ORDINANZA 12 Dicembre 2005, n. 29
Ordinanza emessa il 12 dicembre 2005 dal tribunale amministrativo regionale del Friuli-Venezia Giulia sul ricorso proposto da Tim Italia S.p.A. contro Regione Friuli-Venezia Giulia ed altro
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
Contro la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, in persona del presidente legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Michela Del Neri e Daniela Iuri, dell’Avvocatura della Regione, con elezione di domicilio presso la sede dell’Avvocatura in Trieste;
e notiziandone il Ministero delle comunicazioni in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege per l’annullamento degli articoli 2, 3, 9 e 11 dell’Allegato 5 del regolamento di attuazione della legge regionale n. 28/2004 approvato con decreto del presidente della regione 19 aprile 2005, n. 094/Pres;
Visto il ricorso, ritualmente notificato e depositato presso la Segreteria;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione;
Viste le memorie prodotte dalle parti tutte;
Visti gli atti tutti della causa;
Uditi, alla pubblica udienza del 2 novembre 2005 – relatore il consigliere Oria Settesoldi – i difensori delle parti presenti;
Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue.
F a t t o
Vengono dedotti i seguenti motivi:
1) Immediata lesivita’ e diretta applicabilita’ del regolamento. Interesse al ricorso.
In primis si afferma che il regolamento di attuazione della legge regionale n. 28/2004 (disciplina in materia di infrastrutture per la telefonia mobile), dettando dettagliate disposizioni ad effetto immediato, risulterebbe ex se immediatamente lesivo degli interessi della ricorrente societa’. Si cita in primo luogo le previsione stessa del Piano comunale quale strumento per la localizzazione dei siti, in quanto conterrebbe disposizioni eccessivamente specifiche e tali da ostacolare lo sviluppo della rete. In secondo luogo vi sarebbero le disposizioni che ignorano l’istituto della conferenza di servizi e la possibilita’ di richiedere documentazione integrativa, omissioni lesiva degli interessi dei gestori. Inoltre l’all. 5 del Regolamento aggrava i procedimento richiedendo oltre al parere obbligatorio e vincolante dell’ARPA anche quello dell’ASS.
Tali disposizioni sarebbero di immediata applicazione e comporterebbero l’impugnabilita’ in via autonoma del Regolamento.
2) Violazione dell’art. 117, comma 3, della Costituzione.
Violazione degli articoli 3 e 8 della legge 22 febbraio 2001, n. 36 e degli art. 86 e 87 del d.lgs. 1° agosto 2003, n. 259.
Il regolamento in questione, e per presupposto la legge regionale n. 28/2004, sarebbe illegittimo nella parte in cui, in particolare all’art. 3, viola gli articoli 3 e 8 della legge n. 36/2001 e l’art. 86 del Codice delle comunicazioni elettroniche, norme che prevedono che spetti alle regioni «l’esercizio delle funzioni relative all’individuazione dei siti» e l’indicazione, con legge, dei criteri localizzativi e degli standard urbanistici, mentre spetta ai comuni «adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti». Invece il regolamento regionale prevede che attraverso un atto di pianificazione si stabilisca a priori e senza possibilita’ di modifiche successive il posizionamento degli impianti, cosa che comporta una rigidita’ della pianificazione e localizzazione in contrasto con i principi stabiliti dal legislatore statale sia all’art. 8 della legge n. 36/2001 sia all’art. 86 del codice delle comunicazioni elettroniche.
3) Violazione dell’art. 1 e 3 della legge regionale n. 28/2004; violazione dell’art. 41 della legge n. 166/2002 e dell’art. 87 del d.lgs. n. 259/2003.
Le norme regolamentari attuative della legge regionale n. 28/2004 violerebbero i principi contenuti nella legge statale in materia di ordinamento delle comunicazioni elettroniche emanato in attuazione delle direttive comunitarie nn. 2002/19/CE, 2002/20/CE, 2002/21/CE e 2002/22/CE. Queste riconoscono, in termini generali, che le autorizzazioni e le licenze per la fornitura del servizio di telecomunicazioni devono fondarsi su criteri oggettivi, non discriminatori e trasparenti, come ricorda il considerando n. 22 della direttiva 2002/21/CE. Il legislatore regionale, ignorando le disposizioni costituzionali in tema di ordinamento delle comunicazioni elettroniche le ha invece disciplinate sotto il titolo formale della materia urbanistica. Si ricorda al riguardo che l’art. 117, comma 3 della Cost. riconosce alla competenza concorrente la materia dell’«ordinamento della comunicazione», con la conseguenza che i principi generali devono essere adottati con normativa statale, lasciando alle regioni la potesta’ di emanare norme di dettaglio e attuative. Tale regime di competenza in tema di ordinamento della comunicazione, come chiarito dalla corte costituzionale con sentenza n. 36/2001, vale anche per le regioni speciali e le province autonome, sicche’ la regione avrebbe dovuto tener presente i principi fondamentali contenuti nel Codice delle comunicazioni e specificarli nella legge regionale n. 28/2004.
