23 ottobre 2020 – Sentenza del Tar Lazio (Sezione Terza Ter)

23 OTTOBRE 2020
SENTENZA DEL TAR DEL LAZIO (SEZIONE TERZA TER)

sul ricorso numero di registro generale 14310 del 2018, integrato da motivi aggiunti, proposto da
XXX S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati (…, …, …), con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero dello Sviluppo Economico, Ministero dell’Economia e delle Finanze, Presidenza della Repubblica, Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti

AAA S.r.l., BBB S.r.l. non costituiti in giudizio;

e con l’intervento di

ad opponendum:
CCC, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati (…, …, …), con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio (…) in Roma, via Antonio Gramsci n. 24;
DDD, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati (…, …, …, …, …, …), con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio (…) in Roma, via Ombrone n.12/B;
EEE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati (…, …, …, …), con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio (…) in Roma, Vittoria Colonna n. 40;
FFF, GGG. HHH, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dagli avvocati (…, …), con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio (…) in Roma, via Antonio Gramsci n. 24;

per l’annullamento

– del provvedimento del Ministero dello sviluppo economico (Direzione generale servizi di comunicazione elettronica, di radiodiffusione e postali) dell’1.10.2018 di approvazione della graduatoria definitiva delle domande ammesse al contributo per l’anno 2016 delle emittenti televisive a carattere commerciale, unitamente a dette graduatorie definitive (all.ti A e B);

– degli atti presupposti, consequenziali e connessi, inclusi: la relazione prot. n. 58527 del 28.9.2018 (istruttoria sui reclami pervenuti); il d.d. 12.7.2018 di approvazione delle graduatorie provvisorie unitamente agli elenchi ivi allegati; il d.d. 13.7.2018; la relazione prot. n. 45823 del 12.7.2018 (istruttoria delle domande pervenute); la nota del Direttore generale dei servizi di comunicazione elettronica, radiodiffusione e postali, recante riscontro alle osservazioni della ricorrente; il d.P.R. 23 agosto 2017, n. 146, “Regolamento concernente i criteri di riparto tra i soggetti beneficiari e le procedure di erogazione delle risorse del Fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione in favore delle emittenti televisive e radiofoniche locali”, e allegate tabelle 1 e 2; il decreto del Ministero dello sviluppo economico del 20.10.2017, “Modalità di presentazione delle domande per i contributi alle emittenti radiofoniche e televisive locali”;

nonché, con motivi aggiunti, per l’annullamento:

-del decreto direttoriale mise.AOO_COM.REGISTRO UFFICIALE.Int.0014060.25.2.2019, mediante il quale il Direttore Generale del Ministero dello Sviluppo Economico, ad integrazione del Decreto direttoriale 1 ottobre 2018 di approvazione della graduatoria definitiva delle domande ammesse al contributo per l’anno 2016 delle emittenti televisive a carattere commerciale, ai sensi dei commi 3 e 4 dell’art. 5 del DPR 146/2017, ha autorizzato la liquidazione di un secondo acconto in favore delle emittenti beneficiarie nella misura di un ulteriore 40%;

nonché di tutti gli atti presupposti.

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dello Sviluppo Economico, del Ministero dell’Economia e delle Finanze, della Presidenza della Repubblica e della Presidenza del Consiglio dei Ministri;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 23 ottobre 2020 la Cons. Paola Anna Gemma Di Cesare e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1.- Con il ricorso in epigrafe ritualmente notificato e depositato, la società XXX s.r.l. (di seguito anche: società) riferisce in punto di fatto che: è un’emittente televisiva locale operante nella regione Puglia, titolare di autorizzazione per fornitura di servizi media audiovisivi (FSMA) in ambito locale ai sensi della delibera AGCOM n. 353/11/CONS per marchi/palinsesti diffusi con numerazione automatica (LCN)” (art. 3, co. 1, lett. a); nel dicembre 2017 presentava domanda per l’accesso ai contributi pubblici di cui al DPR 146/2017; in data 12.7.2018 era pubblicata la graduatoria provvisoria approvata con Decreto Mise n. 45870 del 12.7.2018, all’interno della quale la ricorrente risultava collocata in posizione n. 103, con un punteggio di 977,178 conseguito sull’area A (riferita al criterio dei dipendenti e giornalisti), di zero sull’area B (auditel) e sull’area C (spese tecnologiche); la società presentava osservazioni; in data 1.10.2018, con decreto del Mise prot. 58806 era pubblicata la graduatoria definitiva, nella quale, per la società, era confermata la posizione n. 103, con un punteggio complessivo di 977,178, corrispondente ad un contributo pubblico di euro 95.426,44.

La ricorrente lamenta di aver ricevuto un contributo economico di gran lunga inferiore a quello che le sarebbe effettivamente spettato ed impugna pertanto la graduatoria.

