4 DICEMBRE 2019
SENTENZA DEL TAR DEL LAZIO (SEZIONE III)
sul ricorso numero di registro generale 6605 del 2018, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
XXX S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati (…, …), con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio (…) in Roma, viale Giuseppe Mazzini 73;
contro
Ministero dello Sviluppo Economico, in persona del Ministro p.t., Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro p.t., Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente del Consiglio p.t., rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici sono domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Presidenza della Repubblica, non costituita in giudizio;
nei confronti
AAA S.r.l. non costituito in giudizio;
BBB S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati (…, …), con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. (…) in Roma, via Ombrone n. 12/B;
e con l’intervento di
ad opponendum:
CCC, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati (…, …, …), con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. (…) in Roma, via Ombrone n.12/B;
DDD, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati (…, …, …) con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. (…) in Roma, via Antonio Gramsci n. 24;
per l’annullamento
A) Per quanto riguarda il ricorso introduttivo:
– previa declaratoria di incostituzionalità dell’art. 1, comma 163 della Legge n. 208/15 e del DPR 146/17;
– del Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico datato il 20.10.2017 ed epigrafato “Modalità di presentazione delle domande per i contributi alle emittenti radiofoniche e televisive locali” compresa la modulistica allegata: DM pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 263 del 10.11.2017;
– del presupposto D.P.R. n. 146 del 23.08.2017 epigrafato: “Regolamento concernente i criteri di riparto tra i soggetti beneficiari e le procedure di erogazione delle risorse del Fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione in favore delle emittenti televisive e radiofoniche locali”, relative tabelle allegate nn. 1 e 2, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 239 in data 12 ottobre 2017; ed ogni altro atto connesso, presupposto e/o conseguente anche non conosciuto.
B) Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati da XXX SRL il 12\12\2018:
– del Decreto Direttoriale registro Ufficiale Int. 0058806.01.10.2018 con il quale il Ministero dello Sviluppo Economico ha approvato la graduatoria definitiva delle domande ammesse al contributo per l’anno 2016 delle emittenti televisive a carattere commerciale e l’elenco degli importi dei contributi spettanti ai relativi soggetti beneficiari, ai sensi dei commi 3 e 4 del decreto del Presidente della Repubblica 23.10.2017 n. 146 come riportati negli allegati A e B anch’essi impugnati;
– gli allegati A (graduatoria definitiva) e B (Importi spettanti) al Decreto Direttoriale registro Ufficiale Int. 0058806 del 1.10.2018 di ogni ulteriore atto connesso, presupposto e/o conseguente anche non conosciuto tra i quali anche il Decreto Direttoriale prot. 45870.12.07.18 unitamente agli elenchi ad esso allegati; il Decreto Direttoriale prot. 46044.13.07.2018; la relazione istruttoria protocollo 58527 del 28.09.18 non conosciuta; la relazione istruttoria 45823 del 12.07.18 non conosciuta; nota 53504.04.09.2018;
Per quanto riguarda i secondi motivi aggiunti presentati da XXX SRL il 22.5.2019:
– del Decreto Direttoriale MISE AOO_COM.REGISTROUFFICIALE. Int. 0014060.25.02.2019 mediante il quale il D. G. del Ministero dello Sviluppo Economico – Direzione Generale per i servizi di comunicazione elettronica e radiodiffusione e postali – Divisione V – Emittenza radiotelevisiva- Contributi ad integrazione del decreto direttoriale del 1° ottobre 2018, che ha approvato la graduatoria definitiva delle domande ammesse al contributo per l’anno 2016 delle emittenti televisive a carattere commerciale e l’elenco degli importi dei contributi spettanti ai relativi soggetti beneficiari, ai sensi dei commi 3 e 4 dell’articolo 5 del D.P.R. n.146/2017, ha autorizzato a procedere alla liquidazione di un secondo acconto nella misura del 40 % a valere sugli impegni di spesa assunti sul capitolo 3125, con il decreto n. 6994 del 22 dicembre 2016, fino all’occorrenza della somma di 38.824.511,18 euro, e con il decreto n. 7891 del 5 marzo 2018 fino all’occorrenza della somma di 39.882.159,33 euro, con eventuale compensazione delle somme di cui i beneficiari risultino debitori nei confronti del Ministero, ai sensi del comma 7 dell’articolo 5 del D.P.R. n. 146/2017 di ogni altro atto presupposto, consequenziale e/o connessi anche se non conosciuto;
