3 DICEMBRE 1984
SENTENZA N. 6337/84 DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, SEZIONI UNITE CIVILI
Svolgimento del processo. – Con citazione dell’8 marzo 1982, la Roma 2 s.r.l., la Telemilano s.p.a., la Teletorino s.p.a., la Videoveneto s.r.l., la Videoumbria s.r.l., la Sardegna TV s.r.l., la Videoadige s.r.l. e la Teleduemila s.a.s., premesso che esercitavano imprese televisive di ambito regionale e che ciò costituiva esercizio di un diritto, anche in mancanza di una specifica normativa in materia; che esse attingevano, per l’allestimento dei loro programmi di carattere spettacolare, a fonti comuni senza obbligo di esclusiva ed avevano affidato l’acquisizione della pubblicità ad una comune concessionaria, la quale aveva segnalato l’opportunità che i programmi fossero trasmessi con l’osservanza degli stessi orari e con l’uso del marchio «Canale 5», allo scopo di consentire ai committenti un controllo più agevole sulla regolare esecuzione degli ordini pubblicitari e sul loro rendimento, ma che la irradiazione dei programmi avveniva senza preciso sincronismo, con sfalsamenti più o meno accentuati e con la possibilità di spostamenti orari; che le suddette modalità di esercizio erano adottate e seguite, con omogeneizzazioni programmatiche parziali o totali e mediante l’uso di videocassette preregistrate, da una serie di circuiti facenti capo a società concessionarie di pubblicità e fornitrici di programmi televisivi, da distinguersi nettamente dalle c.d. «reti» per la mancanza di requisiti specifici dell’interconnessione, del sincronismo operativo e, soprattutto, delle possibilità di trasmissioni in diretta; che l’emittenza privata si era orientata verso una razionalizzazione nel campo produttivo, con una naturale tendenza alla differenziazione dei programmi da parte di stazioni operanti nello stesso ambito territoriale, per ragioni di concorrenza, e alla unificazione dei programmi da parte delle stazioni operanti in ambiti diversi, per ragioni di economia; che un condizionamento tecnico pone il presupposto dell’uso plurimo della stessa frequenza nel tempo e nello spazio, ma che un condizionamento normativo, che possa precludere l’utilizzazione plurima dello stesso programma, non esiste; che recentemente la R.a.i. aveva posto in dubbio la legittimità di tale esercizio, preannunciando ostilità giudiziarie e promuovendo un procedimento cautelare davanti al Pretore di Roma; tanto premesso, le istanti citavano davanti al Tribunale di Roma la R.a.i., ai fini di denuntiatio litis, il ministero delle poste e telecomunicazioni, per sentir dichiarare la legittimità della loro attività e inibire la continuazione delle molestie e delle turbative poste in essere dalla R.a.i.
Nel corso del giudizio pendente davanti al Tribunale di Roma, la R.a.i. Radiotelevisione italiana s.p.a, ha proposto ricorso a queste sezioni unite per regolamento preventivo di giurisdizione (cui aderisce il ministero), deducendo il difetto assoluto di giurisdizione e, comunque, il difetto di giurisdizione del giudice ordinario. Resistono con controricorso le emittenti private. Tutte le parti costituite hanno depositato memoria.
Motivi della decisione. – 1. – Sostiene la R.a.i. – e vi aderisce il ministero – che, risolvendosi la domanda proposta dalle emittenti private davanti al Tribunale di Roma nella pretesa che si ingiunga al ministero delle poste e telecomunicazioni di non tutelare amministrativamente e giudizialmente la riserva statale della radiodiffusione circolare di programmi radiotelevisivi via etere a livello nazionale, allorché la diffusione di programmi identici (secondo palinsesti preordinati e comuni) venga effettuata contemporaneamente per mezzo di «cassette», e che si ingiunga alla concessionaria R.a.i. di non salvaguardare, in presenza di tali atti, la propria posizione di esclusivista né con diffide o dichiarazioni contrarie né con rimedi di natura giudiziaria, le attrici non hanno alcuna situazione giuridica soggettiva da far valere, dato che l’ordinamento non ritiene meritevole di tutela la pretesa, da parte di soggetti privati, di impedire l’esercizio di diritti costituzionalmente riconosciuti, e, da parte dell’autorità pubblica, del potere di autotutela previsto dagli art. 195 e 240 cod. postale. In conseguenza, dovrebbe dichiararsi l’improponibilità della domanda per difetto assoluto di giurisdizione, che sussiste quando venga invocata l’attività giurisdizionale per una situazione soggettiva non qualificabile né come diritto soggettivo né come interesse legittimo, in mancanza nell’ordinamento di una norma che astrattamente la tuteli.