Impugna, altresì, il DPR 146/2017, nella parte in cui ha stabilito criteri e parametri violativi dei principi perseguiti dalla legge istitutiva del fondo sia a causa del peso assolutamente sproporzionato attribuito al numero dei dipendenti e ai rilevamenti auditel sia in relazione al criterio di computo dei dati auditel e alla fissazione del cd. scalino preferenziale per le prime 100 emittenti classificate alle quali, a mente dell’art. 6, co. 2, è stato assegnato il 95% delle risorse complessive.

Il ricorso è affidato ai seguenti motivi:

I) Violazione ed errata applicazione degli artt. 3, 5, 9, 21, 41, 114 Cost.; violazione ed errata applicazione dei principi sottesi alla l. 208/2015, art. 1, co. 160 e ss. e alla l. 198/2016; violazione ed errata applicazione dell’art. 6, co. 5 del d.p.r. 146/2017, violazione dei principi di tutela del pluralismo di cui all’art. 21 Cost. e di garanzia della qualità dei contenuti di cui allo stesso dpr 146/2017; violazione dei principi di cui all’art. 1 della l. 241/90 e artt. 3, 97 Cost.; violazione del principio di imparzialità della p.a.; violazione del principio di concorrenza; violazione del principio di proporzionalità; eccesso di potere per irragionevolezza; ingiustizia manifesta contraddittorietà manifesta; disparità di trattamento; sviamento;

II) violazione ed errata applicazione dei principi di cui alla l. 208/2015 e l. 198/2016; violazione dell’art. 3 della l. 241/90 – difetto assoluto di motivazione e di istruttoria – omessa fissazione di parametri di rilevazione auditel; violazione ed errata applicazione dei principi di cui all’art. 1 della l. 241/90 e dell’art. 97 Cost. e dei connessi principi di legalità, trasparenza e di imparzialità della p.a.; violazione ed errata applicazione delibera Agcom 16/05/2006, n. 85/06/csp; Consiglio di stato, parere reso sull’affare 690/2017 – n. 1228/2017; eccesso di potere, illogicità ed irragionevolezza manifeste. illegittimità derivata;

III) violazione dell’art. 6 bis della l. 241/90; violazione dell’art. 97 Cost., violazione dei principi di buon andamento e imparzialità; eccesso di potere: disparità di trattamento; sviamento; illegittimità derivata;

IV) violazione ed errata applicazione dei principi di cui alla l. 208/2015 e l. 198/2016: violazione delle finalità inerenti il pluralismo dell’informazione; violazione ed errata applicazione dei principi di cui all’art. 1 della l. 241/90 e dell’art. 97 Cost. e dei connessi principi di legalità, trasparenza e di imparzialità della p.a.; eccesso di potere: illogicità ed irragionevolezza manifeste;

V) illegittimità costituzionale della legge 21 settembre 2018, n.108, di conversione in legge del d.l. 25 luglio 2018, n. 91, art. 4 bis, nonché’, ove necessario, dell’art. 1, comma 1034, della l. (legge di bilancio 2018).

1.1.- Con ricorso per motivi aggiunti la ricorrente impugna il successivo provvedimento del 25.2.2019, mediante il quale il Direttore Generale del Ministero dello Sviluppo Economico, ad integrazione del Decreto direttoriale 1 ottobre 2018 di approvazione della graduatoria definitiva delle domande ammesse al contributo per l’anno 2016 ha autorizzato la liquidazione di un secondo acconto in favore delle emittenti beneficiarie nella misura di un ulteriore 40%.

Deduce la ricorrente l’illegittimità di tale provvedimento che autorizza la liquidazione per violazione ed errata applicazione del combinato disposto degli artt. 3 e 21 quater della l. 241/90; difetto di motivazione e di istruttoria; insussistenza dei presupposti per la riduzione del termine di sospensione;

violazione ed errata applicazione dell’art. 21 quinquies della l. 241/90; violazione ed errata applicazione degli artt. 7 e ss. della l. 241/90: violazione degli istituti di partecipazione procedimentale; violazione ed errata applicazione dell’art. 1 del d.lgs. 104/2010:

violazione del principio di effettivita’ della tutela giurisdizionale; violazione ed errata applicazione degli artt. 81 e 97 cost.; eccesso di potere: contraddittorieta’ e illogicita’ manifeste; sviamento.

2.- Il Ministero per lo sviluppo economico, costituitosi in giudizio per resistere al ricorso, ne chiede il rigetto, formulando articolate censure volte a confutare tutti i motivi di doglianza avanzati da parte ricorrente.

3.- Sono intervenute ad opponendum DDD, CCC, EEE, FFF, i quali chiedono il rigetto del ricorso.

4.- Con ordinanza 1276/2019 la sezione ha disposto l’integrazione del contraddittorio, autorizzando l’espletamento dell’incombente tramite pubblici proclami.

5.- Alla pubblica udienza del 23 ottobre 2020 la causa è stata riservata per la decisione

6.- In via preliminare, il Collegio ritiene priva di fondamento la richiesta di rinvio della trattazione del ricorso nel merito, giustificata dalla ricorrente dalla necessità di attendere l’esito dei giudizi, pendenti in Consiglio di Stato (r.g. appello n. 7153/2020 e n. 3538/2020). Ciò in quanto la definizione di tali giudizi non è pregiudiziale ai fini della decisione della presente controversia.

