15 giugno 1998, Sentenza n.1511 della Corte Suprema di Cassazione, Sez. III Penale


15 GIUGNO 1998

SENTENZA N. 1511 DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, SEZ. III PENALE

 

Svolgimento del processo

 

Con sentenza 17/10/1997 la Corte di Appello di Roma, in parziale riforma delle sentenze 26/4/1994, 3/2/1995, 25/3/1995 e 10/4/1996 del Pretore della stessa città, confermava l’affermazione della penale responsabilità di Melucci Gerardo in ordine a reiterate violazioni dell’art. 1 della legge 29/7/1981, n. 406, in relazione all’art. 2

della legge 27/3/1987, n. 121, per avere detenuto per la vendita musicassette noti contrassegnate dalla S.I.A.E. (fatti accertati dal 13/1/1991 al 9/2/1992) e, ritenuta la continuazione tra tutte le fattispecie contestate, determi­nava la pena principale complessiva in anni uno di reclusione e lire 2.900.000 di multa.

Avverso tale sentenza ha proposto il ricorso l’imputato, eccependo erronea applicazione della legge penale.

Il ricorrente, facendo espresso riferimento a due recenti decisioni di questa Corte Suprema (Sez. II, n. 1626/1997 e Sez. III, n. 2090/1997), ha rilevato che gli artt. 1 e 2 della legge 406/1981 sono stati abrogati dal D.Lgs. 16/11/1994, n. 685, che «ha introdotto nella disciplina del diritto d’au­tore, regolata dalla legge n. 633/1941, un nuovo reato previsto dall’art. 171-ter lett. c)».

La nuova normativa, però, prevede un Regolamento di attuazione mai emanato, in assenza del quale l’art. 171-ter non è suscettibile di pratica applicazione e le condotte in esso previste non costituiscono illecito penale.

 

Motivi della decisione

 

Il ricorso deve essere rigettato perché infondato.

1. Quanto ai rapporti tra il D.Lgs. n. 685/1994 e la ravvisata ipotesi di reato continuato, che nelle originarie contestazioni è stata riferita alle previsioni della legge n. 406/1981, si impone un sia pur rapido esame della successione delle anzidette disposizioni legislative e della loro incidenza sulla legge fondamentale 22/4/1941, n. 633 in materia di diritto d’autore.

Tale legge fondamentale apprestava originariamente tutela penale al diritto di autore sotto un duplice profilo: sia direttamente (art. 171, lett. f), che sanziona la registrazione-­riproduzione abusiva dell’opera dal vivo dell’autore, quale opera dell’ingegno) sia indirettamente (con la previsione dell’art. 171, lett. e), come modificata

dalla legge 5/5/1976, n. 404, che vietava la riproduzione, con qualsiasi processo di duplicazione, di dischi o di altri supporti analoghi nei quali le opere d’ingegno fossero state già fissate, con la conseguente tutela del diritto esclusivo di riproduzione e commercializzazione spettante al produttore).

La legge 28/7/1981, n. 406 – occupandosi esclusivamente della tutela penale del «corpo meccanico» (disco, nastro o diverso supporto), al cui produttore è riconosciuto diritto esclusivo (per la durata ed alle condizioni stabilite) di riprodurlo con qualsiasi processo di duplicazione e di porlo in commercio – ha successivamente soppresso la lett. e) del 1° comma dell’art. 171 della legge n. 633/1941 – (art. 3) ed ha sanzionato l’abusiva riproduzione, a fine di lucro, di dischi, nastri o supporti analoghi, nonché la detenzione di essi per la vendita da parte di chi non abbia partecipato alla riproduzione abusiva (art. 1).

E’ intervenuta, quindi, la legge 20/7/1985, n. 400 a reprimere l’abusiva duplicazione, riproduzione, importazione, distribuzione e vendita, proiezione in pubblico e trasmissione di opere cinematografiche e l’art. 2 del D.L. 26/1/1987, n. 9, convertito nella legge 27/3/1987, n. 121 (recante interventi urgenti in materia di distribuzione commerciale e modifiche alla legge n. 517/1975 sulla disciplina del commercio agevolato), ha esteso l’applicabilità di tali norme anche alle videocassette riproducenti opere cinematografiche.

