24 MARZO 1986
SENTENZA DELLA PRETURA CIRCONDARIALE DI TERNI
Fatto e diritto. – I. – Con provvedimento in data 9 dicembre 1985, inottemperato l’ordine di esibizione ex art. 342 c.p.p. emesso il 20 novembre 1985 sulla base dell’acquisita notitia criminis, e previ primi accertamenti urgenti espletati a mezzo della questura di Terni ed eseguiti avvalendosi dell’ausilio dell’architetto Contessa Omero all’uopo nominato perito in via urgente ed in fase istruttoria preliminare con fono del 7 dicembre 1985, questo Pretore provvedeva ai sensi degli art. 219 e 337 c.p.p. a sequestrare il cantiere ed i macchinari utilizzati per gli scavi relativi all’ultimo tronco della C.d. strada panoramica di Piediluco inibendo comunque la prosecuzione dei predetti lavori, sequestrando tutta la documentazione in originale comunque concernente tale strada, presso gli enti pubblici territoriali del comune e provincia di Terni e presso la regione Umbria, contestualmente contestando al titolare dell’impresa appaltatrice dei lavori il reato p. e p. dell’art. 734 c.p. nonché quello di cui all’art. 1 sexies l. 431/85.
Il provvedimento, urgente e necessitato alla luce del secondo esposto del 5 dicembre 1985, che lamentava l’avvio dei lavori di sbancamento della roccia, e volto anche al fine di impedire che il reato venisse portato ad ulteriori conseguenze, veniva emesso alla luce del rapporto in pari data della questura di Terni, che sulla base delle indagini conseguenti e nel corso delle successive attività delegate realizzate, riferiva: A) «l’assenza di strumento urbanistico specifico entro cui far ricomprendere i lavori della strada» e che inoltre gli «strumenti urbanistici (primo P.R.G. approvato il 16 ottobre 1984 n. 464; secondo P.P. approvato il 25 febbraio 1985 con delibera, n. 68 e terzo P.P. in variante in data 5 novembre 1985 delibera n. 92) non riguardano la previsione della strada ma solamente un sentiero pedonale»; 2) che l’«iniziativa di procedere alla costruzione della strada … venne realizzata su parere dell’assessore comunale all’urbanistica del comune di Terni sulla base dell’art. 1, 5° comma, l. 3 gennaio 1978 n. 1».
Nel prosieguo della complessa istruttoria veniva quindi acquisito tutto il materiale di prova amministrativo sequestrato in originale, onde verificare per un verso la sussistenza e per altro verso la legittimità dei provvedimenti autorizzatori necessari ex lege e cioè il rispetto formale e sostanziale della disciplina a protezione delle bellezze naturali (r.d. 29 giugno 1939 n. 1497 e r.d. 3 giugno 1940 n. 1357, leggi reg. Umbria 1° marzo 1980 n. 4 e 8 giugno 1984 n. 29, nonché della recente l. 8 agosto 1985 n. 431 di conversione del d.l. 27 giugno 1985 n. 31), essendo la zona circostante il lago di Piediluco sita nell’ambito del comune di Terni già dichiarata di notevole interesse Pubblico alla luce della normativa previgente con d.m. 26 gennaio 1957 e comunque i lavori in corso realizzati nella fascia dichiarata protetta dall’art. 82, 5° comma, lett. 13), d.p.r. 616/77 novellato ed integrato dall’art. 1 l. 431/85: «territori con termini ai laghi compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla battigia anche per territori elevati sui laghi».
L’indagine richiedeva anzi un ulteriore e distinto approfondimento onde integrare i presupposti della valutazione comunque riservata a questa a.g. sulla sussistenza in concreto della distruzione e del deturpamento delle bellezze naturali della zona del lago di Piediluco ed è autonomamente proseguita pertanto attraverso una attività Peritale affidata a funzionario del ministero dei beni culturali ed ambientali (provvedimento di nomina del perito arch. Principe Leopoldo in data 31 gennaio 1986), previo annullamento della precedente attività istruttoria realizzava senza il rispetto del termine di cui all’art. 304 ter c.p.p. e senza avere previamente esteso l’imputazione agli altri soggetti indiziati di reato. La contestazione l’imputazione agli altri soggetti indiziati di reato.