Il giudizio ha ad oggetto la graduatoria definitiva delle domande ammesse ai contributi pubblici di cui al DPR 146/2017 per l’anno 2016, all’interno della quale la ricorrente è risultata collocata in posizione n. 103, con un punteggio complessivo di 977,178, corrispondente ad un contributo pubblico di euro 95.426,44.

In estrema sintesi, la ricorrente lamenta di aver ricevuto un contributo economico di gran lunga inferiore a quelli che le sarebbero effettivamente spettati ove la procedura fosse stata condotta legittimamente.

7.- Con la prima censura la ricorrente si duole che l’Amministrazione, nella formulazione della graduatoria, avrebbe erroneamente applicato i criteri di valutazione delle domande ai fini dell’attribuzione del punteggio numerico, in violazione dei principi ispiratori della legge istitutiva del Fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione (legge 2018/2015) di quanto previsto dalla Tabella 1 del DPR 146/2017 alla quale rimanda l’art. 6, comma 5, DPR 146/2017. In particolare, nel formare la graduatoria e nell’assegnare i punteggi, il Ministero non avrebbe considerato i “pesi” percentuali indicati nella citata Tabella, pesi che, invece, sono stati utilizzati solo ai fini del calcolo del contributo economico. L’indice di ascolto rilevato da auditel sarebbe stato illegittimamente computato, ai fini dell’assegnazione del punteggio, in termini assoluti ovvero né in rapporto alla popolazione residente nella regione considerata (men che meno nelle province di riferimento) né secondo la percentuale indicata nella citata Tabella.

7.1.- La censura non ha pregio.

Il regolamento, alla tabella 1, dispone che <<l’ammontare annuo dello stanziamento destinato alle emittenti televisive e radiofoniche è ripartito, per gli anni 2016 e 2017, secondo le aree e le aliquote sotto riportate…”:

-aliquota dell’80 per cento in relazione ai dipendenti e ai giornalisti impiegati di cui all’articolo 6, comma 1, lettere a) e b) (“area a”);

-aliquota del 17 per cento in relazione ai dati Auditel di cui all’articolo 6, comma 1, lettera c) (“area b”)

-aliquota del 3 per cento in relazione ai costi sostenuti per spese in tecnologie innovative (“area c”).

Dunque, come correttamente evidenziato dalla difesa erariale, l’Amministrazione ha correttamente applicato le sopra citate aliquote, indicate nella tabella, in conformità a quanto previsto dal regolamento ovvero ai fini del riparto tra le emittenti dell’ammontare annuo dello stanziamento.

Giova al riguardo richiamare quanto condivisibilmente osservato da questo TAR (sentenze 2805/2020 e 2804/2020) in riferimento ad analoghe doglianze sollevate da altre emittenti televisive proprio con riferimento alla medesima graduatoria per cui è causa.

Ed invero, “il d.P.R. n. 146/2017 tiene conto della popolazione residente nelle diverse regioni con riguardo alla fase (prodromica rispetto a quella valutativa) di individuazione dei requisiti minimi che le emittenti debbono possedere per l’ammissione alla procedura, laddove prescrive, all’art. 4, comma 1, il possesso di un numero minimo di dipendenti (parametrato alla popolazione dell’ambito territoriale in cui opera l’emittente), secondo le seguenti tre fasce:

“1) pari ad almeno 14 dipendenti di cui almeno 4 giornalisti se il territorio nell’ambito di ciascuna regione per cui è stata presentata la domanda abbia più di 5 milioni di abitanti;

2) pari ad almeno 11 dipendenti di cui almeno 3 giornalisti se il territorio nell’ambito di ciascuna regione per cui è stata presentata la domanda abbia tra 1,5 e 5 milioni di abitanti;

3) pari ad almeno 8 dipendenti di cui almeno 2 giornalisti se il territorio nell’ambito di ciascuna regione per cui è stata presentata la domanda abbia fino a 1,5 milioni di abitanti;…”.

Tale criterio, nel richiedere, per l’ammissione alla procedura, il possesso di un numero maggiore di dipendenti ad un’emittente che operi in una regione maggiormente popolata e un numero più basso di dipendenti ad un’emittente che operi in una regione meno popolosa, sembra soddisfare il principio di proporzionalità e di non discriminazione tra tutti i soggetti partecipanti che siano attivi in regioni diverse, con diversi livelli di popolazione.

