23 NOVEMBRE 1978
SENTENZA N. 719/78 DELLA PRETURA CIRCONDARIALE DI ANCONA, SEZ. PENALE
nella causa penale
CONTRO
XX omissis
ZZ omissis
YY omissis
AA omissis
BB omissis
Liberi – presenti
IMPUTATI
Il primo in concorso con CC: del delitto p. e p. dagli artt. 81 cpv. C.P., 171, 1° co, Legge 22.4.41, n. 633 per avere, il XX in qualità di titolare dell’emittente radiofonica WW, diffuso a mezzo radio opere altrui senza averne il diritto.
In Ancona dal 14.2.1976 –
Il secondo e il terzo: del delitto p.ep. dagli art. 81 cpv. C.P. 171 1° co. Legge 22.4.41 n. 633 per avere nella qualità il YY di titolare e il ZZ di direttore dell’emittente radiofonica WW diffuso a mezzo radio opere altrui senza averne diritto.
In Ancona dall’8.3.1977 –
Il quarto e il quinto: del delitto d p.ep. dagli artt. 81 cpv. 171 1° co. Legge 22.4.41 n. 633 per avere nella qualità la AA in qualità di titolare e il BB di direttore dell’emittente radiofonica WB diffusa a mezzo radio opere altrui, senza averne diritto.
In Ancona 11.6.1976 –
FATTO
Con tre distinti rapporti in data 4/1/78 la sede di Ancona della S.I.A.E. denunciava gli imputati indicati in rubrica, nelle loro rispettive qualità di titolari e direttori di tre emittenti radiofoniche private per aver trasmesso alcuni brani di musica leggera, indicati nel rapporto, senza il preventivo consenso della stessa S.I.A.E., titolare di un diritto di esclusiva ex lege nella intermediazione per l’esercizio del diritto di radiodiffusione. Più in particolare la denunciante sosteneva che la radiodiffusione di opere dell’ingegno doveva essere preventivamente autorizzata dall’autore, in base alla legge sulla protezione del diritto di autore, dalla stessa S.I.A.E., nella sua qualità, la mancanza di tale autorizzazione integrava violazione dell’art. 171 della L. 22/4/1941, n. 633; a riprova del dolo degli imputati, la denunciante sosteneva che gli stessi avevano rifiutato la sua proposta di stipulare una convenzione, analoga a quella stipulata con la RAI, con la quale la S.I.A.E., dietro pagamento di una somma forfettaria, stabilita sulla base di alcuni parametri, autorizzava la trasmissione di brani d’autore da essa tutelati.
In base alla denuncia tutti gli imputati venivano condannati, con decreto penale, al pagamento di una multa di £. 100.000, per il delitto previsto dall’art. 171, 1° co. L. n. 633/1941: contro il decreto facevano tutti opposizione, sostenendo che il fatto non costituiva reato. In dibattimento gli imputati, pur non precisando le rispettive qualifiche e mansioni all’interno delle emittenti, ammettevano di aver trasmesso brani musicali senza il consenso né degli autori, né della S.I.A.E., il direttore della sede S.I.A.E. di Ancona confermava gli elementi di fatto esposti in denuncia, e aggiungeva che la denuncia era stata sporta su direttiva della sede centrale di Roma, dopo che i ripetuti inviti, orale e scritti, ai responsabili delle emittenti perché stipulassero una convenzione con la S.I.A.E. erano stati disattesi. Su richiesta della difesa di “WW” veniva acquisita una copiosa documentazione presso la direzione generale della S.I.A.E. relativa alla convenzione con la RAI, allo schema tipo di convenzione con le emittenti situate nell’ambito territoriale della sede regionale di Ancona.