L’art. 2 della legge n. 121/1987, in particolare, rinviando quoad poenam alle disposizioni della legge n. 400/1985, strutturava testualmente la fattispecie penale in relazione a «la vendita o il noleggio di videocassette riproducenti opere cinematografiche e non contrassegnate dalla Società italiana degli autori ed editori (S.I.A.E.) ai sensi della legge 22 aprile 1941, n. 633, sulla protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio, e del relativo regolamento di esecuzione approvato con R.D. 18 maggio 1942, n. 1369».

Il coacervo delle disposizioni normative dianzi ricordate non soltanto si presentava palesemente disorganico ma incideva negativamente, per difetti di coordinamento, sulla stessa organicità ed unitarietà della disciplina fondamentale del diritto d’autore, posta dalla legge n. 633 del 1941.

Con il D.Lgs. n. 685 del 6/11/1994, il legislatore pertanto, anche di fronte all’evoluzione dei fenomeni del noleggio e del prestito nella distribuzione dei supporti – dando attuazione alla Direttiva del Consiglio CEE n. 92/100 del 19 novembre 1992 – ha inteso aggiornare e risistemare la regolamentazione di tutta la materia della duplicazione e riproduzione di opere artistiche, musicali, cinematografiche e televisive, riconducendola proprio alla legge 22 aprile 1941, n. 633.

Nella relazione che accompagnava il D.Lgs.vo in questione, invero, (a proposito dell’art. 17, che ha aggiunto il nuovo art. 17-ter alla legge n. 633/1941) viene espressamente evidenziata «l’opportunità di riunire nel presente articolo della legge sul diritto d’autore la normativa sanzionatoria attualmente contenuta nelle leggi n. 406/1981, n. 400/1985 e n. 121/1987, alla luce di esigenze di armonizzazione e chiarezza interpretativa».

In questa prospettiva, con l’art. 20 del D.Lgs. n. 685/1994 sono stati abrogati gli artt. 1 e 2 della legge n. 406/1981, nonché la legge n. 400/1985 e, infine, l’art. 2 del D.L. n. 9/1987 convertito dalla legge n. 121/1987, soltanto in quanto è stato trasfuso nella legge fondamentale n. 633/1941 il contenuto di tali norme abrogate.

In particolare, l’art. 17 del D.Lgs. n. 685/1994 ha aggiunto alla legge n. 633 l’art. 17-ter, allo scopo di san­zionare penalmente sia la duplicazione abusiva, a fine di lucro, di opere destinate al circuito cinematografico o televisivo, di dischi, nastri o supporti analoghi ovvero di ogni altro supporto contenente fonogrammi o videogrammi di opere cinematografiche o audiovisive o sequenze di immagini in movimento (lett. a); sia il fatto di chi, pur non avendo concorso nella duplicazione abusiva, pone in commercio, concede in noleggio o comunque in uso a qualunque titolo a fine di lucro, detiene per gli usi anzidetti, introduce a fine di lucro nel territorio dello Stato, proietta in pubblico o trasmette per mezzo della televisione le duplicazioni o riproduzioni abusive (lett. b); sia la vendita o il noleggio di videocassette, musicassette od altro supporto contenente fonogrammi o videogrammi di opere cinematografiche o audiovisive o sequenze di im­magini in movimento non contrassegnati dalla S.I.A.E.(lett. c).

Con l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 685/1994, pertanto, non vi è stata alcuna abolitio criminis, ma una semplice riformulazione e risistemazione organica della materia sotto la legge n. 633/1941, nella quale sono state trasfuse, con gli opportuni aggiornamenti, le condotte già penalmente rilevanti per le precedenti leggi abrogate.

Il precetto contenuto nella lett. c) dell’art. 171-ter, per quello che più specificamente riguarda il caso in esame, secondo l’opzione legislativa già adottata dall’art. 2 della legge n. 121/1987 (riconosciuta da questa III Sezione con le decisioni n. 381 del 20/5/1993 e n. 6469 del 2/6/1995), persegue lo scopo di garantire la trasparenza del mercato e la legittimità della circolazione dei supporti audiovisivi ed è finalizzato ad agevolare la repressione della pirateria fono-­videografica rendendo gli illeciti immediatamente percettibili già attraverso la semplice rilevazione della mancanza del prescritto contrassegno.