La contestazione è stata perciò all’uopo estesa, rinnovando la c.g. anche nei confronti dell’imputato originario (solo parzialmente), agli imputati Cerquaglia Zefferino e Amati Giovanni, rispettivamente presidente della giunta provinciale di Terni e direttore dei lavori nominato dalla provincia, per il reato di cui in rubrica. Infatti sulla base delle risultanze processuali e degli elementi raccolti attraverso la perizia dell’arch. Contessa Omero (formalmente depositata il 3 febbraio 1986, ma in realtà già allegata ai due successivi rapporti di Polizia giudiziaria del 9 dicembre 1985) il reato di cui all’art. 1 sexies l. 431/85 risultava non sussistere, alla luce delle considerazioni espresse nella separata sentenza istruttoria di proscioglimento dell’imputato Paci Luciano depositata il 7 febbraio 1986, sentenza con la quale veniva chiuso il ramo relativo del procedimento pendente; sentenza divenuta inoppugnabile, e comunque non impugnata alla difesa, che invece ha ricorso in Cassazione (il 18 febbraio 1986) contro tutti i provvedimenti relativi alla prima perizia (notificato l’avviso di deposito il 15 febbraio 1986), trascurando la manifesta preclusione e la propria macroscopica carenza di interesse ad impugnare e richiedendone comunque la dichiarazione di nullità nonostante fossero destinati a non essere più utilizzati nel procedimento per il reato di cui all’art. 734 c.c. Il ricorso, tardivamente depositati i motivi (il 10 marzo 1986, e cioè 23 giorni dopo la notifica al difensore e all’imputato dell’avviso di deposito di tutti gli atti impugnati) veniva sotto tale profilo (riservato al giudice a quo) dichiarato inammissibile, assorbito il motivo relativo alla preclusione originaria (anch’esso rilevabile dal giudice a quo). In data 7 febbraio 1986 gli imputati Cerquaglia Zefferino e Amati Giovanni proponevano richiesta di riesame del decreto di sequestro, accolta con provvedimento di revoca del sequestro del Tribunale della libertà di Terni del 10 febbraio 1986.
Nel corso del prosieguo istruttorio, rinnovato l’incarico del perito dr. Principe Leopoldo e formulato il quesito inerente all’accertamento in concreto dell’evento distruzione o deturpamento di bellezze naturali sanzionato dall’art. 734 c.p., veniva indi depositata all’esito dell’espletato incarico perizia in data 13 marzo 1986.
A seguito di mandato di comparizione del 14 marzo 1986 gli imputati sono stati poi interrogati in data 24 marzo 1986. Sulla scorta della perizia ultima indicata, questa a.g. è pervenuta quindi alla presente sentenza istruttoria di proscioglimento con la formula in dispositivo adottata.
II – 1. – La fondamentale questione che va risolta, in limine, attiene alla astratta configurabilità nel caso de quo della fattispecie di reato contestata, e ciò alla luce delle valutazioni espresse nella già depositata sentenza istruttoria di proscioglimento del solo imputato Paci Luciano per il diverso reato contestato di cui all’art. 1 sexies l. 431/85 e soprattutto delle argomentazioni esposte dalla difesa nell’impugnazione, dinanzi al tribunale della libertà, del sequestro del cantiere e dei macchinari (questi ultimi in realtà, come ben sapeva la difesa, già prontamente dissequestrati con provvedimento di questa a.g. in data 13 dicembre 1985, con le motivazioni per le quali si rimanda in atti), e delle stesse ragioni di ordine giuridico che hanno ispirato il provvedimento di «revoca» del sequestro del cantiere (e di «nuovo» dissequestro dei macchinari) emesso dal tribunale della libertà in data 11 febbraio 1986.
Il profilo che deve perciò essere necessariamente approfondito in questo concreto contesto processuale riguarda la connotazione giuridica e rilevanza ai fini penali sia del vincolo paesistico che del provvedimento di autorizzazione dei lavori ed opere da realizzare ai sensi dell’art. 7 r.d. n. 1497/39 e la autonoma (o meno) configurabilità dell’evento penalmente sanzionato: distribuzione o deturpamento di bellezze naturali in costanza della suddetta autorizzazione regionale (nel caso concreto del consorzio socioeconomico urbanistico comprensoriale, organo subdelegato ai sensi delle l. reg. Umbria n. 14 del 4 marzo 1980 e n. 29 dell’8 giugno 1984).