Aggiunge la R.a.i. che, se dovesse escludersi il difetto assoluto di giurisdizione, questa apparterrebbe al giudice amministrativo e non al giudice ordinario. Invero, le società attrici, titolari di imprese di emittenza radiotelevisiva, per la quale ancora difettano della necessaria autorizzazione amministrativa, si trovano, nei confronti della p.a., in una posizione d interesse legittimo, con la conseguenza che la «ingiunzione» richiesta all’a.g.o., incidendo sulla riserva statale del servizio di radiodiffusione a livello ultralocale e sulla concessione di tale servizio in esclusiva alla R.a.i., determinerebbe la disapplicazione di un atto amministrativo ad effetti generali non impugnato davanti al giudice amministrativo; e che, d’altra parte, essendo la posizione soggettiva delle attrici identificabile, ai fini della tutela giurisdizionale, in una posizione di interesse legittimo, nemmeno con riguardo alla domanda di accertamento circa la pretesa legittimità dell’attività svolta dalle società attrici, potrebbe affermarsi la sussistenza di un diritto soggettivo, e quindi, la giurisdizione ordinaria.
2. – Occorre premettere che, a parte la ipotesi in cui possa configurarsi un difetto assoluto di giurisdizione, la norma sulla quale si fonda il riparto di giurisdizione è essenzialmente l’art. 2 l. 20 marzo 1865 n. 2248, all. E, che attribuisce alla giurisdizione ordinaria tutte le materie nelle quali si faccia questione di un diritto civile o politico, comunque vi possa essere interessata la p.a. e ancorché siano emanati provvedimenti del potere esecutivo o dell’autorità amministrativa; mentre il successivo art. 4 indica i limiti dei poteri del giudice ordinario « quando la contestazione cade sopra un diritto » e presuppone la esistenza della giurisdizione, determinata in base ai principi indicati dall’art. 2. Con il criterio del c.d. petitum sostanziale, cui questa corte è solita riferirsi per dirimere le questioni di giurisdizione, i problemi di riparto rifluiscono, appunto, nell’alveo dell’art. 2, dandosi rilievo alla natura dell’interesse sul quale la controversia si instaura. Deve aggiungersi che il criterio del contemperamento della causa petendi con il petitum va inteso nel senso che il giudice fornito di giurisdizione va individuato in ragione del tipo di tutela che l’ordinamento accorda alla situazione soggettiva fatta valere, mentre la pronunzia in concreto invocata attiene soltanto ai limiti del poteri del giudice così identificato; si ché, ove quel criterio porti ad accertare che si controverte su posizioni di diritto soggettivo, va affermata la giurisdizione del giudice ordinario, rimanendo irrilevante, a tal fine, che l’attore abbia chiesto, oltre l’accertamento della lesione del proprio diritto, anche provvedimenti esorbitanti dai poteri del suddetto giudice (sent. 1465/77, Foro it., Rep. 1977, voce Giurisdizione civile, n. 97).
D’altra parte, il principio in base al quale la giurisdizione si determina con riferimento all’oggetto sostanziale della controversia, indipendentemente dalla prospettazione che ne abbia fatto la parte, impone a questa corte di ricercare quale sia l’interesse effettivamente fatto valere, in modo da individuare e qualificare la domanda nei suoi termini reali, con la conseguenza che la giurisdizione deve affermarsi o negarsi in relazione all’azione effettivamente esercitata, al di là delle formule usate dalla parte e della prospettazione che dell’interesse dedotto essa abbia fatto, ed al correlativo interesse processuale a vedere accertata ed affermata la posizione fatta valere da chi abbia instaurato la controversia.
