenze spurie di ampiezza superiore al limite tollerabile (in specie, sulle frequenze 104 Mmz e 103,66 per quel che attiene alla indagine in oggetto): cioè equivale a dire che l’impianto presenta una stabilità in frequenza (deviazione massima = 100 Khz) non idonea,in quanto implicante una eccedenza rispetto alla misura massima ( 75 Khz) consentita dalle norme tecniche; 3) è privo di un qualsivoglia sistema di misurazione e di controllo della deviazione di frequenza (es., compressore automatico in corrispondenza del modulatore, stabilizzatore della frequenza della portante, filtro passa banda in corrispondenza del convertitore, e simili), atto ad evitare la irradiazione di frequenze spurie al di fuori della banda consentita anche nella ipotesi di cattivo esercizio del trasmettitore, a compensare i fenomeni di deriva dovuti a variazioni termiche o della tensione di alimentazione, e a ridurre le frequenze spurie che necessariamente si sprigionano nel processo di conversione; 4) è fornito di ogni accessorio per il controllo della qualità di trasmissione nei locali di diffusione; 5) risulta, quindi, installato ed esercitato con criteri di minima spesa, e caratterizzato dalla tendenza ad utilizzare le massime deviazioni di frequenza al fine di allargare l’area di ricezione. Tali accertamenti obiettivi sono stati condotti assumendo, come parametro di riferimento, la normativa tecnica posta dal d.m. 16 luglio 1975 (regolamento di attuazione della legge 14 aprile 1975 n. 103, in G.U. n.200 del 1975, suppl.) dal d.m. 3 dicembre 1976 (approvazione del piano nazionale delle radiofrequenze, in G.U. n. 339 del 1976, suppl.), e dalle disposizioni internazionali in materia (in particolare, quelle del Comitato consultivo internazionale per le radiodiffusioni – C.c.i.r. – e quelle del regolamento internazionale della radio e telecomunicazioni, richiamate dal d.m. sopra citato). Tale normativa tecnica assume rilievo in questa sede, non già in considerazione di una efficacia diretta ed immediata ai fini della valutazione della liceità della installazione e dell’esercizio di un determinato impianto utilizzante date frequenze (invero, la diffusione circolare di programmi radiofonici via etere nell’ambito locale, già vietata dalla norma monopolistica dell’art. 1 legge 14 aprile 1975 n. 103, non costituisce ancora, a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale di detta norma, oggetto di un’apposita regolamentazione legislativa), bensì come parametro di riferimento tecnico, che consente di valutare le obiettive attuali condizioni di esercizio dell’impianto, sia sotto il profili tecnico-qualitativo, sia sotto il profilo della rispondenza al minimum di requisiti determinabili da una qualsivoglia futura esplicita disciplina. Particolare significato assumono le disposizioni dell’art. 26 d.m. 16 luglio 1975, che stabiliscono le prescrizioni tecniche alle quali è condizionata l’attività (consentita e disciplinata dalla legge n. 103/1975) di ritrasmissione a mezzo di ripetitori di programmi sonori e televisivi esteri e nazionali (tra cui, specificamente, la prescrizione che indica la deviazione massima di frequenza in + Khz per ripetitori di programmi sonori a MF), e rinviano, per l’assegnazione delle frequenze a detti servizi, al regolamento internazionale ed al piano nazionale di ripartizione delle bande di frequenza (poi approvato con d.m.3 dicembre 1976 cit.). Poiché i ripetitori altro non sono che trasmettitori di onde radioelettriche (invero, il ripetitore è un impianto destinato a ricevere un segnale generato da altro trasmettitore, ad amplificarlo o convertirlo, ed a ritrasmetterlo: è, cioè, esso stesso un trasmettitore, sia pure di un segnale non generato in loco), non vi è ostacolo a ritenere che, sul piano tecnico, quanto meno le prescrizioni di tolleranza dettate dalle norme in disamina costituiscano un valido punto di riferimento, anche nella ipotesi in cui la esigenza di separazione delle bande di frequenza dei trasmettitori di una stessa zona (al fine di evitare che i radioricevitori ricevano contemporaneamente più segnali o ricevano soltanto quello che arriva con potenza molto maggiore rispetto all’altro) debba essere apprezzata con riguardo ad impianti di diffusione di programmi sonori nell’ambito locale in cui sono generati.