II. – 2. – Secondo la migliore giurisprudenza e dottrina la fattispecie penale di cui all’art. 734 c.p. è costituita da norma il cui precetto, concretizzantesi nel divieto di cagionare in qualsiasi modo distruzione o alterazione di bellezze naturali dei luoghi soggetti alla speciale protezione delle autorità, rimanda (ancor oggi, dopo la l. 431/85) per la propria integrazione, ai fini meramente qualificativi della liceità o meno del comportamento dell’agente, al provvedimento amministrativo costitutivo e dichiarativo del vincolo paesaggistico (ai sensi dell’art. 1 r.d. n. 1497 del 29 giugno 1939). Quest’ultimo perciò non costituisce fonte di regolamentazione diretta a precisare il contenuto della condotta ma limite esterno e presupposto di applicabilità della fattispecie penale (cosí, tra le molte, Cass. 18 giugno 1968, Fazio).
In altri termini detto perché sia ipotizzabile il reato p. e p. dall’art. 734 c.p. deve innanzitutto accertarsi che l’opera ricada su area protetta, costituendo tale circostanza presupposto essenziale di operatività della fattispecie.
La recente l. 431/85 c.d. legge Galasso ha peraltro radicalmente innovato lo stesso modello di dichiarazione del vincolo, assoggettando direttamente a tutela gli ambiti territoriali che presentano i caratteri tipologici individuati, non a caso, nell’ultimo comma aggiunto all’art. 82 d.p.r. 616/77: il criterio estetico pilastro del r.d. 1497/39 ha quindi lasciato (in parte) il posto ad una diversa e moderna «concezione del paesaggio, oggettiva e storicistica, che fa capo alla sua accezione geografica» mentre le introduzioni di un criterio automatico di costituzione del vincolo, su base legale e non provvedimentale, ha lasciato al contempo sopravvivere il criterio tradizionale (per le aree noti direttamente protette). Ne deriva quindi che, essendo il regime originario di costituzione del vincolo mediante pubblicazione degli elenchi di cui all’art. 2 r.d. 1497/39 non soppiantato né direttamente interessato dall’intervenuta declaratoria legale delle aree immediatamente protette ai sensi della l. 431/85, l’uno e l’altro modello di speciale protezione da parte delle autorità costituiscono ormai insieme il punto di riferimento ed il metodo di qualificazione del vincolo, ambedue presupposti nell’art. 734 c.p.
Al fini di causa la zona di Piediluco (in parte minima interessata dai lavori della strada panoramica) al momento dell’esercizio dell’azione penale era già protetta e dichiarata di rilevante interesse pubblico e paesaggistico con d.m. 26 gennaio 1957 (G.U. n. 46 del 19 febbraio 1957) ed oltretutto è stata direttamente sottoposta a tutela della 1. 431/85 per le zone boschive e limitrofe al lago (fascia compresa nei 300 metri, anche per zone elevate). La ormai risalente costituzione del vincolo aveva posto perciò i luoghi circostanti al lago di Piediluco in una condizione giuridica dì relativa immodificabilità, imponendo una serie di doveri coordinati e finalizzati alla conservazione dello stato attuale del bene vincolato. La summenzionata condizione dì relativa immodificabilità dei luoghi era tuttavia puntualmente e motivatamente derogabile (ed è stata di fatto derogata come è ormai stato acclarato con sentenza di proscioglimento divenuta inoppugnabile) attraverso il procedimento autorizzatorio disciplinato dall’art. 7 r.d. 1497/39 cit.: tale meccanismo giuridico è approntato però al fine di garantire un preventivo sostanziale apprezzamento tecnico discrezionale della p.a. cadenzato sulla comparazione tra lo stato attuale della zona protetta e quello che essa potrà assumere in seguito alla realizzazione dell’opera progettata, e finalizzato ad evitare comunque la menomazione dell’interesse tutelato in via primaria, così non pregiudicandosi necessariamente a priori gli interessi pubblici o privati estranei al contesto procedimentale e volti alla realizzazione dell’opera.