Dalle considerazioni che precedono possono trarsi due conclusioni: la prima è che, avendo le società attrici chiesto al giudice una pronuncia di accertamento della liceità e/o legittimità della loro attività e, inoltre, la pronuncia di una ingiunzione alla R.a.i. di non interferire in quell’attività; questa seconda domanda, in quanto concerne i limiti dei poteri del giudice ordinario, non è risolutiva per escludere la giurisdizione del giudice adito, dovendosi invece avere riguardo alla natura dell’interesse dedotto in giudizio con l’azione di accertamento; la seconda è che, dovendosi individuare l’oggetto del giudizio di merito secondo i criteri cui si è accennato, il fatto che la domanda appaia impostata come tendente all’accertamento che la condotta delle società attrici non viola il diritto soggettivo dell’amministrazione e della sua concessionaria R.a.i., non è argomento idoneo a far affermare che la controversia verte su un diritto soggettivo, quello di cui i convenuti sono titolari.
Infatti, una domanda tendente a far accertare la legittimità del comportamento dell’attore nei confronti di un soggetto determinato si pone necessariamente in termini di relazione tra la posizione soggettiva dell’attore (di cui quel comportamento è espressione) e la posizione soggettiva del convenuto, si che non quest’ultima, di per sé, è il reale oggetto della controversia (specialmente quando non venga contestata), ma la posizione soggettiva che l’attore vanti nei confronti del convenuto; e, quando questo sia la p.a., l’oggetto della controversia è l’accertamento della esistenza, e con quali connotati, di una posizione soggettiva che il privato possa tutelare di fronte all’azione amministrativa.
Del resto, se per proporre una domanda bisogna avervi interesse e se l’interesse processuale è strumentalmente collegato all’interesse sostanziale sul quale si chiede la pronunzia giudiziale, esso è configurabile in capo all’attore, in relazione alla tutela che egli chieda del proprio interesse sostanziale e non già all’accertamento del diritto del convenuto, che potrà formare oggetto d’indagine da parte del giudice soltanto nella relazione in cui esso si trovi con l’interesse dell’attore, sul quale in realtà si chiede la pronunzia giudiziale.
In conseguenza, la domanda proposta dalle società attrici, di accertamento che la propria attività non viola il diritto soggettivo dell’amministrazione, non può intendersi se non come domanda di accertamento della posizione soggettiva che esse possano vantare nei confronti della p.a. ed è a tale posizione soggettiva che bisogna far riferimento al fine di stabilire se essa possa formare oggetto di tutela giurisdizionale e, nella ipotesi affermativa, se sia tutelabile davanti al giudice ordinario ovvero davanti al giudice amministrativo.
3. – Ciò premesso, si osserva che la tesi, secondo la quale la posizione soggettiva del privato, che intenda effettuare trasmissioni televisive via etere in ambito locale, sarebbe del tutto priva di tutela (e vi sarebbe, quindi, un difetto assoluto di giurisdizione), fu respinta da queste sezioni unite con la sentenza 5336/80 (id., 1980, I, 2931), cui prestò implicita adesione la successiva sentenza 1051/82 (id., 1982, I, 1012) nell’affermare la giurisdizione del giudice amministrativo. Si osservò al riguardo che la tesi del difetto assoluto di giurisdizione porta alla inaccettabile conclusione che il principio enunciato dalla Corte costituzionale, circa la compatibilità con il monopolio statale della emittenza privata in ambito locale, assumerebbe una portata meramente programmata e il suo contenuto precettivo risulterebbe vano e mistificatore se fosse consentito al legislatore di rinviarne indefinitamente l’attuazione; e che, del resto, non è esatto che in ordine alla materia in esame si registri la carenza di un’adeguata normativa, la quale, oltre a ribadire la indeclinabile necessità di autorizzazione, permetta di puntualizzare la natura, la portata e la funzione di essa ed i conseguenti riflessi sulla qualificazione della situazione soggettiva dell’interessato. Si precisò, quindi, che dell’autorizzazione costituisce elemento essenziale ed imprescindibile e parte integrante, se non addirittura presupposto condizionante, l’assegnazione di una banda di frequenza; che, con riguardo a tale momento, l’assegnazione ha carattere costitutivo e presenta elementi tipicamente concessori, con aspetti di discrezionalità amministrativa in ordine al quo modo, cui si associano elementi di discrezionalità tecnica. E si concluse che la posizione soggettiva di chi intenda svolgere nei limiti consentiti un’attività di teletrasmissioni via etere, ma non abbia ancora conseguito il provvedimento di assegnazione della banda di frequenza e di autorizzazione del ministero delle poste, si configura come interesse legittimo, quando l’interessato abbia manifestato il suo proposito mercé la istanza di autorizzazione ed abbia elaborato, e magari già predisposto, un progetto d’impianto destinato all’esercizio dell’attività o quando eserciti de facto la predetta attività, ponendosi in una situazione equiparabile a quella di chi, attraverso l’istanza di autorizzazione ed assegnazione della frequenza, abbia manifestato in modo attuoso ed univoco l’intento di avvalersi della libertà di iniziativa garantita dalla Costituzione. Si è detto, infatti, che l’esplicazione di fatto dell’attività in questione è idonea a dare risalto in modo concreto ed attuale allo specifico interesse del soggetto, imprimendo ad esso un carattere differenziato e qualificandolo come interesse legittimo, sia al fine del conseguimento ad opera della stessa amministrazione dei provvedimenti necessari, sia per opporsi eventualmente a provvedimenti che possano comunque ostacolare l’attività come sopra intrapresa.