Nel prosieguo del dibattimento la difesa di “WW” dimostrava che pendeva, davanti al tribunale civile di Roma, un processo tra la F.R.E.D. (Federazione Radio Emittenti Democratiche) e la S.I.A.E., nel quale la F.R.E.D. chiedeva di conoscere l’elenco di tutti gli autori rappresentati dalla S.I.A.E. e, sulla base di questi ed altri elementi, premessa la propria volontà di non frodare gli autori dei loro diritti, chiedeva che fosse il giudice a stabilire la somma da versare alla S.I.A.E.. La difesa, quindi insisteva per ulteriori acquisizioni, avanzando precise ipotesi di reato a carico degli organi dirigenti della S.I.A.E., i quali, sia con distribuzione di alcuni compensi, sia con la omessa contabilizzazione in bilancio degli interessi sulle somme riscosse, dell’ordine di alcuni miliardi, sia con altri artifici, si sarebbero indebitamente appropriate di centinaia di milioni. Respinte tali richieste, perché ininfluenti e valide solo come notizia criminis per il separato esercizio dell’azione penale, nel merito le difese sostenevano una articolata e complessa teoria, secondo la quale, fermo il riconoscimento del diritto degli autori ad un compenso per la trasmissione delle loro opere, veniva negata in radice la necessità di una loro previa autorizzazione per la radiodiffusione delle loro opere.
Motivi della decisione.
Le poche pronunce emesse finora sul fattispecie uguali in esame, tutte da magistratura di merito e tutte diffusamente motivate, sono giunte a conclusioni opposte. Tale dato, più che alla normale opinabilità delle norme giuridiche, va ascritto a due fattori: difficoltà di adeguare un fenomeno assolutamente nuovo ad una normativa vecchia, e la delicata convivenza di principi civilistici ed amministrativistici, linee portanti della L. 633/41, con i risvolti penalistici. La normativa suddetta, infatti, è un tipico esempio di legge di “confine” che si innesta sui rami diversi del diritto, ponendo all’interprete complessi problemi di armonizzazione.
Il dato normativo di partenza è rappresentato dalla dizione della norma incriminatrice, cioè l’art. 171, nel quale si legge che è punito “chiunque, senza averne diritto,…rappresenta, esegue o … diffonda un’opera altrui, od una composizione musicale.
La rappresentazione o esecuzione comprende … la radiodiffusione mediante altoparlanti e azionato in pubblico”, la successiva lettera c) dello stesso articolo estende la sanzione a chi “compie i fatti indicati nelle precedenti lettere mediante una delle forme di elaborazione previste da questa legge”. Nel dettato normativo, quindi, manca la previsione espressa dalla radiodiffusione, però la tesi colpevolista sostiene che tale previsione è implicita, argomentando fondamentalmente su due elementi: l’assurdità del divieto di radiodiffusione mediante altoparlante, se non accompagnato da un analogo divieto per la radiodiffusione via etere, ipotesi di gran lunga più diffusa ed importante, e la qualifica della radiodiffusione tra le “forme di elaborazione”, previste dalla lettera c) dello stesso articolo. Ma, oltre a questi argomenti desunti dalla norma incriminatrice, la tesi suddetta si basa anche su una lettura e una interpretazione complessiva della disciplina legislativa della radiodiffusione. Le stesse norme, lette in chiave diversa, sono poste a base delle teorie innocentistiche. Probabilmente, allora, all’esame normativo specifico va premessa una riflessione metodologica. La fattispecie in esame, come tante altre, non essendo prevista esplicitamente da una norma, si presenta come una smagliatura della rete legislativa; in altre parole, poiché nessun diritto può prevedere tutti i fenomeni, che hanno o avranno rilievo giuridico, esiste sempre il problema dell’atteggiamento dell’interprete di fronte al giudizio su un fatto mancante di una espressa disciplina normativa. Questa semplice constatazione fenomenologica, che provoca pochi problemi negli ordinamenti di tipo anglosassone, diventa, negli ordinamenti a diritto codificato come il nostro, un dato anomalo, rifiutato in teoria con il postulato della completezza dell’ordinamento e disciplinato in pratica con norme ermeneutiche generali. All’interprete, cioè, privo di precisi punti di riferimento normativo, vengono forniti modelli di comportamento, formali e sostanziali, ai quali adeguare la sua opera tecnica. Così, per restare nell’ambito dell’ordinamento italiano; le regole formali della condotta ermeneutica di fronte ad un vuoto normativo sono contenute, fondamentalmente, nell’art. 12 delle disposizioni sulla legge generale (c.d. preleggi), mentre i valori ai quali deve uniformarsi l’opera interpretativa sono forniti dalla norma base, cioè dalla Costituzione.