Non sarebbe stato rispettato l’art. 87 del d.lgs. n. 259/2003 che prevede l’esperimento di un’unica procedura autorizzatoria relativa agli impianti di stazione radio base con possibilita’ di richiedere integrazione della documentazione prodotta ed introducendo la conferenza di servizi in caso di motivato dissenso di una amministrazione interessata.
4) Violazione degli artt. 4 e 87 del d.lgs. n. 259/2003. Violazione dell’art. 117, comma 3 della Costituzione. Contraddittorieta’. Eccesso di potere. Violazione del principio di semplificazione. Aggravamento del procedimento.
Nel disciplinare il procedimento di rilascio dei titoli abilitativi all’installazione degli impianti di telefonia il regolamento, e di presupposto, la legge regionale, ignorerebbe il principio di semplificazione introdotto dall’art. 4 del d.lgs. n. 259/2003 e dalle direttive comunitarie di riferimento, in attuazione del quale principio il legislatore nazionale, all’art. 87 cit., disegna il procedimento di rilascio come un procedimento unico e speciale rispetto a quelli in materia di installazione di manufatti edili, come gia’ chiarito nel motivo precedente.
Inoltre il procedimento verrebbe aggravato anche per l’introduzione del doppio parere obbligatorio e vincolante richiesto sia all’ARPA sia alla ASS.
5) Violazione dell’art. 5 della legge regionale n. 28/2004 e dell’art. 87 del d.lgs. n. 259/2003. Eccesso di potere per contraddittorieta’, carenza di presupposti e travisamento dei fatti.
L’art. 9, comma 2 del regolamento sarebbe illegittimo perche’ condiziona la realizzabilita’ dell’impianto alla verifica di un presupposto (la compatibilita’ dell’impianto con il Piano di localizzazione) non richiesto dall’art. 87 cit. e nemmeno dalla legge regionale n. 28/2004 il cui art. 5 si limita a prevedere l’acquisizione dei pareri vincolanti e la verifica di eventuali incompatibilita’.
Inoltre si introduce il giudizio di compatibilita’ riferito ai singoli impianti il che presuppone che il piano di localizzazione individui specificamente i singoli impianti che i gestori potranno realizzare mentre il piano, a termini dell’art. 3 del Regolamento, dovrebbe essere rivolto solo alla individuazione delle aree dove localizzare gli impianti.
6) Sviamento di potere. Incompetenza. Violazione della legge n. 36/2001 e del d.lgs. n. 259/2003. Violazione del d.P.C.m. 8 luglio 2003. Violazione del principio di ragionevolezza.
Le disposizioni regolamentari oggetto di censura sarebbero poi contraddittorie e viziate per sviamento di potere in quanto, pur disciplinando apparentemente aspetti di natura urbanistica, sarebbero immediatamente intese a produrre effetti anche nella materia della tutela della salute. Infatti, sebbene le disposizioni regolamentari facciano fugace riferimento nell’art. 2 agli obblighi di copertura del territorio nazionale, di fatto prevederebbero strumenti tali da limitarne, quando non impedirne del tutto, la realizzazione. In particolare il regolamento, in attuazione dell’art. 8 della legge regionale n. 28/2004, individua divieti di installazione definendone a priori l’incompatibilita’.
La previsione di incompatibilita’ assoluta degli edifici indicati dall’art. 8 della legge e dall’art. 3 del regolamento e la suddivisione del territorio comunale in aree a localizzazione incompatibile, aree preferenziali e aree neutre, configurerebbe uno sviamento di potere perche’ il legislatore regionale, facendo improprio ricorso alla potesta’ urbanistica che lo statuto gli riconosce, avrebbe in realta’ inteso intervenire a fini di tutela della salute che e’ gia’ disciplinata, quanto ai limiti di esposizione ai campi magnetici, nel d.P.C.m. 8 luglio 2003.
7) Violazione e falsa applicazione dell’art. 4, comma 2, lettera c) della legge regionale n. 28/2004.
L’ art. 9 del Regolamento sarebbe illegittimo nella parte in cui omette l’esplicito riferimento alla localizzazione di nuovi impianti tramite accordi coi gestori.
8) Violazione sotto diverso profilo dell’art. 41 della legge n. 166/2002 e dell’art. 87 del d.lgs. n. 259/2003 in quanto principio fondamentale. Eccesso di potere per perplessita’ e contraddittorieta’ manifesta.