Peraltro va sempre rimarcato che la disposizione di legge (art. 1, comma 163, Legge n. 208/2015) che ha autorizzato l’adozione di un regolamento ex art. 17 Legge n. 400/1988, su proposta del MiSE, per la disciplina di criteri e procedure per l’attribuzione dei benefici economici, lascia aperti ampi margini di discrezionalità in capo all’Amministrazione nella scelta di procedimenti e criteri per la ripartizione del Fondo per il pluralismo radiotelevisivo tra le diverse emittenti locali, limitandosi ad individuare le finalità (sopra più volte menzionate) a cui i contributi economici sono funzionali. Data l’ampia discrezionalità di cui l’Amministrazione è titolare, le norme regolamentari impugnate potrebbero ritenersi illegittime e meritevoli di annullamento soltanto ove vi sia una evidente incompatibilità tra le stesse ed i principi fissati dalla legge oppure una macroscopica illogicità ed irragionevolezza delle stesse rispetto allo scopo a cui sono dirette ovvero, più in generale, rispetto all’interesse pubblico.

Peraltro, dalla prospettazione delle censure, non risulta per quale ragione i criteri di cui all’art. 6, comma 5 e alle tabelle 1 e 2 del d.P.R. n. 146/2017, così come applicati dall’Amministrazione ai fini del calcolo del contributo economico, sarebbero in palese contrasto con gli obbiettivi del pluralismo dell’informazione, del sostegno dell’occupazione nel settore, del miglioramento dei livelli qualitativi dei contenuti forniti e dell’incentivazione dell’uso di tecnologie innovative.

Peraltro, la stessa “penalizzazione” delle emittenti operanti in ambiti regionali geograficamente meno popolosi – asseritamente collegata al calcolo dei dipendenti e dei dati Auditel, a livello assoluto e con graduatoria unica nazionale, in assenza di meccanismi diretti alla riparametrazione di essi in rapporto alla popolazione regionale – si è rivelata una petizione di principio ove si osservi l’esito concreto della graduatoria dedicata alle emittenti commerciali locali, nella quale diverse emittenti si sono piazzate tra le prime cento, pur essendo attive in contesti demograficamente svantaggiati (in rapporto alle più popolose regioni italiane).

Come evidenziato dalla difesa erariale ed emergente da un semplice esame della graduatoria definitiva per il 2016, l’emittente Videolina, pur operando nella regione Sardegna, regione che ha 1.653.135 abitanti (largamente inferiore a quello, ad esempio, della Lombardia, pari a 10.018.806) si è collocata al secondo posto assoluto.

Ciò dimostra concretamente come i criteri di cui all’art. 6, lett. a), b) e c) del regolamento impugnato – basati, rispettivamente, su: numero medio di dipendenti, effettivamente applicati; numero medio di giornalisti dipendenti (professionisti, pubblicisti e praticanti); media ponderata dell’indice di ascolto medio giornaliero basato sui dati del biennio precedente e del numero dei contatti netti giornalieri mediati sui dati del biennio precedente, calcolata secondo quanto indicato nell’allegata tabella 1 – non comportavano a priori uno svantaggio competitivo per la ricorrente, se è vero che diverse emittenti operanti in regioni non popolose hanno raggiunto risultati di vertice.

Quanto alla dedotta sproporzionalità del criteri utilizzati, laddove non prevedono un meccanismo perequativo in favore delle regioni meno popolose, non considera che nelle regioni più popolose (esempio la Lombardia), “il mercato dei programmi televisivi è conteso tra un numero di televisioni nettamente superiore a quello delle emittenti che operano, ad es., in Abruzzo (in Lombardia operano 45 televisioni, mentre in Abruzzo 5). Con la conseguenza che il conseguimento di buoni risultati in termini di audience può essere molto più arduo per una emittente lombarda che non per un’emittente abruzzese, come peraltro indirettamente conferma la graduatoria approvata la quale ha sancito l’assegnazione di risorse anche in regioni di limitato livello demografico (quali Umbria, Trentino, Friuli e la stessa regione Abruzzo, dove vi sono state emittenti assegnatarie)”. È la stessa Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, con la Delibera n. 41/17/CONS, in tema di “Individuazione dei mercati rilevanti nel settore dei servizi di media audiovisivi, ai sensi dell’articolo 43, comma 2, del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177 (fase 1)”, ad avere affermato che “le regioni con il maggior numero di fornitori di contenuti locali sono la Sicilia e la Campania, seguite dalla Lombardia, dalla Calabria e dal Lazio. Le regioni con il minor numero di soggetti sono la Sardegna, la Valle D’Aosta e il Molise” (All. A alla Delibera n. 41/17/CONS, pag. 34 e par. 137).

La stessa AGCOM ha dunque avuto modo di rilevare, seppur al di fuori del contesto normativo afferente alla presente causa, che, per ragioni di intuitiva evidenza, nelle regioni più popolose vi è una concorrenza, tra emittenti in competizione per dividersi lo “share”, nettamente superiore a quella che caratterizza le regioni meno popolose (quale quella ove opera l’odierna ricorrente); in presenza di una offerta nettamente superiore risulta dunque più difficile “fare audience” nelle regioni più popolose piuttosto che in quelle demograficamente meno rilevanti>> (cfr. TAR Lazio, sentenze citate).