In questo tipo di operazione, ovviamente, la gerarchia delle fonti gioca un ruolo importante, così che, data la preminenza della Costituzione su ogni altra legge, l’eventuale contrasto tra norme costituzionale e art. 12 preleggi va sempre risolto in favore delle prime, anche a costo di sacrificare i principi della completezza dell’ordinamento e della coerente razionalità del legislatore (tale specifica premessa è necessaria perché, come si vedrà, l’esatta soluzione del problema posto dalla fattispecie in esame porterà proprio alla conclusione di una incoerenza e incompletezza dell’ordinamento).
Per risolvere il caso in esame, occorre tenere presente il principio tradizionalmente indicato come divieto di estensione analogica delle norme incriminatrici, derivante dall’art. 25, 2° co. Cost. e concretizza nell’art. 1 c.p.. Sulla base di questo postulato, quindi il problema da risolvere è se, dato il principio che il diritto ad utilizzare un’opera dell’ingegno è subordinato al consenso dell’autore e alla corresponsione di un compenso, il mancato soddisfacimento di tali condizioni sia penalmente sanzionato anche nell’ipotesi che l’utilizzazione avvenga mediante radiodiffusione: per tradurre la questione nei suoi dati normativi concreti, occorre decidere se la dizione “diffonde” dell’art. 171, lett. b, comprenda anche “radiodiffusione” e se le forme di elaborazione di cui parla la lett. C art. cit. si riferiscano ai sistemi di diffusione. La risposta al secondo quesito è più semplice: non può essere dubbio, infatti, che le forme di elaborazione sono cose ben diverse dai mezzi di diffusione. A parte le chiarissime indicazioni in tal senso derivante dalla dizione letterale della norma, principale canone ermeneutico (art. 12 preleggi), allo stesso risultato portano anche i dati della comune esperienza, secondo i quali ogni opera dell’ingegno può rappresentarsi di diversi tipi di elaborazione (si pensi ad esempio alla prassi assai diffusa di elaborare con ritmi musicali moderni alcuni brani famosi di musica sinfonica), senza che ciò abbia niente a che fare con i sistemi di diffusione (radio, dischi, televisione, ecc.).
Più articolata e complessa è la risposta alla seconda questione. Premesso che nessun sostegno la soluzione positiva trova nella dizione “qualsiasi forma” usata all’inizio dell’articolo, perché la forma è cosa diversa dal mezzo di diffusione, il richiamo generalmente fatto per concludere che il diffonde dell’art. 171 comprende anche la radiodiffusione è quello all’art. 16, che nello specificare il contenuto del diritto esclusivo di diffondere, dispone che tale diritto ha per oggetto “l’impiego di uno dei mezzi di diffusione a distanza, quali … la radiodiffusione”. Ma tale richiamo non sembra sufficiente. La legge stessa, infatti, in altri articoli, distingue la diffusione alla radiodiffusione (cfr. art. 80 “… diffonda o trasmetta per radiodiffusione”) e, in più, disciplina in maniera specifica, derogando ai principi generali, proprio le opere radiodiffuse (artt. 51 – 60). Gli elementi suddetti, quindi, fanno concludere che per l’intera normativa sul diritto d’autore la radiodiffusione gode di un regime autonomo, non ricomprendibile in quello della generica diffusione.