La normativa regolamentare e quella legislativa di cui la prima e’ attuazione non enuncerebbero con chiarezza la disciplina procedimentale da seguire e, in particolare, se il procedimento previsto dalla normativa regionale sia un procedimento unico, speciale ed esaustivo per il rilascio del titolo autorizzatorio oppure se esso debba essere completato con l’ulteriore rilascio del titolo edilizio concessorio ai sensi della legge regionale n. 52/1991.
9) Eccezione di incostituzionalita’ per violazione dello statuto speciale in relazione alla estensione operata dall’art. 10 della legge cost. n. 3/2001 e dell’art. 117, comma 3.
Si ribadisce che, come gia’ precisato, la legge regionale non terrebbe presente i principi fondamentali contenuti nel codice e nella legge quadro n. 36/2001 e non ne attuerebbe alcuna specificazione, come invece dovrebbe avvenire nell’ipotesi di competenza legislativa concorrente.
Inoltre la legge regionale violerebbe il principio fissato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 307/2003 con riferimento alla tutela della competenza regionale in tema di disciplina dell’uso del territorio perche’ introdurrebbe disposizioni ostative alla realizzazione degli impianti.
10) Eccezione di incostituzionalita’ per violazione delle norme a tutela della concorrenza. Violazione degli artt. 41 e 117, comma 2, della Costituzione.
La normativa regionale avrebbe previsto un aggravamento del procedimento che, oltre a violare il riparto di competenza Stato-regioni ex art. 117, comma 3, sarebbe in contrasto con quanto previsto in materia di tutela della concorrenza che, in base all’art. 117, comma 2, e’ competenza esclusiva dello Stato.
Verrebbe violato anche quanto disposto dall’art. 41 Cost. in materia di liberta’ di iniziativa economica.
Si e’ costituita in giudizio l’amministrazione regionale intimata controdeducendo per il rigetto del ricorso. Il Ministero si e’ invece costituito depositando memoria ad adiuvandum di cui la regione ha eccepito l’inammissibilita’ nell’assunto che, trattandosi di cointeressato, avrebbe dovuto notificare atto di intervento nei termini per la proposizione del ricorso.
D i r i t t o
1) Osserva in primis il Collegio che il ricorso e’ ammissibile, dal momento che le impugnate disposizioni regolamentari sono immediatamente lesive degli interessi della ricorrente, perche’ tale lesione deriva direttamente dalla procedura che viene approntata, a partire dalla stessa previsione di una pianificazione aprioristica e vincolante, con la conseguente anticipazione al momento pianificatorio delle scelte relative alle installazioni e modificazioni degli impianti.
Gli articoli del regolamento di attuazione oggetto della presente impugnativa concernono infatti (artt. 2 e 3) la previsione del piano comunale di settore per la localizzazione degli impianti ex art. 4 della legge regionale n. 28/2004, la previsione degli accordi con i gestori da recepirsi nel piano (art. 9), la procedura per l’ottenimento della concessione o autorizzazione edilizia (art. 11) e le procedure per l’accertamento della conformita’ del progetto di impianto radio mobile ai limiti di campo elettromagnetico indicati dal d.P.C.m. 8 luglio 2003.
2)Il ricorso mira sostanzialmente a denunciare l’illegittimita’ delle succitate norme regolamentari siccome derivante dall’incostituzionalita’ delle norme della legge regionale n. 28/2004 a cui esse sostanzialmente si attengono. In via meramente residuale vengono dedotte anche alcune censure di violazione della legge regionale sopracitata che pero’ si riferiscono unicamente a disposizioni regolamentari marginali, tanto che la loro decisione non e’ in grado di influire sul generale esito del gravame a prescindere dall’esame delle eccezioni di incostituzionalita’.
3) In ogni caso il Collegio ritiene opportuno iniziare l’esame del ricorso proprio dai motivi attinenti alle dedotte violazioni della normativa ex legge regionale n. 28/2004.
Con la censura dedotta sub 5) parte ricorrente deduce la violazione dell’art. 5 della legge regionale n. 28/2004 e dell’art. 87 del d.lgs. n. 259/2003 nell’assunto che il regolamento, all’art. 9, secondo comma, subordinerebbe il rilascio della concessione o autorizzazione edilizia alla verifica di un presupposto, cioe’ il giudizio di compatibilita’ del realizzando impianto con il contenuto del piano di localizzazione, ulteriore rispetto a quanto richiesto dalla legge regionale citata e dall’art. 87 del codice delle comunicazioni elettroniche per il rilascio del titolo abilitativo.