All’uopo, e per meglio chiarire quanto appena accennato, sembra opportuno sottolineare l’esatto significato e la portata del vincolo alla luce del principio fondamentale sancito dalla Costituzione (art. 9, 2° comma) inquadrandone così la rilevanza primaria nel nostro ordinamento giuridico, attraverso il richiamo testuale di tre note massime della Suprema corte: «L’esclusione di una indennità per i beni inseriti negli elenchi delle bellezze naturali, è giustificata dal fatto che trattasi di una categoria di beni originariamente di interesse pubblico perché naturalmente paesistici e condizionati a limitazioni di godimento secondo particolare regime» (Corte cost. 20 febbraio 1973, n. 9, Foro it., 1973, I, 971); «I beni immobili qualificati di bellezza naturale hanno valore paesistico per una circostanza che dipende dalla loro localizzazione e dalla loro inserzione in un complesso che ha in modo coessenziale le qualità indicate nella legge» (Corte cost. 29 maggio 1968, n. 56, id., 1968, I, 1361); «La tutela di bellezze naturali formanti paesaggio è posta dall’art. 9 fra i principi fondamentali della Costituzione unitamente alla tutela del patrimonio storico e artistico, quale appartenente all’intera comunità nazionale. Essa pertanto non è materia di competenza regionale, come risulta anche dal fatto che non è compresa nell’elenco di cui all’art. 113 Cost. …» (Corte cost. 20 febbraio 1973, n. 9).
A chiaro quindi, soprattutto alla luce dell’ultima menzionata pronuncia della Corte costituzionale, quanto importante e delicato sia il ruolo assegnato alle regioni, cui è stata delegata ai sensi dell’art. 82 d.p.r. 616/77 la potestà autorizzatoria di cui all’art. 7 cit. già appartenente allo Stato (che la esercitava attraverso le sovraintendenze, organi periferici dell’odierno ministero dei beni culturali ed ambientali); e quanto in concreto, pur essendo amplio il margine tecnico discrezionale di valutazione della situazione concreta scaturente dalla esecuzione di una opera di area dichiarata protetta, significative debbono essere le cautele utilizzate e attenta la ponderazione del complesso degli elementi da valutare. In tale chiave vanno quindi appositamente considerate le norme regolamentari di cui all’art. 16 r.d. 3 giugno 1940 n. 1357, le quali prescrivono che il progetto da presentare in triplice esemplare deve descrivere anche mediante disegni o fotografie, l’attuale aspetto esteriore dell’immobile e dare nel contempo una visione chiara e precisa, nei suoi dati e nelle sue linee essenziali, delle trasformazioni che si intendono eseguire e prevedono, e che prima di provvedere in ordine al rigetto all’autorizzazione dell’opera, possano essere consigliate modificazioni che migliorino movimenti e valori di massa, effetti di chiaro-scuro, importanza e distribuzione di elementi decorativi, rapporti di colore, e delle norme particolareggiate sulla vegetazione subordinando all’accettazione di queste l’eventuale autorizzazione.