Sulla base della obiettiva verifica degli impianti, ed alla stregua delle misure di campo e delle altre opportune sperimentazioni, il c.t.u. ha rassegnato le seguenti conclusioni: 1) che sussiste una notevole intersezione delle bande (aree di frequenza occupate dalla portante e dal segnale modulato) dei due trasmettitori (di Radio Spazio, e di Radio Bari Club), sia per la vicinanza delle portanti e delle frequenze in modulazione, che distano solo 250 Khz (104 Mhz la prima, 103,75 Mhz la seconda) in luogo del minimo tecnico di 300 Khz (200 Khz come ampiezza di banda di trasmissione, + 100 Khz come banda di guardia rispetto a quelle adiacenti, in conformità delle norme C.c.i.r.), sia per le irradiazioni spurie conseguenti alle deficienze ed alle modalità di esercizio degli impianti; 2) che, nelle zone in cui il segnale interferente (Radio Bari Club) è assai più ampio del segnale interferito (oltre 100 volte), viene ricevuto solo il primo, mentre, nelle zone in cui i segnali sono dello stesso ordine di grandezze, risultano percepibili entrambi, ma con disturbo reciproco (appunto perché non è rispettato il rapporto di protezione a radiofrequenza, che, per bande distanti 250 Khz, deve essere di 3dB, nel senso che, per non aversi sovrapposizioni, il segnale interferente deve essere meno della metà di quello interferito); 3) più in particolare, che la sovrapposizione in danno dei segnali irradiati da Radio Spazio è determinata, sia dalla circostanza che Radio Bari Club utilizza una frequenza al di sotto della banda di guardia e trasmette anche su frequenze spurie (sì da incanalarsi, quindi, con maggiore o minore intensità, sulla frequenza di 104 Mhz), sia dal fatto che la stessa Radio Spazio utilizza una banda più ampia di quella consentita in base alle stesse prescrizioni tecniche. Tali conclusioni appaiono correttamente motivate, sul piano logico e tecnico. Esse si integrano, poi, con gli elementi di prova documentale (disdette di contratti pubblicitari, attestazioni di ascoltatori in forma di raccolte di firme) fornite dalla ricorrente, pur se in via sommaria, in ordine alla esistenza ed all’origine delle sovrapposizioni sonore, ed alle conseguenze di sviamento del pubblico degli utenti.
Orbene, non è contestabile che le interferenze, concretantesi nella sovrapposizione totale o parziale (a seconda dei punti di ascolto) delle onde radioelettriche irradiate da una emittente sul segnale trasmesso, ad una determinata frequenza, da altra emittente nello stesso, ambito locale, in guisa tale da annullare il segnale interferito ovvero da peggiorarne in modo apprezzabile la qualità di ricezione, si risolvano in una attività di privazione duratura (pur se di intensità variabile) del possesso, avente ad oggetto l’apparato di trasmissione dinamicamente inteso. Ciò vale, si intende, limitatamente all’impiego delle apparecchiature di Radio Spazio secondo criteri di “stabilità” della frequenza prescelta (104 Mhz) e “posseduta”; nel senso che di possesso, e quindi di tutela interdittale, non è a parlarsi con riferimento alla attività di irradiazione della emittente interferita, nella parte in cui la stessa, in quanto caratterizzata da analoghe finalità di allargamento dell’area di ricezione (per scopi commerciali o di ritorsione), ovvero condizionata da analoghe deficienze di impianto e di esercizio, tenda anche essa ad oltrepassare la banda di base e quella di protezione, per attestarsi in pari tempo sulle bande adiacenti. In altre parole, la tutela può accordarsi con esclusivo riferimento alle modalità tipiche e normali di esercizio dell’impianto di trasmissione (frequenza di 104 Mhz, e relativa banda), nelle quali è stata appunto individuata la specifica situazione possessoria. Va, pertanto, ordinato alla resistente di reintegrare in tale possesso la società Radio Spazio, astenendosi, anche con l’impiego dei necessari accorgimenti tecnici (nella parte in cui l’attività lesiva è risultata dipendente da difetti di impianto, e non da volontà di allargamento della banda impiegata), dal produrre irradiazioni sulla banda di frequenza corrispondente ai 104 Mhz, ivi compreso anche il rispetto della banda di protezione. In definitiva, l’onere per la ricorrente di adottare, anche sui propri impianti, le modifiche e le cautele di impiego suggerite dalle conclusioni del c.t.u. discende, non tanto dalla esigenza di evitare l’esperimento di analoghe azioni giudiziarie nei suoi confronti da parte delle emittenti che trasmettono su frequenze vicine, quanto dalla stessa necessità di rendere concretamente operante, in suo favore, la tutela possessoria in questa sede conseguita.
Per questi motivi, visti gli art. 1168 cod. civ., 703 segg. cod. proc. civ., ordina alla resistente Radio Bari Club, in persona del titolare Drago Emanuele, di reintegrare immediatamente la s.n.c. Radio Spazio nel possesso dell’impianto di trasmissione di programmi radiofonici MF sulla frequenza cittadina di 104 Mhz, e, per l’effetto di astenersi, anche con l’impiego di accorgimenti e la effettuazione di modifiche del proprio impianto di trasmissione, dalla emissione di segnali radio interferenti su quelli irradiati sulla frequenza indicata, ivi compresa la banda di protezione; rimette le parti, per il prosieguo della causa, all’udienza del 25 febbraio 1980.