Questa previsione sarebbe altresi’ viziata per eccesso di potere per manifesta contraddittorieta’, carenza dei presupposti e travisamento dei fatti in quanto introduce il giudizio di compatibilita’ riferito ai singoli impianti e quindi presuppone che il piano individui espressamente i singoli impianti che i gestori potranno realizzare mentre il piano stesso, ex art. 3 del regolamento, dovrebbe intendersi rivolto alla individuazione delle aree dove localizzare gli impianti e non alla individuazione a priori delle stazioni radiobase.
Con il sesto motivo vengono prese di mira le disposizioni regolamentari che prevedono la possibilita’ di individuare zone precluse all’installazione degli impianti, con indicazioni che mascherebbero nell’ambito delle previsioni di natura urbanistica i loro reali intenti afferenti alla materia della tutela della salute, di competenza statale e gia’ disciplinata esaustivamente con la previsione dei limiti di esposizione al campi elettromagnetici ex d.P.C.m. 8 luglio 2003.
Infine, con la censura n. 7, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 4, comma 2, lett. c) della legge regionale n. 28/2004 nell’assunto che, mentre detta norma prevede che la localizzazione delle infrastrutture sia definita sulla base di protocolli d’intesa con i gestori, l’art. 9 del regolamento ometterebbe la previsione dei protocolli di intesa con riferimento alla localizzazione di nuovi impianti, con cio’ limitandone la previa necessita’ all’ipotesi di razionalizzazione di quelli esistenti.
4) Osserva il Collegio, peraltro, che nessuna delle censure soprariepilogate concretizza un’effettiva violazione della normativa dettata con la legge regionale n. 28/2004. Infatti e’ proprio l’art. 4, comma 2, lett. c) della legge che include nel piano «… la localizzazione delle strutture per l’installazione di impianti fissi per telefonia mobile e ponti radio e le loro eventuale modifiche».
Sulla rispondenza di tale previsione all’art. 87 del d.lgs. n. 259/2003 si vedra’ ovviamente in prosieguo, in ogni caso e’ ovvio che, se nel piano devono essere previste le specifiche localizzazioni, solo gli impianti previsti potranno essere poi realizzati, sicche’ la valutazione di compatibilita’ appare, per cosi’ dire, in re ipsa.
Anche la previsione delle localizzazioni incompatibili discende dall’art. 8 della legge regionale. Infine, per quanto concerne la settima censura va detto che l’asserzione di parte ricorrente, che ritiene che la previsione dell’art. 9 del Regolamento in ordine alla promozione di protocolli di intesa con i gestori al fine di produrre accordi da recepirsi nel piano al fine di «regolamentare lo sviluppo e la gestione ottimale delle reti» non varrebbe ad includere nell’ambito delle intese succitate anche la localizzazione dei nuovi impianti, non ha alcun fondamento. Al contrario, e’ ovvio che il riferimento allo sviluppo delle reti attiene proprio ai nuovi impianti, che quindi sono indubbiamente inclusi nell’ambito dei protocolli di intesa.
5) Verificato quindi, come sopra visto, che il regolamento va ritenuto sostanzialmente conforme alla legge regionale di cui e’ attuativo, il Collegio deve affrontare l’esame delle altre censure con cui si deduce sotto vari rispetti che le disposizioni regolamentari censurate costituirebbero per l’appunto attuazione di previsioni legislative regionali da ritenersi costituzionalmente illegittime.
6) E’ innegabile la rilevanza in causa delle eccezioni di illegittimita’ costituzionale dal momento che solo la loro fondatezza potrebbe mediatamente portare all’accoglimento del ricorso.
7) Rimane pertanto da effettuare la valutazione di spettanza di questo giudice in ordine alla possibile non manifesta infondatezza di tali eccezioni.
Il Collegio osserva anzitutto che la principale censura attiene sostanzialmente alla violazione delle disposizioni costituzionali in tema di disciplina del riparto delle competenze legislative Stato-regioni e, conseguentemente, dei principi fondamentali in ordine all’ordinamento delle comunicazioni elettroniche, operata mediante l’accorpamento di tutta la normativa relativa alle stazioni radio mobili all’interno della disciplina urbanistica, cosi’ discostandosi dai principi generali fissati dal legislatore statale riguardo alla disciplina delle telecomunicazioni.