Le considerazioni fin qui sviluppate, per sommi capi, non mutano sostanzialmente qualora l’opera (come nel caso di specie) sia realizzata da un ente pubblico territoriale e sia una strada: gli interessi pubblici sottesi alla realizzazione di questa non possono infatti concorrere (a uguale titolo) a compenetrare le valutazioni ai fini autorizzatori della regione o dell’ente pubblico subdelegato da questa, e costituiscono perciò al pari di quelli privati interessi recessivi e/o non equiordinati nel concreto contesto procedimentale (Cons. Stato, sez. VI, 18 novembre 1980, n. 1104, id., Rep. 1981, voce Bellezze naturali, n. 23). Il complesso del discorso, che necessiterebbe ulteriori approfondimenti con riguardo alla pianificazione paesistica e alle rilevanti modifiche di natura procedimentale introdotte dalla l. 431/85 che ha per la prima volta concretizzato una significativa sequenza (e circolarità) di interventi a livello statale e regionale, reciprocamente coordinati e interferenti, non può essere in questa sede affrontato; ma ai fini che interessano consegue da quanto sin qui detto, de plano, che la natura stessa della autorizzazione di cui all’art. 7 r.d. 1497/39 implica l’onere di una motivazione espressa che dia conto almeno del procedimento valutativo utilizzato e delle cautele in concreto considerate significative e previste ai fini della tutela del paesaggio. L’obbligo generale di motivazione dei provvedimenti ad alto tasso di discrezionalità (e comunque non vincolati) formulato con riguardo essenziale alla eventuale incidenza su diritti ed interessi legittimi dei soggetti dell’o.g. (Cons. Stato, sez. VI, 8 febbraio 1972, n. 43, id., Rep. 1972, voce cit., n. 19) riguarda perciò necessariamente sia i provvedimenti a contenuto negativo (rigetto), che i provvedimenti di autorizzazione ex art. 7 a contenuto positivo (cosí espressamente Cons. Stato, sez. VI, 19 maggio 1981, id., Rep. 1981, voce cit., n. 35), e l’a.g. dal canto suo ben può valutare la motivazione o la carenza di questa come un vizio di illegittimità del provvedimento.
Riprendendo, dopo tale necessaria digressione, il filo del ragionamento sul piano della tutela approntata all’interesse penalmente protetto, va ora considerato che la consolidata ed ormai ultraventennale giurisprudenza della Cassazione è prevalentemente orientata nel senso che l’autorizzazione ai sensi dell’art. 7 r.d. 1497/39 non esclude l’antigiuridicità penale del fatto, in quanto non rimuove il vincolo e costituisce esclusivamente un mezzo preventivo di tutela del bene paesaggistico.
Il reato di cui all’art. 734 c.p. è infatti un reato c.d. ad evento, in senso naturalistico inteso, e di danno (Cass. 3 maggio 1973, Fontanini, id., Rep. 1974, voce cit., nn. 25, 26) e perciò, in quanto «le bellezze naturali hanno un valore paesistico per una circostanza (obiettivabile) che dipende dalla loro localizzazione in un contesto che ha in modo coessenziale le qualità indicate» (dall’art. 1 r.d. 1497/39) ovvero della individuazione automatica, sulla base di parametri legali fissati (nell’art. 82 d.p.r. 616/77 novellato dall’art. 1 l. 431/85), supporre che la sfera di rilevanza giuridica del danno dipenda dalla esistenza o meno dell’autorizzazione equivale a qualificare questa come licenza di deturpare o distruggere e a rendere irrilevante sul piano penale ciò che (in realtà) factum infectum fieri nequit, nella sua obiettiva consistenza. Proprio alla luce di tale ultima considerazione e di una attenta riflessione sul ruolo dell’autorizzazione ex art. 7 r.d. 1497/39 la Cassazione, dopo la aspramente criticata e ormai lontana pronuncia del 12 luglio 1963 (Tribuzzi, id., 1964, II, 295), ha pertanto chiarito in modo incisivo ed inequivocabile che «rientra nell’esclusivo potere del giudice accertare se in concreto l’opera eseguita … abbia distrutto, alterato, deturpato od occultato le bellezze naturali soggette al vincolo paesaggistico, indipendentemente dalla concessione o meno della autorizzazione amministrativa; quest’ultima può avere rilevanza solo ai fini della esclusione dell’elemento psicologico» (Cass. 15 maggio 1968, Pelli, id., 1969, II, 232); e nello stesso ordine di idee, riferito al caso simmetrico di opera non autorizzata, ha ribadito che «dalla mancanza di autorizzazione a costruire in zona sottoposta a vincolo paesistico non può farsi scaturire la presunzione che la costruzione alteri la bellezza dei luoghi «dovendo» il giudice valutare caso per caso se una nuova costruzione alteri o deturpi la bellezza naturale della zona sottoposta a tutela» (Cass. 11 maggio 1968, Berti, ibid., 5). Alle due fondamentali pronunce testé richiamate hanno poi fatto seguito le conformi decisioni (alcune delle quali inedite) del giudice di legittimità e dei giudici di merito che a solo titolo esemplificativo (e non esaustivo) si riportano di seguito Pret. Salò, sent. 24 giugno 1966 (id., Rep. 1966, voce cit., n. 47); Pret. Pietrasanta, sent. 11 gennaio 1970 (id., Rep. 1972, voce cit., nn. 51, 58); Pret. Cetraro, sent. 14 giugno 1980 (id., 1981, II, 283); Pret. Pesaro 27 febbraio 1985, Baldassarri; Cass. 20 giugno 1968, Baiamonte; 2 agosto 1968, Cesaletti; 4 febbraio 1969 imp. Basile; 19 giugno 1978, Cavatorta ed altri (id., Rep. 1979, voce cit., n. 29).