Né a diversa conclusione si può giungere sulla base dell’elemento letterale, secondo il quale, ponendosi il rapporto tra diffusione e radiodiffusione come tra genere e specie, l’espressione generale ricomprende sempre quella specifica; tale argomento, infatti, dimostra troppo, poiché, essendo pacifico che nella suddetta accezione la diffusione comprende qualunque mezzo di divulgazione, rimane inspiegabile l’esplicita previsione, nella stella lettera b) dell’art. 171, della rappresentazione, esecuzione o recitazione in pubblico, anch’esse specificazioni del genere “diffusione”. Né infine può sostenersi che, accettando l’interpretazione di questo giudice, si svuoterebbe di ogni significato la dizione legislativa, perché proprio nell’art. 16 sono indicati, oltre alla radiodiffusione, gli altri mezzi di diffusione, al cui uso illegittimo rimane collegata la sanzione prevista dall’art. 171 (per inciso va notato, ad ulteriore riprova della tesi qui sostenuta, che tra tutti i mezzi di diffusione indicati nell’art. 16 soltanto alla radiodiffusione viene riservata una esplicita disciplina normativa, fatto sul quale si tornerà più avanti sotto altro profilo). Quindi, in conclusione, la norma incriminatrice in questione va letta come se dicesse “è punito chiunque senza diritto … rappresenta, esegue o recita in pubblico o diffonda con mezzi diversi dalla radiodiffusione”.
Alla stessa soluzione si può arrivare anche seguendo un’altra via, prendendo in esame l’altro elemento costitutivo del reato, cioè l’illegittimità della condotta (“senza averne diritto”). In altri termini occorre prendere in esame non tanto il contenuto, quanto le modalità di esercizio del diritto di autore nel caso di opere radiodiffuse, per stabilire se la peculiarità dei mezzi incide sulla azionabilità del diritto; in caso di risposta affermativa vi è indubbio che la questione andrà riesaminata anche nei suoi profili penalistici. Il diritto d’autore, secondo l’ordinamento italiano, che sul punto ha seguito la normativa internazionale, si esplica in due campi, quello economico e quello morale. Sul piano economico l’autore ha il diritto di pubblicare l’opera e di utilizzarla economicamente (art. 2577 c.c. e art. 12 L. 633/41); sul piano morale ha diritto a vedersene attribuita la paternità e ad evitare modifiche dell’opera tali da “essere di pregiudizio al suo onore e alla sua reputazione” (art. 2577 c.c., art. 20 L. 633/41). Va preliminarmente chiarito che il diritto morale e d’autore è sfornito di tutela penale autonoma dalla L. 633/41: infatti l’art. 171, u. co. L. cit. prevede la violazione del diritto morale e soltanto come circostanza aggravante dei reati indicati nel primo comma, che incidono tutti sul profilo economico del diritto. Tale osservazione verrà ripresa in sede di conclusione. L’utilizzazione economica del diritto d’autore, nel sistema della legge, viene resa più efficace riconoscendo all’autore un generale diritto di autorizzare previamente ogni episodio di pubblicizzazione dell’opera; non è cioè possibile, in genere, rappresentare o divulgare un’opera senza il preventivo consenso dell’autore. Ma a questa disciplina generale la legge stessa prevede alcune eccezioni; in queste ipotesi, nelle quali il diritto internazionale parla di licenza legale, il legislatore capovolge il sistema normale, così che solo eccezionalmente è necessario il consenso dell’autore per la pubblicizzazione dell’opera. Il caso più importante di licenza legale è proprio quello delle opere radiodiffuse, nonostante alcune opinioni contrarie. La tesi qui accolta si basa su una lettura corretta dell’art. 51 L. 633/41, che parla di diritto esclusivo di radiodiffusione, la titolarità di tale diritto non è attribuita, come potrebbe credersi, all’autore, ma