L’art. 117, terzo comma della Costituzione attribuisce alla competenza legislativa «concorrente» delle regioni la materia dell’«ordinamento della comunicazione» e, di conseguenza, riserva alla normativa statale la previsione dei principi generali che debbono essere puntualmente rispettati in sede di formazione regionale, sicche’ la competenza legislativa regionale puo’ al riguardo esplicarsi unicamente nel puntuale rispetto di tali principi. Tale competenza legislativa si applica, al momento, nei termini sopracitati anche alla Regione Friuli-Venezia Giulia in virtu’ della previsione dell’art. 10 della l. cost. n. 3/2001, trattandosi di ampliamento della sfera di autonomia regionale con l’attribuzione di una materia per la quale lo statuto regionale non attribuiva alla Regione alcun tipo di competenza legislativa.
In materia di urbanistica la Regione Friuli-Venezia Giulia gode invece del ben maggior raggio d’azione riconosciutole dall’attribuzione statutaria di una competenza legislativa primaria.
L’esame della legge regionale 6 dicembre 2004, n. 28 dimostra, quanto meno inizialmente, l’apparente consapevolezza da parte del legislatore regionale del fatto che la legge in questione sarebbe andata ad impingere non soltanto nella materia urbanistica, perche’ non viene fatto riferimento unicamente all’art. 4, primo comma n. 12 dello Statuto speciale adottato con l. Cost n. 1/1963 ma viene anche proclamata l’armonia con i principi di cui alla legge 22 febbraio 2001, n. 36 ed al decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259. Non vi sarebbe stata infatti alcuna necessita’ di armonizzarsi con tali principi se non fosse stato ad essi riconosciuto carattere di principi fondamentali in materia in cui l’apposizione degli stessi spettava allo Stato.
Di fatto appare peraltro innegabile che il sistema normativo scaturente dalla legislazione statale sopracitata e quello della legge regionale n. 28/2001 presentano differenze abbastanza marcate, restando da vedere se dette differenze possono ritenersi afferenti ai principi fondamentali fissati dalla legislazione statale, per lo meno per quanto attiene alla prima valutazione di non manifesta infondatezza di spettanza di questo giudice.
8) Ritiene il Collegio che il quadro dei principi fondamentali fissati dalla legislazione in materia di ordinamento delle comunicazioni sia stato delineato con una certa chiarezza dalle precedenti pronunce della Corte costituzionale (C. cost. n. 307/2003 e C. cost. n. 336/2005), con l’ulteriore precisazione che la normativa adottata con il codice delle comunicazioni elettroniche recepisce le direttive comunitarie in materia, nell’ottica di arrivare al superamento delle posizioni di monopolio del settore e di garantire, nell’intero territorio della comunita’ e – quindi, a maggior ragione – nell’ambito dei singoli paesi che ne fanno parte, un’effettiva situazione di concorrenza mediante l’attuazione di un processo di liberalizzazione del settore con l’armonizzazione delle procedure amministrative ed evitando ritardi nella realizzazione delle infrastrutture di comunicazione elettronica.
9) Si puo’ quindi agevolmente riconoscere come primo di questi principi fondamentali che emergono dalla normativa statale e che rispondono agli obblighi comunitariamente assunti, anzitutto l’interesse alla realizzazione delle reti di telecomunicazione. Al riguardo la stessa Corte costituzionale, con la sentenza n. 336/2005, ha affermato che «In particolare, i principi di derivazione comunitaria sono stati espressamente recepiti dall’art. 4 del decreto impugnato, il quale prevede che la disciplina delle reti (e dei servizi) e’ volta a salvaguardare i diritti costituzionalmente garantiti di “liberta’ di comunicazione”, nonche’ di “liberta’ di iniziativa economica e suo esercizio in regime di concorrenza, garantendo un accesso al mercato delle reti e servizi di comunicazione elettronica secondo criteri di obiettivita’, trasparenza, non discriminazione e proporzionalita’” (comma 1). Il terzo comma dello stesso art. 4 dispone, inoltre, tra l’altro, che la suddetta disciplina e’ volta anche a “promuovere la semplificazione dei procedimenti amministrativi e la partecipazione ad essi dei soggetti interessati, attraverso l’adozione di procedure tempestive, non discriminatorie e trasparenti nei confronti delle imprese che forniscono reti e servizi di comunicazione elettronica”, nonche’ a “promuovere lo sviluppo in regime di concorrenza delle reti e dei servizi di comunicazione elettronica, ivi compresi quelli a larga banda e la loro diffusione sul territorio nazionale, dando impulso alla coesione sociale ed economica anche a livello locale”».