Tale consolidata lettura giurisprudenziale è stata infine da ultimo confortata dalla stessa introduzione della nuova fattispecie penale di cui all’art. 1 sexies l. 431/85 la quale (pur infelicemente formulata in quanto sia il relativo precetto che la sanzione risultano disciplinati per rinvio ed oltretutto non sufficientemente determinati) costituisce ipotesi sanzionatorie di omissioni formali procedimentali e autorizzatorie o di violazione delle inibitorie assolute in una transitoria fissate, così risultando per converso ulteriormente delineato il campo di operatività dell’art. 734 c.p.
La questione relativa alla eventuale disapplicabilità dell’autorizzazione amministrativa (che è cosa diversa dalla indifferenza della autorizzazione ai fini dell’accertamento della sussistenza dell’evento penalmente sanzionato) si muove invece su un diverso piano e non comporta particolari problemi dovendo essere risolta in base al consolidato e più che secolare principio contenuto nell’art. 5 l. 20 marzo 1865 n. 2248, all. E, in virtù del quale il provvedimento viziato da illegittimità (ai sensi dell’art. 26 t.u. sul Consiglio di Stato) può e deve essere sindacato dall’a.g.o. (così Cass. 14 ottobre 1977, Sabelli, id., Rep. 1978, voce cit., nn. 42-46). (Omissis)
III. – La valutazione in concreto ed in aderenza al caso dì specie sul se ed in che modo risulti integrato nel concreto contesto di alterazione dei luoghi il distinto evento distruzione o deturpamento di bellezze naturali e la lesione dell’interesse penalmente sanzionato dall’art. 734 c.p., può ora essere in modo sintetico affrontata, alla luce degli esiti della conclusa indagine peritale, e sulla scorta delle valutazioni che, in quanto espresse dall’esperto nominato con metodo logico immune da vizi, sono recepite quale ulteriore conforto alla propria valutazione da questa a.g.
Deve all’uopo chiarirsi che nella stessa formulazione del quesito ed in aderenza alle indicazioni del giudice di legittimità (per tutte Cass. 14 ottobre 1977, Sabelli, cit.) si è prestata particolare attenzione a che il perito tenesse presente, anche attraverso il progetto, l’opera compiuta nella sua realizzazione finale e non solo nella sua connotazione attuale (in itinere), all’interno del contesto paesaggistico.
Il progetto della strada panoramica di Piediluco prevede infatti un tratto di strada in completamento che «inizia dal punto di immissione della medesima nella strada principale di Piediluco all’altezza dell’incrocio di questo ultimo con il breve raccordo con la SS. 79» e si estende per una lunghezza di c.a. 370 mt.; per una parte di questo tracciato, la cui lunghezza lineare ammonta a c.a. 220 mt. sono previsti lavori di sbancamento della roccia che comportano distruzione della flora locale anche ad alto fusto e lungo tutto lo scavo. In fase di realizzazione è prevista la realizzazione di bauletti in cemento a copertura dei muretti a lato delle cunette (quindi visibili alle distanze lunghe e non integrati nel circostante ambiente naturale), di gabbionate di contenimento laterali, necessarie per la realizzazione della strada, senza che sia allo stato previsto rivestimento con essenze vegetali od altro idoneo accorgimento atto a facilitare l’inserimento nel concreto contesto naturalistico del tutto.