colui che effettua la radiodiffusione. A conferma di questa conclusione stanno alcuni elementi sistematici quali basterà un rapido accenno. Innanzi tutto l’art. 52, la cui dizione viene talvolta interpretata come se prevedesse eccezioni al diritto di radiodiffusione dell’autore; al contrario, invece, dalle nozioni generali del diritto civile si deduce chiaramente che le facoltà, in senso tecnico, sono elementi costitutivi del diritto soggettivo, così che il titolare della facoltà non può essere soggetto diverso dal titolare del diritto. E’ intuitiva, poi, la disciplina specifica di tale facoltà perché l’uso di essa incide su diritti diversi da quelli dell’autore (impresari, teatrali, interpreti ecc.). Ma l’argomento fondamentale a sostegno della tesi qui accolta è rinvenibile nell’art. 56, il quale, nel prevedere il diritto dell’autore e ricevere un equo compenso per la radiodiffusione dell’opera, stabilisce che tale compenso, in caso di disaccordo, venga liquidato dall’autorità giudiziaria, previo esperimento obbligatorio di tentativo di conciliazione. Tale meccanismo anomalo sarebbe logicamente assurdo se la radiodiffusione dovesse essere preventivamente autorizzata dall’autore: in tal caso, infatti, la decisione del giudice verrebbe a sostituire autoritativamente la volontà di una parte, secondo uno schema totalmente sconosciuto sia nostro diritto civile, sia al diritto amministrativo (del tutto diversi, ovviamente, essendo le ipotesi dell’art. 2932 c.c. e dell’art. 19 R.D.L. 22/4/1943, n. 245). Il procedimento, invece, acquista una sua piena razionalità se serve a reintegrare un equilibrio tra le posizioni delle parti, alterato proprio dell’abolizione del diritto di veto in capo all’autore dell’opera. Un altro ostacolo alla tesi accolta viene individuato nell’art. 59, il quale sottopone al preventivo consenso dell’autore la radiodiffusione dell’opera dai locali dell’ente. Ma tale lettura rigorosa di questo articolo porterebbe alla conclusione che l’ente trasmittente non dovrebbe richiedere il preventivo consenso quando la radiodiffusione coinvolge anche il diritto di altri soggetti (“proprietari, impresari e quanti concorrono allo spettacolo” art. 52). A tale assurda conclusione non è necessario giungere quando si rifletta che la dizione dell’art. 59 è identica a quella dell’art. 52 e quindi entrambe non possono che riferirsi ad opere eseguite, recitate o rappresentate nei teatri o nei locali dell’ente, non sussistendo alcuna ragione per dare una interpretazione diversa delle due dizioni uguali. Del resto anche il richiamo all’art. 55, contenuto nell’art. 59, e il fatto che l’art. 5 del regolamento di esecuzione della legge prevede soltanto le ipotesi di esecuzioni, rappresentazioni, recite confermano le conclusioni che all’autore viene conservato il diritto di veto soltanto nel caso in cui questo serve a controllare il livello qualitativo di esecuzione dal vivo. Tanto ciò è vero che l’art. 79 riconosce un diritto esclusivo dell’esercente la radiodiffusione di registrare, ritrasmettere e riutilizzare le proprie emissioni. Scarso rilievo, infine, ha il richiamo all’art. 61, 1° co. n. 3, che riconosce all’autore il diritto esclusivo di … radiodiffondere l’opera mediante l’impiego del disco. L’ultimo comma di tale articolo, infatti, fa salvi esplicitamente tutti gli articoli che, nella sezione precedente, regolano la radiodiffusione. L’unica possibilità, quindi, di evitare che l’articolo diventi autocontraddittorio, rimane quella di intenderlo nel senso che l’autore ha il diritto di consentire che l’opera venga destinata alla pubblica esecuzione o alla radiodiffusione dopo la sua incisione o il suo adattamento (cfr. Pret. Palermo 16/2/78, Di Lello Finuoli, in Giur. It. 1978; II; 279).