Ulteriormente argomentando sempre la Corte costituzionale nella sentenza citata ha chiarito espressamente che «… la puntuale attuazione delle prescrizioni urbanistiche, secondo cui le procedure di rilascio del titolo abilitativo per la installazione degli impianti devono essere improntate al rispetto dei canoni della tempestivita’ e della non discriminazione, richiede di regola un intervento del legislatore statale che garantisca l’esistenza di un unitario procedimento sull’intero territorio nazionale, caratterizzato, inoltre, da regole che ne consentano una conclusione in tempi brevi» e, in forza di cio’, ha ravvisato nelle norme del capo V del titolo II del Codice delle telecomunicazioni – fra cui rientra quindi anche l’art. 87 e la normativa procedimentale ivi delineata – natura di norme di principio legittimamente poste dallo Stato alla legislazione concorrente delle Regioni.
E’ ben vero che la stessa Corte costituzionale ha riconosciuto che nel settore in questione si intersecano diverse materie rispetto alle quali i titoli di competenza legislativa dello Stato e delle Regioni non hanno tutti la stessa natura. Peraltro, anche se la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ha competenza esclusiva nel campo dell’urbanistica e quindi, a differenza di quanto avviene per le regioni a statuto ordinario in relazione alla materia di «governo del territorio», non e’ vincolata al rispetto dei principi fondamentali al riguardo posti dalla normativa statale, non va dimenticato che anche siffatta competenza primaria incontra il limite non solo delle grandi riforme economiche e sociali ma anche degli obblighi internazionali, nel quale genus indubbiamente vanno fatti rientrare anche i vincoli comunitari.
In ogni caso il Collegio osserva che non e’ possibile ricondurre tutta la disciplina inerente all’installazione degli impianti per i servizi di comunicazione elettronica unicamente nell’alveo della materia urbanistica sicche’ – trattandosi di una materia per cosi’ dire «mista» – anche le previsioni piu’ prettamente urbanistiche devono, a parere del Collegio, mostrare di tener conto dei principi fondamentali che riguardano l’ordinamento delle comunicazioni; del resto, come gia’ accennato, la Regione stessa ha mostrato di essere apparentemente consapevole della natura della competenza legislativa esercitata, avendo espressamente affermato di aver armonizzato la propria legislazione con i principi di cui alla legge 22 febbraio 2001, n. 36 ed al decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 ( art. 1, legge regionale n. 28/2004).
10) Passando adesso all’esame dei singoli articoli della legge regionale sui quali si appuntano le censure di incostituzionalita’ si evidenziano anzitutto gli artt. 3 e 4 della legge regionale n. 28/2004 – laddove viene previsto il piano comunale di settore, l’art. 5 – per la previsione della necessita’ della concessione o autorizzazione edilizia comunale per l’installazione dell’impianto, per la mancata previsione della conferenza di servizi, per la previsione dei pareri vincolanti dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente (ARPA) e dell’Azienda per i servizi sanitari territorialmente competente e per la mancata espressa previsione dell’unicita’ di procedimento e di titolo autorizzatorio e l’art. 8 – per la previsione delle localizzazioni incompatibili.
11) In effetti l’art. 3 cit. prevede l’adozione dei piani comunali di settore per la localizzazione degli impianti – da adottarsi previa definizione delle linee guida da parte del regolamento oggetto diretto della presente impugnativa – ed il successivo art. 4 definisce chiaramente il ruolo di tali piani che, a prescindere dalle dichiarazioni di intenti di cui ai punti a) e b) del secondo comma, costituiscono lo strumento che, come chiarito al punto c) del secondo comma, identifica la «localizzazione delle strutture per l’installazione di impianti fissi per telefonia mobile e ponti radio e le loro eventuali modifiche».
Questo vuol dire che, in luogo della regolamentazione comunale cui l’art. 8, comma 6, della legge regionale 22 febbraio 2001, n. 36, riconosceva il possibile ruolo di smaltimento «per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici», ovviamente mediante la fissazione di criteri generali per guidare le scelte di installazione, la legge regionale ha previsto il ricorso ad una pianificazione di tipo nettamente urbanistico esecutivo, con il conseguente vincolo della possibilita’ di installazione al rispetto delle scelte localizzative fatte a priori, indipendentemente da qualsiasi accertamento circa la proprieta’ e la disponibilita’ dei siti e senza la possibilita’ di tener conto di modifiche attinenti le necessita’ tecnologiche, salvo il ricorso ad una procedura di modifica del piano o l’attesa del previsto aggiornamento annuale, con buona pace del principio comunitario di tempestivita’.