In relazione al quesito il perito, alla luce delle ispezioni e degli accertamenti effettuati alla presenza dei consulenti di parte, dopo varie considerazioni su eventuali modificazioni o accorgimenti atti a migliorare importanza e distribuzione di elementi decorativi, rapporti di colore e integrazione nella vegetazione della strada (nel quadro di cui all’art. 16 r.d. 3 giugno 1940 n. 1357), ha evidenziato nella perizia: «La strada panoramica di Piediluco, per quel tratto sopraddetto attualmente in appalto alla ditta Paci Luciano, pur non avendo i connotati di una opera che distrugga le bellezze naturali dei luoghi non apporta ai medesimi alcun beneficio sotto il profilo delle bellezze naturali; mentre ritengo che ci sia, anche se in dimensione modesta, un deturpamento delle stesse bellezze naturali della zona circostante il lago di Piediluco, in quanto la strada in costruzione si vede da più punti di vista accessibili al pubblico, e la dimensione degli sbancamenti della roccia della collina, occorsi per realizzare il tracciato, nonché le opere murarie a sostegno e contenimento della medesima, anche se non di dimensioni mascroscopiche, hanno cancellato in alcuni tratti la natura preesistente, atteso che il d.m. 26 gennaio 1957 per le predette aree circostanti il lago di Piediluco ha riconosciuto che esse costituiscono, per la loro posizione e conformazione, un quadro naturale di singolare bellezza panoramica avente altresì notevole valore estetico e tradizionale, ed offrono numerosi punti dì vista accessibili al pubblico dai quali si può godere lo spettacolo di queste bellezze». In sostanza nonostante siano state adottate delle «soluzioni tecniche» e cautele concrete nella delibera della provincia di Terni n. 313 del 26 settembre 1983, sulla cui attuazione è ragionevole operare una previsione favorevole, e lungo il percorso siano state ad esempio previste terrazze onde migliorare e potenziare la visione panoramica del lago offerta ai turisti, la strada panoramica progettata comporta comunque un deturpamento delle bellezze del luogo, incidendo in particolare sulla vegetazione naturale. A ciò potrà porsi solo (parziale) riparo potenziando le soluzioni estetiche ed architettoniche esemplificativamente indicate nella perizia e le altre pure genericamente invocate dì recente, in un elaborato reso noto alla stampa, della Il commissione consiliare del comune di Terni (vedi Il Messaggero del 13 marzo 1986 in cronaca di Terni, allegato in atti).
Orbene, alla luce della consolidata giurisprudenza della Cassazione deve ritenersi integrato l’elemento materiale del reato di deturpamento delle bellezze naturali «allorquando l’opera dell’uomo, inserendosi scriteriatamente nei quadri naturali o bellezze di insieme viene a turbare la sensazione di godimento estetico che essi offrivano alla vista prima dell’atto lesivo della loro integrità» (Cass. n. 1143 del 7 febbraio 1974, Buono), a nulla rilevando la circostanza che il deturpamento sia parziale e di non particolare gravità e purché quest’ultimo si sia manifestato nella sua autonoma rilevanza rispetto alla alterazione dei luoghi concretamente posta in essere (Cass. 16 giugno 1980, Cappellaro, id., Rep. 1981, voce cit., n. 28). All’uopo è peraltro opportuno richiamare altra nota massima tratta da pronuncia della Suprema corte in un caso particolarmente aderente a quello dì specie: «le bellezze paesaggistiche sono il risultato di componenti varie e la vegetazione naturale ne rappresenta una delle caratteristiche più importanti. Integra pertanto il reato di alterazione delle bellezze naturali lo spianamento di terreno e la distruzione della vegetazione verde, in località soggetta a speciale protezione paesaggistica …» (Cass. 17 febbraio 1975, Naldi, id., Rep. 1976, voce cit., n. 40).
Sulla base delle considerazioni che precedono l’alterazione dei luoghi circostanti il lago di Piediluco per gli effetti deturpanti già arrecati e che comunque arrecherà, anche alla luce dell’attuale progetto finale dell’opera, costituisce pertanto fatto punibile.