Tali principi vanno tenuti fermi.
4. – Si è, tuttavia, obiettato che, in seguito alla nota sentenza 202/76 della Corte costituzionale (id., 1976, 1, 2066) si sarebbe non solo verificata, per quanto concerne la emittenza privata radiotelevisiva via etere in ambito locale, una radicale trasformazione dal precedente regime concessorio al (nuovo) regime autorizzatorio, ma la vicenda abrogativa conseguente a quella sentenza avrebbe coinvolto anche l’art. 183 cod. postale nel testo modificato dall’art. 45 l.103/75, con la conseguenza che, nel sistema vigente, da un lato la eliminazione del monopolio radiotelevisivo via etere in ambito locale avrebbe determinato la carenza di qualsiasi potere della p.a. di disciplinare la utilizzazione delle frequenze radioelettriche da parte dei privati (per le quali si dovrebbe applicare la regola del preuso); dall’altro, non sussistendo; allo stato della legislazione una disciplina della prevista autorizzazione statale, l’attività di emittenza privata in ambito locale sarebbe assolutamente libera, con la persistenza in capo ad essa di un diritto soggettivo perfetto che le consentirebbe di adire il giudice ordinario per ottenerne l’affermazione.
E’ necessario avvertire subito che il problema che torna all’esame di queste sezioni unite non può essere pregiudicato dalla circostanza che la parte privata farebbe valere la tutela del diritto di proprietà stigli impianti, poiché questo diritto costituisce un presupposto della stessa proponibilità dell’azione in sede di merito e non spiega alcun rilievo sulla soluzione del problema di giurisdizione, poiché nella individuazione del petitum sostanziale (cui, al fine che interessa, deve aversi riguardo) acquista un rilievo fondamentale l’accertamento della situazione soggettiva nei confronti dei poteri che l’ordinamento conferisce alla p.a.
Non può, poi, consentirsi nell’affermazione, secondo la quale la sentenza della Corte costituzionale n. 202/76 avrebbe liberalizzato l’esercizio della emittenza privata in ambito locale. Quanto ritenuto in proposito da questa corte, con i già ricordati precedenti, deve confermarsi in questa sede, sottolineandosi che le considerazioni della Corte costituzionale, circa una pretesa «liberalizzazione» dell’attività privata su scala locale, sono state svolte con esclusivo riferimento al profilo penale del problema di costituzionalità, dal momento che – si osservò – la rilevanza delle questioni proposte traeva fondamento proprio dalla impossibilità di valutare come fattispecie criminosa l’esercizio della emittenza privata in ambito locale senza autorizzazione, in mancanza di una norma che la prevedesse specificamente, in ossequio al principio della tipicità del reato. Ciò, tuttavia, non esclude un’autonoma valutazione del problema dal punto di vista dell’illecito amministrativo, data la differenza fra le due forme di illecito.
Né è esatto quanto si è affermato circa la caducazione dell’art. 183, 4° comma, d.p.r. 156/73, come modificato dall’art. 45 1. 103/75, che attribuisce all’amministrazione il potere di assegnazione della frequenza per tutte le radiocomunicazioni. La sentenza n. 202/76 della Corte costituzionale dichiarò illegittimi, per violazione degli art. 3 e 21 Cost., gli art. 1, 3 e 45 1. 103/75 non in maniera assoluta, ma nella parte in cui non erano consentiti, previa autorizzazione statale e nei sensi di cui in motivazione, l’installazione e l’esercizio d’impianti di diffusione radiofonica e televisiva via etere di portata non eccedente l’ambito locale.