Ritiene il Collegio che dalla procedura sopradelineata si evinca quindi un atteggiamento di sostanziale preclusione all’installazione delle infrastrutture per la telefonia mobile che sono ammesse solo nelle localizzazioni a tale scopo espressamente previste dal piano, che si spinge fino a contemplare i singoli impianti poiche’, dicendo che il piano «definisce …la localizzazione delle strutture per l’installazione di impianti fissi per telefonia mobile…» si intende, evidentemente, fare riferimento alla ubicazione dei singoli impianti; l’intendimento del legislatore regionale viene ribadito anche dalla previsione regolamentare che richiede possano essere realizzati solo gli impianti riconosciuti compatibili dal piano il che, come sopra si e’ visto sub 4), risponde proprio alla scelta del legislatore regionale di includere nel piano le localizzazioni delle strutture. Sembra invece al Collegio che il principio fondamentale al riguardo fissato in materia di ordinamento delle comunicazioni dal legislatore statale e da quello comunitario sia di segno opposto, nel senso di ritenere che tutto il territorio nazionale – e quindi anche regionale – debba essere coperto dalla rete di telefonia mobile e, conseguentemente, che anche dal punto di vista urbanistico territoriale, la regola debba essere quella della generale ammissibilita’ salvo l’eccezione alla base dell’esclusione. In tale ottica si spiega e si giustifica la previsione di una regolamentazione a livello comunale che permetta di enucleare le situazioni di esclusione ma non l’opposta scelta di una pianificazione puntuale che quindi delinei sul territorio le sole localizzazioni previste.
La scelta regionale pare in contrasto con il principio fondamentale, fissato in relazione all’ordinamento delle comunicazioni elettroniche dalla normativa statale attuativa delle direttive comunitarie, di massimo interesse al completamento delle reti di cui trattasi, con conseguente necessita’ che la procedura relativa alla realizzazione delle relative infrastrutture sia improntata a criteri di efficienza e tempestivita’, che sono espressioni anche del principio costituzionale di diritto di liberta’ di iniziativa economica e della tutela della concorrenza, rispetto alla quale vi e’ la riserva di competenza legislativa statale. Per quanto attinente alla materia urbanistica tali discrepanze si configurano anche come violazioni degli obblighi internazionali dello Stato al cui rispetto lo Statuto subordina la suddetta competenza legislativa.
Per tutte le considerazioni che precedono il Collegio ritiene non manifestamente infondata l’eccezione di illegittimita’ costituzionale degli artt. 3, lett. a) e 4 della legge ragionale n. 28/2004 per contrasto con il comma secondo lett. e) ed il terzo comma dell’ art. 117 e con l’art. 41 Cost. e l’art. 4, primo comma, dello statuto speciale della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia adottato con l. cost. 31 gennaio 1963, n. l.
12) La legittimita’ costituzionale dell’art. 5 della legge regionale n. 28/2004 viene contestata con riguardo a varie previsioni che attengono alla necessita’ della concessione o autorizzazione edilizia comunale per l’installazione dell’impianto, alla mancata previsione della conferenza di servizi, alla introduzione dei pareri vincolanti dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente (ARPA) e dell’Azienda per i servizi sanitari territorialmente competente ed alla mancata espressa previsione dell’unicita’ di procedimento e di titolo autorizzatorio.
Osserva anzitutto il Collegio che dall’art. 87 del d.lgs. n. 259/2003 sembra effettivamente ricavarsi l’esistenza di un principio fondamentale che, nell’ottica della tempestivita’ ed efficienza procedimentale sopra ricordata, impone il ricorso ad un unico procedimento autorizzativo prodromico alla realizzazione degli impianti radioelettrici di cui si discute, il che peraltro non esclude di per se’ che tale procedimento – di sicura competenza comunale – venga ascritto nell’alveo dei procedimenti edilizi e quindi si concluda con il rilascio di un titolo abilitativo edilizio, purche’ questo sia effettivamente l’atto conclusivo del procedimento.
Peraltro la paventata duplicazione procedimentale contraria ai principi sopracitati non scaturisce dall’art. 5 e da nessun altro articolo della legge regionale per quanto attiene all’ottenimento del titolo autorizzativo alla realizzazione dell’intervento; di fatto sembra comunque al Collegio che una duplicazione procedimentale vi sia, ma non derivi dall’imposizione della necessita’ di munirsi di titolo abilitativo edilizio quanto dalla gia’ esplorata imposizione che tale titolo e quindi il presupposto iter procedimentale faccia seguito ad una pianificazione di tipo sostanzialmente esecutivo come quella precedentemente descritta sub 11; essa peraltro non deriva dall’articolo in esame ma dall’art. 4, rispetto al quale il Collegio ha gia’ formalizzato i propri dubbi di costituzionalita’.
In questo modo peraltro e’ innegabile che l’iter procedimentale complessivamente necessario per l’installazione delle stazioni radio mobile risulta considerevolmente aggravato rispetto alla previsione di principio di un procedimento snello e funzionale emergente dai principi ex legge statale in attuazione delle direttive comunitarie.