8.- Con un secondo gruppo di censure (ultima profilo del primo motivo di ricorso e secondo motivo di ricorso) la ricorrente lamenta che il dato Auditel considerato dal regolamento emanato con DPR 146/2017 ai fini della determinazione del contributo spettante sarebbe inattendibile: a) in relazione all’omessa “targettizzazione degli ascolti” ovvero alla circostanza che l’indice di ascolto sarebbe rilevato in assenza di filtri atti a scongiurare il rischio che vengano calcolati, ai fini del computo del punteggio e quindi del contributo, gli ascolti realizzati durante programmi di televendita, gioco d’azzardo, cartomanzia, trasmissioni vietate. ecc.; b) in relazione al meccanismo di calcolo per la rilevazione delle emittenti locali, considerando che il campione dei dati Auditel relativo al 2017 copre poco più di 2000 degli oltre 8000 comuni italiani.

Infine, il criterio Auditel sarebbe illegittimo nella parte in cui nessuna norma, prima del regolamento ne imponeva l’adozione e laddove tale rilievo non prevede alcun meccanismo di verifica ex post della veridicità dei dati assunti alla base di calcolo.

8.1.- Le censure sono infondate.

L’art. 6, comma 1, del D.P.R. 23/08/2017, n. 146 (Regolamento concernente i criteri di riparto tra i soggetti beneficiari e le procedure di erogazione delle risorse del Fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione in favore delle emittenti televisive e radiofoniche locali), ai fini della determinazione dei contributi da corrispondere “per promuovere il pluralismo dell’informazione, il sostegno dell’occupazione del settore, il miglioramento dei livelli qualitativi dei contenuti forniti e l’incentivazione dell’uso di tecnologie innovative” prevede l’assegnazione dei punteggi e quindi dei contributi, in sede di valutazione delle domande, sulla base dei seguenti criteri: a) numero medio dei dipendenti impiegati; b) numero medio di giornalisti dipendenti; c) “indice di ascolto medio giornaliero basato sui dati del biennio precedente e del numero dei contatti netti giornalieri mediati sui dati del biennio precedente, calcolata secondo quanto indicato nell’allegata tabella 1, per marchio/palinsesto nella relativa regione, indicati nella domanda, rilevati dall’Auditel, nel biennio solare precedente alla presentazione della domanda. Per le domande relative all’anno 2016, si tiene conto della media dei dati del biennio 2015-2016, mentre per le domande relative all’anno 2017, si tiene conto della media dei dati del biennio 2016-2017”.

La norma va interpretata alla luce delle finalità di interesse pubblico perseguite dalla legislatore con l’istituzione del Fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione istituito nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze dall’art. 1, comma 163, della legge 28/12/2015, n. 208.

Detta disposizione legislativa, nel demandare al regolamento la disciplina dei criteri di riparto delle risorse da assegnare in favore delle emittenti radiofoniche e televisive locali sancisce che dette risorse, alimentate da una quota parte delle entrate del canone di abbonamento alla televisione, sono destinate alla: <<realizzazione di obiettivi di pubblico interesse, quali la promozione del pluralismo dell’informazione, il sostegno dell’occupazione nel settore, il miglioramento dei livelli qualitativi dei contenuti forniti e l’incentivazione dell’uso di tecnologie innovative>>.

La legge, pertanto, istituisce il fondo con tre specifici vincoli di scopo: il sostegno dell’occupazione nel settore; il miglioramento qualitativo dell’offerta e l’incentivazione di tecnologie innovative.

Peraltro, anche la Legge 26 ottobre 2016, n. 198 (recante “Istituzione del Fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione …”), all’art. 1, comma 1, stabilisce che il Fondo è istituito “al fine di assicurare la piena attuazione dei princìpi di cui all’articolo 21 della Costituzione, in materia di diritti, libertà, indipendenza e pluralismo dell’informazione, nonché di incentivare l’innovazione dell’offerta informativa e dei processi di distribuzione e di vendita, la capacità delle imprese del settore di investire e di acquisire posizioni di mercato sostenibili nel tempo…”.

In coerenza con tali principi, il regolamento, nel disciplinare i requisiti per l’accesso alle risorse del Fondo, richiede- oltre alla dimostrazione di una solida struttura organizzativa, desumibile dalla dotazione di un certo numero di risorse umane- la rilevazione dei dati di ascolto Auditel, che, come già osservato dal TAR nei precedenti sopra indicati, è un sistema imprescindibile per le emittenti televisive commerciali ai fini della programmazione dei propri obbiettivi economici e strategici, in quanto dette società operano in un mercato nel quale la remunerazione dell’attività dipende (anche) dalla vendita di spazi pubblicitari, il cui valore è direttamente proporzionale ai dati di ascolto.

Ne consegue che: <<le emittenti che, in quanto “commerciali”, vogliono restare proficuamente nel mercato non possono prescindere dai ricavi pubblicitari (e, quindi, dai dati di ascolto) né confidare nel fatto che la sostenibilità del business sia unicamente garantita dagli incentivi statali, secondo un modello che il d.P.R. n. 146 del 2017 mira in modo evidente a superare>> (TAR Lazio, sentenze citate).