Trattasi di un potere pubblico che l’amministrazione già in passato esercitava in base a direttive contenute in regolamenti internazionali, secondo la disciplina del trattato di Malaga-Torremolinos del 25 ottobre 1973 ratificato con l. 7 ottobre 1977 n. 790. Il regolamento internazionale di Ginevra (reso esecutivo in Italia con d.p.r. 25 settembre 1967 n. 1525) vincolava gli Stati aderenti a prescrivere la necessità di una licenza governativa per la installazione e l’esercizio di stazioni di emissione, e questa corte, con la sentenza 5336/80, rilevò che tale disciplina, considerata nel contesto di una più ampia regolamentazione di diritto interno facente capo al d.m. 3 dicembre 1976, che ha approvato il piano nazionale delle radiofrequenze, consente di ritenere che attualmente il potere di assegnazione delle frequenze sia rimasto inalterato in capo alla p.a. e che soggettivamente il medesimo spetti al ministero delle poste, ai sensi dell’art. 2 cod. postale. Si tratta di una normativa di carattere transitorio, la quale è applicabile proprio in mancanza della disciplina legislativa auspicata dalla Corte costituzionale, e che è tanto più necessaria ove si tenga conto della importanza che la sentenza n. 202/76 riconobbe ai controlli pubblici nell’esercizio dell’attività di emittenza privata in ambito locale. E, cioè, proprio la possibilità di rinvenire attualmente nell’ordinamento un complesso di norme che consentono alla p.a. quel controllo, che rende possibile una interpretazione del sistema vigente nel senso che l’attività di emittenza radiotelevisiva privata è attualmente consentita, sia pure previa autorizzazione amministrativa, la quale presuppone, a sua volta, che sia stato positivamente esercitato il potere di approvazione dei progetti, ai sensi dell’art. 185 cod. postale, non coinvolto anche esso da alcuna pronuncia di incostituzionalità.
5. – Per quanto riguarda la natura del provvedimento autorizzativo, deve ribadirsi che si tratta di autorizzazione costitutiva in quanto attribuisce al destinatario un quid novi, prima inesistente nella sua sfera giuridica, vale a dire la frequenza assegnata, onde da questo punto di vista non può negarsi che il provvedimento presenti un profilo di carattere tipicamente concessorio. Che debba poi riconoscersi, o meno, alla p.a. una certa sfera di discrezionalità, costituisce problema che fuoriesce dai limiti del regolamento di giurisdizione, ove si tenga presente che, mentre nei confronti dell’atto discrezionale non possono non sussistere posizioni di interesse legittimo, quando si tratti di atto amministrativo vincolato non è sempre vera la reciproca, poiché, se l’atto è vincolato nell’interesse pubblico (come in ogni caso dovrebbe ritenersi nella specie) è certo che nei suoi confronti le posizioni dei destinatari sono sempre qualificabili come interessi legittimi.
Del pari, estraneo al proposto regolamento è l’ulteriore problema che attiene alla individuazione dei criteri tecnici ai quali la p.a. deve ispirare la propria attività di controllo, posto che, ai fini dell’esistenza del potere pubblico (che è il problema decisivo per ciò che qui interessa), è sufficiente avere tratteggiato gli aspetti che attengono alla sua titolarità, mentre tutto quanto riguarda le condizioni attraverso cui il potere può concretamente esercitarsi rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo cui compete istituzionalmente il potere di sindacare la legittimità dei provvedimenti della p.a. e quindi di individuare gli aspetti che attengono al legittimo esercizio del potere.
Tale potere non è condizionato nella sua esistenza neppure dalla mancanza attuale di una disciplina specifica dell’«ambito locale», trattandosi di nozione che – come già rilevato con la sentenza 1051/82 – mai si presta ad essere definita in via astratta da una norma giuridica, in quanto richiede l’apprezzamento di circostanze ambientali che non può non essere devoluto ella discrezionalità amministrativa.
Invero – si osservò in quel precedente – gli stessi criteri che devono guidare la scelta amministrativa non possono non essere influenzati dalla particolarità delle singole fattispecie,tenendo contonon solo della estensione territoriale dell’area, della su importanza e del numero dei soggetti che risiedono in quell’ambito, ma anche della frequenza e della potenza degli impianti, nei singoli casi necessari.