Si e’ infatti creato un doppio filtro: dapprima uno di carattere pianificatorio che, come si e’ gia’ visto, la legge statale non prevede e poi un ulteriore filtro di tipo concessorio. Quest’ultimo iter procedimentale risulta poi a sua volta particolarmente aggravato, da un lato, perche’ e’ stata introdotta la espressa richiesta dell’acquisizione dei pareri vincolanti sia dell’ ARPA che dell’Azienda per i servizi sanitari, mentre l’art. 87 del d.lgs. n. 259/2003 si limitava a richiedere un unico accertamento di compatibilita’ tecnica – previsto dall’art. 87 del d.lgs. n. 259/2003 con il parere dell’ARPA – e, dall’altro, perche’ la mancata previsione della possibilita’ di far ricorso all’istituto della conferenza dei servizi priva la procedura di un’importante strumento finalizzato a ricondurre i possibili momenti di dissenso ad un particolare tipo di contraddittorio, utile sia nell’ottica di una decisione che contemperi tutti gli interessi in gioco e sia la sintesi di tutte istanze partecipative coinvolte, sia nell’ottica di arrivare a questo importante risultato di composizione di interessi, a volte contrapposti, nel minor tempo possibile e senza la possibilita’ di impasse procedimentali. Anche tale istituto, come chiarito nella sentenza della Corte costituzionale n. 336/2005, e’ da ritenersi espressione di un principio fondamentale di semplificazione e di celerita’ che e’ di diretta derivazione comunitaria e, come tale, sembra al Collegio rientrare nell’ambito dei principi fondamentali che la competenza legislativa concorrente espletata dalla Regione nell’ambito della competenza attinente all’ordinamento delle comunicazioni doveva rispettare; esso costituisce comunque principio cardine cui dovrebbe ritenersi improntata anche la legislazione urbanistica in virtu’ del rispetto degli obblighi internazionali, anche per le indubbie ricadute in termini di ostacolo al principio di liberta’ di iniziativa economica ed alla tutela della concorrenza. A tutto quanto sopra, con indubbie ricadute in termini di durata e snellezza del procedimento, si aggiunge anche l’aumento dell’onerosita’ dello stesso, derivante dall’imposizione al gestore, ex art. 5, comma 4, di farsi carico anche degli oneri finanziari dei due pareri che gli si impone di ottenere.
Per quanto sopra il Collegio ritiene non manifestamente infondata l’eccezione di illegittimita’ costituzionale dell’art. 5, commi 2, 3, 4, 5, 6 e 7 della legge regionale n. 28/2004 nei termini sopraprecisati per violazione dei commi 2, lett. e) e 3 dell’art. 117 Cost., dell’art. 41 Cost. e dell’art. 4, primo comma, dello statuto speciale della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia adottato con l. Cost. 31 gennaio 1963, n. 1.
13) Per quanto infine riguarda l’eccepita incostituzionalita’ dell’art. 8 della legge regionale 28 per quanto attiene alla suddivisione del territorio comunale in aree a localizzazione incompatibile e per la previsione di inedificabilita’ assoluta per gli edifici ed aree cosiddette sensibili indicati al comma l il Collegio osserva che gia’ con la precedente sentenza della Corte costituzionale n. 307/2003 il problema era stato affrontato e risolto nel senso dell’affermata competenza regionale a normare l’uso del territorio, indicando criteri di localizzazione anche in negativo, senza che cio’ contrasti con l’obbligo del rispetto dei valori soglia fissati dallo Stato.
Il Collegio ritiene pertanto che l’eccezione di incostituzionalita’ dell’art. 8 nei termini sopraprecisati sia manifestamente infondata.
Pertanto, a norma dell’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, il Tribunale amministrativo regionale dispone la sospensione del presente giudizio e la remissione della questione all’esame della Corte costituzionale.
P. Q. M.
A norma dell’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, solleva questione di legittimita’ costituzionale degli artt. 3, lett. a), dell’art. 4 e dell’art. 5, commi 2, 3, 4, 5, 6 e 7 della legge regionale n. 28/2004 per violazione del secondo comma, lett. e) e del terzo comma dell’art. 117 Cost., dell’art. 41 Cost. e dell’art. 4, primo comma, dello statuto speciale della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia adottato con legge Cost. 31 gennaio 1963, n. 1.
Sospende il giudizio in corso e dispone che a cura della segreteria gli atti dello stesso siano trasmessi alla Corte costituzionale per la risoluzione della prospettata questione e che la presente ordinanza sia notificata alle parti ed al presidente della Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia ed al presidente del Consiglio regionale.
Cosi’ deciso in Trieste, in Camera di consiglio, il 2 novembre 2005.
L’estensore: Settesoldi