IV. – Con l’accertata sussistenza dell’evento deturpamento delle bellezze naturali si è conclusa positivamente l’indagine sull’elemento oggettivo del reato. Di tale fatto devono rispondere tutti e tre gli imputati nei loro rispettivi ruoli in quanto «destinatari della norma di cui all’art. 734 c.p., che fa divieto di distruggere o alterare le bellezze naturali dei luoghi soggetti a vincolo paesaggistico, sono non soltanto i proprietari, possessori e detentori degli immobili protetti, ma tutti coloro che siano in grado di effettuare in concreto costruzioni o demolizioni nei luoghi suddetti. Nella specie è stato ritenuto soggetto attivo del reato l’appaltatore di lavori di sistemazione idraulica forestale» (Cass. 6225 del 22 settembre 1973, Santarelli).
Ma, come già accennato, gli imputati hanno posto in essere l’attività materiale incriminata solo quando risultava percorso l’iter procedimentale prescritto dalle norme amministrative (e comunque concluso con i due relativi fondamentali provvedimenti autorizzatori): 1) deliberazione del consiglio di circoscrizione del 15 novembre 1981; 2) parere favorevole della giunta comunale di Terni del 18 novembre 1981; 3) autorizzazione della comunità montana (per il vincolo idrogeologico e per i movimenti di terra) del 29 febbraio 1984; 4) delibera consiglio del consorzio socioeconomico urbanistico del comprensorio ternano n. 189 del 7 settembre 1984; 5) delibera di assenso ai fini ambientali della regione Umbria n. 2251 del 10 aprile 1985 ai sensi dell’art. 11 l. reg. 8 giugno 1984 n. 29; 6) concessione edilizia del comune di Terni del 16 aprile 1985.
La giurisprudenza di legittimità e di merito sono peraltro pacificamente orientate a ritenere che l’errore sulla liceità (penale) ingenerato da un procedimento o parere dell’organo amministrativo competente sia scusabile, limitatamente alle contravvenzioni in applicazione del brocardo ad impossibilia nemo tenetur, e sulla scorta di un comprensibile e condivisibile atteggiamento equitativo volto a mitigare le più aspre e irragionevoli applicazioni formali del principio nemo consentur legem ignorare di cui all’art. 5 c.p., senza tuttavia intaccarne la esatta portata giuridica; e tale orientamento generale dominante ha trovato specifica e univoca applicazione in una significativa serie di pronunce in sede di valutazione della sussistenza della colpa dell’imputato del reato p. e p. dall’art. 734 c.p. (Pret. Roma 3 dicembre 1976, id., Rep. 1977, voce cit., n. 40; Pret. Pesaro 209 del 27 febbraio 1985, Caselli; Trib. Vicenza, 8 febbraio 1973, id., Rep. 1973, voce Edilizia e urbanistica, n. 594; Pret. Napoli 7 gennaio 1977, id., Rep. 1977, voce cit., n. 432; tra le ultime in particolare Pret. Salò 12 aprile 1985, id., 1985, II, 247).
La figura dommatica e giurisprudenziale dell’errore scusabile sulla liceità del fatto si presta perciò ad essere pienamente applicata al caso di specie; in quanto in tutto il corso dell’istruttoria ampli sono stati i riscontri in ordine alla piena buona fede degli imputati al momento dell’avvio dei lavori di sbancamento, e fino alla presente sentenza; e poiché la contravvenzione di cui all’art. 734 c.p. nell’ipotesi di deturpamento di bellezze naturali costituisce secondo l’autorevole insegnamento della Suprema corte reato istantaneo con effetti permanenti, consumatosi nel caso di specie prima del momento del sequestro del cantiere (9 dicembre 1985) «la condotta criminosa antigiuridica che produce l’evento della distruzione o della alterazione si esaurisce nel momento del compimento degli atti commissivi rivolti alla distruzione, o della costruzione che altera la bellezza naturale, verificandosi nello stesso momento della lesione del bene giuridico tutelato dalla norma; ed ha effetti permanenti perché, pur consumandosi istantaneamente, perdura tuttavia il danno della distruzione o della alterazione delle bellezze naturali» (Cass. sent. 4396 del 22 giugno 1972, Angioloni, giurisprudenza costante).
Devesi quindi concludere per la non integrazione del fatto di reato nel suo elemento soggettivo e gli imputati vanno di conseguenza prosciolti con la formula piena corrispondente.