6. – Questa interpretazione del sistema attualmente in vigore trae giuridico fondamento dalla finalità della legge di garantire un ordinato svolgimento della emittenza radiotelevisiva, considerato che la diffusione circolare di programmi radiofonici e televisivi via etere su scala nazionale costituisce, ai sensi dell’art. 43 Cost., un servizio pubblico essenziale ed a carattere di preminente interesse generale, in quanto volto ad ampliate la partecipazione dei cittadini a concorrere allo sviluppo sociale e culturale del paese, in conformità ai principi sanciti dalla Costituzione (art. 1 l. 103/75).
Non può obiettarsi, per contestare questa interpretazione, che non si comprende perché una tale caratteristica, idonea ad assicurare al servizio su scala nazionale gestito dall’ente concessionario un preminente carattere pubblicistico, non dovrebbe estendersi anche alle emittenze private via etere in ambito locale.
La tesi, che ha avuto un certo seguito in dottrina, non considera che, innanzi tutto, i testi normativi, non espunti dall’ordinamento giuridico, qualificano il servizio, che l’ente concessionario svolge in regime di monopolio, come servizio pubblico essenziale e di preminente interesse generale, e quindi, l’interprete non può che prenderne atto. Ma, sotto il profilo della tutela giuridica degli interessi coinvolti dallo svolgimento del servizio su scala nazionale, non può essere sottovalutata l’importanza che deve riconoscersi al profilo funzionale, giacché soltanto lente concessionario ha non solo la facoltà, ma anche l’obbligo giuridico di concorrere allo sviluppo sociale e culturale del paese (art. 1 1. 103/75), mentre un tale obbligo non è pensabile per l’attività svolta dalle emittenti private.
7. – Va, inoltre, sottolineato che la esistenza del potere autorizzatorio è perfettamente compatibile con il riconoscimento del diritto dei privati di gestire impianti radiotelevisivi in ambito locale, poiché la necessità del controllo pubblico trova un fondamento sicuro nella stessa sentenza della Corte costituzionale n. 202/76 che quel diritto riconosce, affinché il medesimo si armonizzi e non contrasti con il preminente interesse generale e si svolga sempre nel rigoroso rispetto dei doveri ed obblighi, anche internazionali, che allo Stato incombono in conformità della Costituzione. E, se, per la stessa posizione di preminenza dell’apparato pubblico rispetto alla iniziativa economica individuale, la legge ha previsto (con norme direttamente applicabili, quale l’art. 183 d.p.r. 156/73 come modificato dall’art. 45 1.103/75 in tema di assegnazione delle frequenze) che sia il pubblico potere a procedere alla ordinata ripartizione delle bande di frequenza di cui dispone in base a trattati internazionali, è del tutto coerente con tale sistema una interpretazione della legge (interna) in senso conforme agli obblighi derivatiti allo Stato dall’assunzione di quegli impegni internazionali. Ciò consente di ritenere tuttora vigente il sistema che non solo attribuisce un potere di controllo allo Stato anche nell’ambito della emittenza su scala locale, ma assicura che l’attività controllata sia svolta senza interferenze di sorta, riconoscendo agli organi pubblici il potere di intervenire affinché quell’attività non sia esercitata in maniera tale da incidere negativamente sul servizio pubblico di carattere nazionale svolto dall’ente concessionario (art. 240 cod. postale). Che poi, in concreto, la norma anzidetta possa essere correttamente invocata dalla p.a. è questione che attiene al legittimo esercizio del potere, e in quanto tale è estranea al proposto regolamento di giurisdizione.
8. – Ricostruito il sistema vigente in termini di potere pubblico incidente in materia, ne risulta confermato che la posizione giuridica delle emittenti private si atteggia come interesse legittimo, il quale, in quanto correlato al potere pubblico, si configura come interesse sia ad ottenere l’autorizzazione amministrativa sia al legittimo esercizio dei poteri sanzionatori spettanti in materia all’autorità amministrativa.
Nessun rilievo può attribuirsi alla obiezione che sino ad oggi non sia stata rilasciata alcuna autorizzazione.