Stabilito così che il diritto esclusivo di radiodiffusione spetta all’esercente; non all’autore, e che questo diritto al consenso dell’autore, salvo ipotesi particolari e una ulteriore conferma viene dall’art. 58, che, col richiamo all’equo compenso) rimane da superare un ultimo ostacolo. L’art. 51 prevede il diritto esclusivo di radiodiffusione “in ragione della natura e dei fini della radiodiffusione, come servizio riservato allo Stato, che lo esercita direttamente o per mezzo di concessioni”; su una lettura assai insoddisfacente di questa dizione si basano quanti ammettono l’esistenza di una licenza legale, ma soltanto a favore della concessionaria pubblica del monopolio radio televisivo, cioè la RAI.
Questa lettura pecca perché in contrasto con la Costituzione e con i principi vigenti in tema di monopolio radiotelevisivo, quali indicati nella sent. 202 del 1976 della Corte Costituzionale.
Il servizio di radiodiffusione, se non è più riservato esclusivamente allo Stato, ma è stato “liberalizzato” nell’ambito locale dalla citata sentenza della Corte, rimane tuttavia sottoposto alla vigilanza e al controllo dello Stato, come nella quasi totalità delle nazioni industriali. La stessa Corte, infatti, con la pronuncia ricordata, rientrante a pieno titolo nella categoria di quelle c.d. interpretative, pur riconoscendo che la radiodiffusione in ambito locale va rapportata al diritto di iniziativa economica privata, tuttavia ipotizzato una assoluta libertà nell’esercizio di tale diritto, ma ha fatto salvo un potere di intervento, di supervisione e di controllo da parte dello Stato, sia nella fase del rilascio dell’autorizzazione all’esercizio, sia in quella di un controllo successivo sul rispetto delle condizioni dell’autorizzazione.
Va inoltre ricordato che il diritto d’autore non ha un riconoscimento esplicito nella nostra Costituzione, a differenza di altri ordinamenti (Stati Uniti, Repubblica di Weimar, Brasile, Jugoslavia, Polonia); mentre si ritiene che un richiamo implicito si possa vedere nei rinvii alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (10/12/48), la quale prevede il diritto d’autore all’art. 27, 2° co.. Comunque, accettabile o meno tale tesi, è indubbio che nella scala dei valori costituzionali il diritto d’autore, se pure esiste, occupa un posto secondario. Certamente su di esso prevale la libertà di manifestazione del pensiero, prevista all’art. 21 e la cui violazione è stato motivo principale della sent. 202 cit.. Una prima conclusione è che, se veramente l’art. 51 1.633/41 andasse letto nel senso del riconoscimento della licenza legale alla RAI e della sua negazione alle imprese private di teleradiodiffusione, tale norma sarebbe così gravemente sospetta di incostituzionalità, da rendere doverosa la sua denuncia alla Corte Costituzionale.
Ma tale conclusione non si rende necessaria se, nell’interpretazione della norma, si tengono presenti quelle regole ermeneutiche, sulle quali ci si è soffermati all’inizio.
Premesso che l’art. cit. si riferiva ad una situazione diversa da quella esistente, si tratta di esaminare la possibilità di una sua lettura che sia rispondente ai valori costituzionali, alla situazione di fatto attuale e ai limiti intrinseci alla funzione dell’interprete.
In primo luogo è difficilmente confutabile che, nell’art. cit., l’accento viene posto sulla natura del mezzo, e non sul modo del suo esercizio (“in ragione della natura e dei fini”). E la natura del mezzo rimane uguale sia che ad esercitarlo sia la concessionaria di Stato, che soggetti privati.
Inoltre il sistema di legge prevedeva anche la possibilità di una pluralità di esercenti, sia pure nell’ambito di concessioni statali; oggi la situazione non è cambiata in maniera radicale, perché allo Stato rimangono pur sempre quei consistenti poteri di supremazia, impliciti nella sentenza 202/76; data l’omogeneità delle situazioni, appare eccessivo far dipendere una lettura fortemente sospetta di incostituzionalità della norma soltanto dalla differenza, pur non trascurabile, tra concessione e autorizzazione. Il dato di fondo, cioè il controllo pubblico sull’esercizio della teleradiodiffusione, è rimasto, mentre è cambiato soltanto l’estensione del potere e l’incisività del controllo, limitate per l’art. 21 Cost.. A parere di questo giudice, in conclusione, l’interpretazione proposta, risolvendo una apparente ambiguità della norma, ne permette una lettura congrua sia storicamente che costituzionalmente: essa quindi rientra nella categoria dell’interpretazione evolutiva, la cui liceità è pacifica anche in ordinamenti a diritto codificato come il nostro.