A ciò va aggiunto che, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, il criterio degli ascolti rilevato dall’Auditel è finalizzato proprio al miglioramento e all’innovazione dell’offerta delle emittenti, al fine di consolidare e rafforzare la loro posizione sul mercato. Il criterio Auditel non premia, dunque, come sostenuto dalla ricorrente, emittenti che si dedicano prevalentemente a televendite, ma registra le preferenze del pubblico nell’ottica di promuovere proprio il pluralismo dell’informazione e il miglioramento qualitativo dei contenuti stabilisce un meccanismo premiale volto ad incentivare la qualità dei programmi televisivi, disincentivando, quindi, la mera occupazione di frequenze e l’utilizzo delle stesse per scopi non coerenti con gli obiettivi della legge.

Quanto all’assenza di doverosità nell’attivazione del servizio Auditel (per il punteggio di “Area B” previsto dal d.P.R. impugnato, vedi Tabella 2), il Collegio, come questo TAR ha già avuto modo di chiarire, ribadisce che: “già nelle Linee Guida, pubblicate il 9 maggio 2016, a seguito di consultazione pubblica, era noto che gli indici di ascolto rilevati da Auditel sarebbero stati adottati dall’Amministrazione quali criteri di valutazione per la formazione della graduatoria”, con la conseguenza che i soggetti interessati erano stati già informati, fin dal maggio 2016, della futura adozione di nuovi criteri, che avrebbero imposto l’onere della rilevazione dei dati auditel nell’interesse delle stesse emittenti, stante la rilevanza che sarebbe stata attribuita agli indici di ascolto. Tale informazione era stata diffusa tra gli operatori dall’Amministrazione circa un anno e mezzo prima dell’adozione del d.P.R. n. 146/2017 (pubbl. in G.U. n. 239 del 12.10.2017) e quindi prima della presentazione della domanda di contributo (presentata nel dicembre 2017), il che rende non condivisibile la censura svolta con riguardo alla lesione dell’affidamento e alla disparità di trattamento rispetto ad altre emittenti televisive che invece si erano premurate dei dati di rilevamento Auditel.

9.- Con ulteriore censura la società deduce l’irragionevolezza del criterio fissato dall’art. 6, comma 2, del DPR 146/2017, laddove stabilisce che alle prime cento emittenti della graduatoria è destinato il 95 per cento delle risorse disponibili, mentre alle emittenti che si collocano dal centunesimo posto in poi è destinato il 5 per cento delle medesime risorse. Secondo la tesi di parte ricorrente per effetto di tale “scalino preferenziale”, il “valore” corrispondente a ciascun criterio risulterebbe del tutto sproporzionato, determinando un’incidenza del “peso” dei dipendenti, ai fini del contributo pubblico, ingiustamente maggiore per quelle collocate tra le prime cento e quelle al di sotto. Cosicché, la ricorrente, classificata oltre le prime 100, sarebbe stata ingiustamente penalizzata, concorrendo soltanto sul 5 % dell’intero importo stanziato, e dunque conseguendo una sovvenzione economica inferiore, per effetto ed in conseguenza del “deprezzamento” arbitrario e contrario allo spirito della norma degli investimenti effettuati proprio sul personale dipendente (giornalista e non).

9.1.- A tale censura è strettamente connesso, dal punto di vista logico, il quarto motivo, con il quale è dedotto che le regole del DPR 146/2017 determinerebbero una concentrazione eccessiva di contributi in favore di pochi predeterminati gruppi editoriali, contraddicendo le finalità previste dalla legge.

9.2.- I motivi non hanno pregio.

La diversità dell’importo economico assegnato alle emittenti collocate in graduatoria dopo la posizione numero cento non è determinata dal diverso “peso” attribuito al criterio dei dipendenti, quanto dal criterio di riparto delle somme del Fondo scelto dal regolamento.

L’art. 6, comma 2, del DPR 146/2017, dispone, infatti, che le somme da ripartire siano divise in due parti: il 95 per cento delle risorse disponibili destinato alle prime cento emittenti; il restante 5 per cento delle risorse destinato alle emittenti che si collocano dal centunesimo posto in poi.

Per il riparto della quota del 5 cento delle risorse delle somme è considerato il punteggio individuale conseguito per ciascuna delle tre aree indicate nella tabella 1 (dipendenti impiegati, dati Auditel, costi sostenuti per spese in tecnologie innovative), fermo restando che l’emittente collocatasi al centunesimo posto non può ottenere un contributo complessivo di importo più elevato di quella che si colloca al centesimo.

La disposizione regolamentare prevede, infine, che eventuali residui delle risorse siano riassegnati alle prime cento emittenti in graduatoria, in misura proporzionale ai punteggi individuali relativamente alle tre aree indicate nella tabella 1.

In definitiva, il meccanismo in questione non prevede un “criterio” o “valore” preferenziale irragionevole o contrario agli obiettivi di sostegno all’occupazione nel settore del pluralismo dell’informazione né tradisce le finalità previste dalla legge istitutiva del Fondo.