La stessa norma, perciò, secondo la sua ratio, non è rivolta a sanzionare il comportamento del venditore o del noleggiatore che ometta di vidimare i supporti commercializzati ma piuttosto ad impedire che supporti abusivi siano oggetto delle negoziazioni.

2. Questa Corte Suprema – con due recenti decisioni: Sez. III, 12/7/1997, n. 2090 (cam. cons. 16/5/1997) ric. Nonnucci e Sez. II, 16/10/1997, n. 1626 (cam. cons. 4/3/1997) ric. Favilli ed altri – ha posto in rilievo che la condotta tipizzata dall’art. 171-ter, 1° comma, lett. c), della legge n. 633/1941 consiste nel vendere o noleggiare i supporti «non contrassegnati dalla Società italiana degli autori ed editori (S.I.A.E.) ai sensi della presente legge e del regolamento di esecuzione».

Pertanto – poiché lo stesso D. Lgs. n. 685 del 1994 nulla dispone in merito all’applicazione dei contrassegni ed il suo regolamento di esecuzione non è stato ancora emanato, considerato altresì che la legge n. 633 del 1941 non impone l’obbligo del contrassegno per i supporti in oggetto ed il suo Regolamento (R.D. 18/5/1942, n. 1369), all’art. 12, lo disciplina solo per le opere letterarie – non essendo stata ancora emanata la norma, necessaria per l’integrazione del reato, che avrebbe dovuto completare la specificazione degli elementi che concorrono alla descrizione dell’illecito penale, l’azione di colui che non applica i contrassegni imposti dalla S.I.A.E. non è tipica nel senso che non corrisponde alla peculiare forma di aggressione del belle tutelato contenuta nel modello legale.

Ne consegue che il precetto penale non può avere pratica attuazione, perché si riferisce a fattispecie non ancora completamente previste e descritte, e la S.I.A.E. non è legittimata a stabilire ed imporre le forme, i tempi e le modalità della vidimazione, né autoritativamente né in virtù di accordi con parti private quali le associazioni dei produttori dei supporti.

Tali affermazioni di principio si pongono in contrasto con altre pronunzie che hanno affermato, invece, la sussistenza del reato (Sez. III: 24/6/1997, n. 2162, ric. P.M. in proc. Cibelli; 9/2/1996, n. 1607, ric. Viviani; 31/1/1996, n. 1027, ric. Aboulkir M’Hamed).

Egualmente affermative dell’illecito penale, pur se in fattispecie e contesto argomentativo diversi, sono ulteriori decisioni di questa III Sezione: 11/6/1997, n. 5559, ric. Fruncillo; 7/2/1997, n. 4255, ric. Cellarosi; 16/6/1995, n. 6895 e 2/6/1995, n. 6469.

3. Nel contrasto di giurisprudenza dianzi evidenziato questo Collegio non aderisce alla interpretazione (condivisa dal ricorrente) che esclude la possibilità di attuazione pratica del precetto penale contestato poiché riferito a fattispecie non completamente previste.

In proposito devono svolgersi, invero, le seguenti considerazioni.

A) Il D.Lgs. n. 685/1994 (come si evince dall’allegata Relazione) ha inteso riaffermare il valore centrale della legge n. 633 del 1941, tanto che il legislatore ha operato la scelta di “aggiornare” tale corpo normativo originario attraverso l’interpolazione, senza alterarne la struttura ed anzi riassorbendo in esso il contenuto di altri provvedimenti additivi precedentemente emanati (le leggi n. 406/1981, n. 400/1985, n. 421/1987).