Né, infine, ad impedire la conclusione precedente, può valere l’attuale situazione di anarchia legislativa, essendo questo un dato contingente, dovuto alla difficoltà di composizione di interessi opposti, che non vale ad inficiare la validità della soluzione generale (ovviamente, quando sarà emanata la necessaria disciplina normativa, il diritto conclusivo di radiodiffusione potrà essere riconosciuto soltanto ai soggetti in possesso di regolare autorizzazione).
Tornando adesso all’esame della norma incriminatrice, la conclusione della teoria esposta è che il soggetto esercente la radiodiffusione ha il diritto di radiodiffondere opere altrui anche senza il preventivo consenso dell’autore (salvo i casi marginali dell’art. 52, 3° co. e dell’art. 59, nei limiti indicati), e quindi non può mai accadere che egli diffonda un’opera “senza averne il diritto”. Quindi neppure sotto tale profilo può ritenersi applicabile agli odierni imputati l’art. 171 1.633/41 (appare inutile soffermarsi sull’eventuale contrasto tra questa tesi e quella precedente, di una totale inapplicabilità dell’art. 171 ai casi di radiodiffusione, nell’ipotesi di cui all’art. 52, 3° co., perché influente sulla presente decisione, anche se, probabilmente, il contrasto potrebbe risolversi col ricorso al principio del favor rei).
Alla radicalità di questa conclusione parrebbe ostare la tradizionale interpretazione della materia, ma tali ostacoli non hanno pregio giuridico. Premesso che non tutti i profili del diritto d’autore sono tutelati penalmente, e abbiamo visto, infatti, essere penalmente irrilevanti la violazione del diritto morale d’autore, rilevato che la sanzione speciale si aggiunge a quella ordinaria (cfr. 173 1.633), l’interprete, una volta controllata la correttezza logica e la rispondenza costituzionale delle sue conclusioni, non può farsi deviare dalla considerazione di una presunta incoerenza del legislatore (del resto, di fronte ad una tutela civilistica particolarmente penetrante, non appare assurda una sanzionabilità penale riservata soltanto ad alcune ipotesi): nella fattispecie, le conclusioni raggiunte non appaiono inficiate da errori logici e, soprattutto, tengono conto della prevalenza del divieto di analogia in materia penale sul principio di una presunta completezza dell’ordinamento; tanto è più che sufficiente a farle ritenere pienamente accettabili. Poiché, quindi, la condotta degli imputati non rientra tra quelle penalmente sanzionate, essi vanno tutti assolti con la formula più ampia.
Naturalmente, quanto alle gravissime accuse formulate dalla difesa del XX a carico degli organi direttivi della S.I.A.E., influenti sul presente processo, esse richiedono una attesa valutazione, che va resa possibile mediante la rimessione degli atti relativi davanti a questo stesso pretore, nella sua qualità di titolare dell’azione penale, per valutarne la fondatezza e, in caso affermativo, stabilire la competenza per materia e per territorio a proseguire le indagini.
P.Q.M.
Assolve AA, XX, BB, YY e ZZ in ordine al reato ascritto in rubrica perché il fatto non è preveduto come reato dalla legge. Ordina rimettersi in istruttoria copia dell’odierno verbale dibattimentale, delle odierne produzioni e della sentenza per l’accertamento dell’esistenza di altri eventuali reati.
Ancona, 23.11.978
Il Cancelliere
F.to D’Amore
Il Pretore
F.to D’Ambrosio