Invero, il regolamento stabilisce un criterio di riparto delle risorse proporzionale che mira a premiare in misura maggiore le imprese maggiormente competitive e innovative, dotate di una più solida struttura organizzativa (le prime cento), lasciando comunque una quota delle risorse (5 per cento, da ripartire sempre in misura proporzionale e con i medesimi criteri di cui alla tabella 1) alle imprese meno competitive.

E ciò in assenza di contrasto con le finalità della legge istitutiva del Fondo, posto che gli obiettivi del sostegno dell’occupazione nel settore, del miglioramento qualitativo dell’offerta e dell’incentivazione di tecnologie innovative sono realizzati attraverso criteri proporzionali di attribuzione dei punteggi in relazione a ciascun parametro coerente con i citati obiettivi (dipendenti impiegati, dati Auditel, costi sostenuti per spese in tecnologie innovative).

Criteri questi ultimi utilizzati anche nel riparto, in misura proporzionale, delle somme stanziate nel Fondo.

10.- Con il terzo motivo è dedotta la violazione dell’art. 6 bis della legge 241/1990, la violazione dei principi di imparzialità e buon andamento per conflitto di interesse: alcuni soci dell’Auditel, “in quanto operatori del settore, ben potrebbero essere tra i soggetti beneficiari del Fondo di cui al DPR in questione ossia direttamente interessati a concorrere alla sua ripartizione”.

10.1.- Il motivo non merita accoglimento.

Come già osservato dal TAR (sentenze 2804/2020,2805/2020), con argomentazioni che il Collegio condivide, si evidenzia che:

<<- i soci Auditel che sono operatori nazionali (RAI, Gruppo Mediaset, LaSette) non possono avere alcun interesse ad influenzare i dati di ascolto delle emittenti locali e a condizionare una graduatoria per la fruizione del Fondo per il pluralismo radiotelevisivo alla quale sono e restano estranei, in quanto operano in un mercato diverso da quello dell’emittenza locale (come conferma la delibera AGCom n. 41/17/CONS);

– nella composizione dell’Auditel vi sono, in ogni caso, le associazioni rappresentative dei diversi operatori e degli eterogenei interessi che si muovono a diversi livelli nel settore dell’emittenza radiotelevisiva e cioè: l’UPA – Utenti Pubblicità Associati (organismo associativo che riunisce le più importanti e prestigiose aziende industriali, commerciali e di servizi che investono in pubblicità e in comunicazione); l’ASSOCOM – Associazione Aziende di Comunicazione (che attualmente rappresenta 115 tra le più importanti imprese di comunicazione, nazionali e multinazionali, operanti in Italia); l’UNICOM – Unione Nazionale Imprese di Comunicazione (l’Associazione che attualmente raccoglie imprese operanti nei diversi rami della comunicazione: advertising, promozioni, direct marketing, pubbliche relazioni, sponsorizzazioni, web, brand image, packaging, centri media, etc.); la FIEG – Federazione Italiana Editori Giornali; la CRTV – Confindustria Radio Televisioni (associazione che riunisce in un solo soggetto le principali aziende radiotelevisive italiane: dal servizio pubblico agli operatori privati nazionali, alle piccole e medie imprese operanti sul territorio);

– in aggiunta a ciò, ulteriore elemento a garanzia dell’imparzialità dell’Ente va ravvisato nella circostanza che l’Auditel è sottoposta alla vigilanza dell’AGCom ed al rispetto delle previsioni della delibera della stessa Autorità n. 85/06/CSP, recante “Atto di indirizzo per la rilevazione degli indici di ascolto e di diffusione dei mezzi di comunicazione”; nella delibera, tra l’altro, è anche previsto che la compagine societaria dell’Auditel debba essere effettivamente rappresentativa dell’intero settore di riferimento;

– l’AUDITEL costituisce, dunque, una figura di “governance” che garantisce la terzietà rispetto ai destinatari della sua azione perché i suoi soci sono in (potenziale) conflitto di interessi tra di loro ed è proprio questa eterogeneità/conflittualità degli interessi “associati” che garantisce l’equilibrio degli opposti interessi.

Tanto chiarito in merito all’insussistenza di una situazione di potenziale conflitto di interessi in astratto, va altresì precisato che non sono stati allegati dalla ricorrente elementi probatori idonei a dimostrare una situazione di potenziale conflitto di interessi in concreto.

La ricorrente non allega, infatti, elementi atti a rappresentare errori, lacune o carenze o qualsiasi altro elemento che, nei procedimenti seguiti dall’Auditel nella rilevazione dei dati di ascolto, abbia, in qualche modo, danneggiato la società.