Se, invero, ai fini della tutela giurisdizionale la posizione delle emittenti private che esercitano il diritto di impresa nel campo della diffusione via etere su scala locale, senza autorizzazione o in attesa di ottenerla, è stata parificata, in base alla situazione di fatto attualmente esistente, alla posizione del soggetto che abbia fatto richiesta del provvedimento autorizzatorio, ciò non toglie che oggi è possibile chiedere ed ottenere, ricorrendone i presupposti, il relativo provvedimento secondo le norme sopra richiamate, che la p.a. è tenuta ad applicare in attesa di una sistemazione in via definitiva della materia. E s’intende che, ove la richiesta di autorizzazione non sortisca alcun effetto, sarà possibile impugnare secondoi principi, il silenzio-rifiuto nella competente sede giurisdizionale, onde ottenere, attraverso la pronuncia del giudice amministrativo, l’affermazione dell’obbligo della p.a. di provvedere, con tutte le conseguenze che ne discendono secondo l’ordinamento giuridico.
Ciò consente di superare anche l’obiezione, secondo la quale, avendo le emittenti private proposto nel caso concreto, davanti al Tribunale di Roma, un’azione di accertamento e non essendovi ancora un atto della pubblica autorità che possa essere impugnato davanti al giudice amministrativo, la giurisdizione, in ordine all’azione proposta, non potrebbe che spettare al giudice ordinario. In proposito, è sufficiente ripetere quanto si è poc’anzi osservato e cioè che la mancanza attuale di un provvedimento che conceda o neghi l’autorizzazione, che, su richiesta dell’interessato, la p.a. è tenuta ad emettere in base alle norme vigenti, non preclude alla emittente privata di farne richiesta e di impugnare nella competente sede giurisdizionale amministrativa il silenzio-rifiuto della p.a.
9. – Quanto si è finora osservato consente infine di escludere che possano prospettarsi in questa sede ulteriori profili di incostituzionalità che non siano già stati esaminati, oltre che nella sentenza 202/76, nella sentenza della Corte costituzionale n. 148/81 (id., 1981, I, 2094). Con tale ultima decisione si è dichiarata infondata la questione di costituzionalità della normativa risultante dal combinato disposto degli art. 1, 183 e 195 d.p.r. 29 marzo 1973 n. 156, con riguardo a quanto prescritto dagli art. 1, 2, 45 l. 14 aprile 1975 n. 103 e all’art. 2 l. 10 dicembre 1975 n. 693, nella parte in cui, legittimando il monopolio pubblico delle trasmissioni televisive via etere a carattere nazionale, preclude alle imprese private la possibilità di istituire e gestire attività televisive aventi lo stesso carattere nazionale, in riferimento agli art. 3, 21 e 43 Cost. Ed è appena il caso di aggiungere che, sulla scorta della ricostruzione del sistema precedentemente operata, la sottoposizione della emittenza privata in ambito locale al controllo pubblico e la preordinazione di un meccanismo autorizzatorio attraverso il quale, fra l’altro, tale controllo si esplica, è in perfetta aderenza con il precetto costituzionale posto dall’art. 43 Cost., atteso il carattere di servizio pubblico essenziale e di preminente interesse generale che deve riconoscersi al servizio di radiotelediffusione, che la sentenza della Corte costituzionale 148/81 ha ribadito in termini inequivoci.
10. – In conclusione, deve ritenersi che anche quando il privato che eserciti l’attività di radiotelediffusione agisca a tutela della propria posizione soggettiva attraverso la proposizione di una domanda di accertamento della liceità e/o legittimità della propria attività, sussiste il difetto di giurisdizione del giudice ordinario per essere la controversia devoluta alla giurisdizione amministrativa, allorché il privato, titolare di emittente via etere su scala locale di programmi radiotelevisivi (ma che non abbia conseguito alcun provvedimento autorizzatorio dalla p.a. o sia in attesa di conseguirlo), proponga una domanda o per dolersi contro un provvedimento con cui l’autorità amministrativa abbia ordinato o disposto la chiusura dei suoi impianti ovvero, anche, per tutelare l’esercizio della propria attività di fronte a molestie che assume essere state poste in essere nei suoi confronti dal ministero o dalla R.a.i., concessionaria del servizio. Deve pertanto dichiararsi, nel caso in esame, la giurisdizione del giudice amministrativo. (Omissis).