Il ricorso alla tecnica dell’interpolazione (valutato secondo il canone interpretativo dell’intenzione del legislatore, a norma dell’art. 12 delle disposizioni preliminari al codice civile) palesa chiaramente la volontà di inserire le nuove previsioni penali quale parte integrante della legge fondamentale sul diritto d’autore, sicché il Regolamento di esecuzione richiamato dall’art.171-ter altro non è che quello approvato con il R.D. 18/5/1942, n. 1369, come deve ovviamente ritenersi per tutte le norme della medesima legge che fanno riferimento al Regolamento di esecuzione di essa.

Il legislatore, del resto, nella materia in oggetto, quando ha voluto fare riferimento ad un diverso e nuovo regolamento di esecuzione, ha introdotto una previsione espressa in tal senso (possono ricordarsi, in proposito, gli artt. 6 e 12 del D. Lgs. n. 518/1992, che hanno rimesso ad un apposito Regolamento attuativo – poi emanato con il D.P.C.M. n. 244 del 3/1/1994 – la disciplina delle modalità di tenuta, da parte della S.I.A.E., del registro pubblico speciale per i programmi di elaboratore).

B) L’art. 171-ter, 1° comma, lett. c), della legge n. 633/1941, dunque, trova il suo completamento, sotto il profilo descrittivo, nel R.D. n. 1369/1942 ed in particolare nell’art. 12 di detto Regolamento di esecuzione, con cui ben può essere coordinato.

Il secondo comma di tale articolo, invero, dispone che «il contrassegno è apposto sugli esemplari dell’opera… a mezzo della S.I.A.E. (subentrata all’E.I.D.A. – Ente italiano per il diritto di autore)…» mentre il successivo terzo comma prevede che «le categorie di opere che devono essere oggetto del contrassegno in applicazione delle disposizioni della legge (n. 633/1941)…, nonché le modalità del contrassegno medesimo e l’indicazione di chi debba sopportare la relativa spesa, possono essere stabilite anche da accordi economici collettivi tra le associazioni sindacali interessate…».

E’ vero che entrambi i commi anzidetti fanno «salvo il diritto dell’autore di contrassegnare con la propria firma autografa ciascun esemplare dell’opera» e che ciò è possibile esclusivamente per le opere letterarie su supporto cartaceo, ma la previsione di un siffatto regime eccezionale per tali opere specifiche non inficia la validità generale della disciplina per tutte le altre categorie di opere che devono essere munite del contrassegno secondo le disposizioni della legge n. 633/1941.

Un elemento di conferma può rinvenirsi, in proposito, nell’ultimo periodo del 1° comma dell’art. 171-bis della medesima legge n. 633 (norma inserita dall’art. 10 del D.Lgs. 29/12/1992, n. 518), che richiama espressamente il Regolamento di esecuzione del 1942 in relazione al contrassegno che deve essere apposto sui programmi per elaboratori, cioè su supporti magnetici ove non è materialmente possibile l’apposizione della firma autografa dell’autore.

C) Per le “musicassette” – oggetto specifico della fattispecie che ci occupa – l’obbligo del contrassegno (diversamente da quanto si afferma nella citata sentenza del 12/7/1997 di questa III Sezione) è fissato appunto dall’art. 171-ter, l° comma, lett. c), della legge fondamentale (che lo dispone per ogni tipo di supporto), non dagli accordi stipulati dalla S.I.A.E. con le associazioni sindacali interessate, i quali, secondo l’espressa previsione del citato art. 12 del Regolamento di esecuzione n. 1369/1942, hanno soltanto la finalità di individuare e ripartire gli oneri economici connessi all’attività di apposizione del contrassegno medesimo.

Tali peculiari pattuizioni negoziali non hanno tutela penale in se stesse, restando invece penalmente sanzionata l’illecita immissione nel mercato dei supporti non contrassegnati dalla S.I.A.E.

D) L’art. 171-ter, 1° comma, lett. c), della legge n. 633/1941, dunque, attraverso l’integrazione con l’art. 12 del R.D. n. 1369/1942 che specifica elementi di fatto già in esso contemplati, enuncia un precetto penale completamente descritto e sufficientemente determinato per cui deve considerarsi pienamente ed immediatamente applicabile.

Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

 

P.Q.M.

 la Corte Suprema di cassazione, visti gli artt. 607, 615 e 616 c.p.p., rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.