11.- Con l’ultimo motivo la ricorrente deduce l’illegittimità derivata delle graduatoria definitiva degli ammessi a contributo per l’anno 2016, affermando che non può opporsi l’immodificabilità di tali graduatorie in ragione della presunta “legificazione” del DPR 146/2017 ad opera dell’art.4 bis del D.L. 91/2018 convertito nella L.108/18. E ciò per la ragione che il decreto legge in questione c.d. “mille proroghe” riguarda la “proroga di termini previsti da disposizioni legislative”, con la conseguenza che le norme del regolamento in questione non possono che esserne estranee. In ogni caso, qualora non fosse possibile una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 4 bis del DL 91/2018, la ricorrente chiede di sollevare questione di legittimità costituzionale sia del citato art. 4 bis sia, ove necessario, dell’art.1, comma 1034, della legge di bilancio 2018, per violazione:

– degli articoli 3, 24, 103, 113 della Costituzione, nonché dei criteri di riparto della potestà legislativa ex art. 117 Cost., posto che la materia “ordinamento della comunicazione” rientra nell’elenco delle materie concorrenti;

-per violazione degli articoli 3 e 97 Cost. laddove è recepito in norma di legge ( l. 108/2018) il contenuto di un atto regolamentare (DPR 146/2017), che potrebbe essere affetto da vizi di legittimità, così come ritenuto dal TAR Lazio ad un sommario esame con l’ordinanza 157/2018;

-violazione articoli 24, 103 e 113 della Costituzione e articoli 6 e 13 della CEDU, alla luce dei quali è vietato al legislatore intervenire con norme ad hoc (leggi provvedimento) per la risoluzione di controversie che eludano il sindacato giurisdizionale.

11.1.- Il motivo non ha pregio.

L’art. 4 bis cit. rubricato “Proroga di termini in materia di emittenti radiotelevisive locali” prevede che:

<<All’articolo 4, comma 2, ultimo periodo, del decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 2017, n. 146, recante il regolamento, da intendersi qui integralmente riportato, concernente i criteri di riparto tra i soggetti beneficiari e le procedure di erogazione delle risorse del Fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione in favore delle emittenti televisive e radiofoniche locali, in attuazione degli obiettivi di pubblico interesse di cui all’articolo 1, comma 163, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, per l’assegnazione delle risorse del Fondo di cui all’articolo 1, comma 160, lettera b), della citata legge n. 208 del 2015, e successive modificazioni, destinate alle emittenti radiofoniche e televisive locali, al fine di estendere il regime transitorio anche all’anno 2019, dopo le parole: «alla data di presentazione della domanda» sono aggiunte le seguenti: «, mentre per le domande inerenti all’anno 2019 si prende in considerazione il numero medio di dipendenti occupati nell’esercizio precedente, fermo restando che il presente requisito dovrà essere posseduto anche all’atto della presentazione della domanda».

Osserva il Collegio che l’intervento legislativo di cui all’art. 4 bis del D.L. 91/2018 incide sul metodo di valutazione del requisito occupazionale, sempre (solo) per annualità diverse da quella in esame.

Il legislatore, dunque, non incide sull’annualità per cui è causa ( 2016), ma orienta la futura azione amministrativa in materia di accesso dei fornitori di servizi di media audiovisivi alle reti televisive locali, indicando – per l’annualità 2019 – metodi di valutazione dei requisiti di accesso, uniformi a quelli già previsti dal d.P.R. n. 146/2017.

Orbene, la novella normativa introdotta dall’art. 4 bis del D.L. 91/2018 non incide sull’impugnata graduatoria delle domande ammesse a contributo per l’annualità 2016, ma introduce innovazioni in merito al metodo di calcolo del requisito occupazionale solo per l’annualità 2019.

Ne deriva, pertanto, l’inconferenza della doglianza e il difetto di rilevanza della prospettata questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 bis del D.L. 91/2018.

12.- Alla luce di quanto sopra argomentato il ricorso è infondato e deve essere respinto.

13.- Non merita di essere accolto neanche il ricorso per motivi aggiunti con il quale è impugnato il provvedimento con il quale l’Amministrazione procede alla liquidazione, in favore delle emittenti, del “secondo acconto”, pari al 40 per cento dei contributi, revocando implicitamente l’atto con cui l’ erogazione era stata prudenzialmente sospesa in virtù del contenzioso pendente. Ed, invero, l’infondatezza dei motivi di illegittimità dedotti avverso la graduatoria determina il venir meno dell’interesse della ricorrente all’annullamento di detto provvedimento, posto che, per effetto del provvedimento di approvazione della graduatoria- che resiste alle doglianze proposte con il ricorso principale- l’Amministrazione è comunque tenuta a porre in essere gli atti conseguenti per la liquidazione del restante importo dei contributi non ancora erogato. Nessuna utilità, trarrebbe pertanto la ricorrente dall’annullamento dell’atto impugnato con motivi aggiunti.

14.- Le spese di lite, in ragione della novità e peculiarità della questione trattata, sono integralmente compensate tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso e sui motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 ottobre 2020 con l’intervento dei magistrati:

Luca De Gennaro, Presidente FF

Paola Anna Gemma Di Cesare, Consigliere, Estensore

Paola Patatini, Primo Referendario

L’ESTENSORE
Paola Anna Gemma Di Cesare

IL PRESIDENTE
Luca De Gennaro

IL SEGRETARIO

(Pubblicato in data 09/12/2020)