– del Decreto Direttoriale registro Ufficiale Int. 0024080.09.04.2019 con il quale il Ministero dello Sviluppo Economico ha approvato la graduatoria definitiva delle domande ammesse al contributo per l’anno 2017 delle emittenti televisive a carattere commerciale, la graduatoria definitiva e l’elenco degli importi dei contributi spettanti ai relativi soggetti beneficiari, ai sensi dei commi 3 e 4 del decreto del Presidente della Repubblica 23.10.2017 n. 146 come riportati negli allegati A e B anch’essi impugnati;
– gli allegati A (graduatoria definitiva) e B (Importi spettanti (Fascia A – Fascia B) al Decreto Direttoriale registro Ufficiale Int. 0024080.09.04.2019 di ogni ulteriore atto connesso, presupposto e/o conseguente anche non conosciuto tra i quali anche il Decreto Direttoriale registro Ufficiale Int. 0079371.20.12.2018 unitamente agli elenchi ad esso allegati e la relazione istruttoria prot. n. 22575 del 3.04.2019;
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dello Sviluppo Economico e di Ministero dell’Economia e delle Finanze e di Presidenza del Consiglio dei Ministri e di BBB S.p.A.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 4 dicembre 2019 il dott. Claudio Vallorani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1. – La società in epigrafe è un’emittente televisiva operante nella regione Piemonte, la quale svolge attività di fornitore di servizi media audiovisivi, editoriali, informativi, anche tramite la testata televisiva XXX.
Con atto di costituzione – a seguito di istanza di trasposizione del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica in sede giurisdizionale (ex art. 10 del D.P.R. n. 1199/1971 e art. 48 D.Lgs. n. 104/2010) – depositato in data 31.5.2018 l’emittente ha adito questo TAR per ottenere l’annullamento “in parte qua”:
– previa declaratoria di incostituzionalità dell’art. 1, comma 163 della Legge n. 208/158 e del d.P.R. n. 146/17;
– del Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico datato 20.10.2017 ed epigrafato “Modalità di presentazione delle domande per i contributi alle emittenti radiofoniche e televisive locali” compresa la modulistica allegata (D.M. pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 263 del 10.11.2017);
– del presupposto d.P.R. n. 146 del 23.08.2017 recante il “Regolamento concernente i criteri di riparto tra i soggetti beneficiari e le procedure di erogazione delle risorse del Fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione in favore delle emittenti televisive e radiofoniche locali”, relative tabelle allegate nn. 1 e 2, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 239 in data 12 ottobre 2017; ed ogni altro atto connesso, presupposto e/o conseguente anche non conosciuto.
In particolare, secondo quanto esposto dalla ricorrente, il regolamento di cui al d.P.R. 23.8.2017 n. 146, emanato sulla base dell’art. 1, comma 163, della legge n. L. 28/12/2015, n. 208 (legge di stabilità per il 2016), ha profondamento innovato, con disciplina di livello secondario, l’assetto della ripartizione delle risorse del “Fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione in favore delle emittenti televisive e radiofoniche locali”, modificando i criteri di distribuzione delle risorse stanziate a tal fine dallo Stato e le procedure dirette alla formazione delle graduatorie relative alla diverse categorie di emittenti televisive e radiofoniche individuate dall’art. 3 dello stesso d.P.R. n. 146.
In precedenza la materia era disciplinata dalla Legge n. 448/98 e da alcuni decreti attuativi, principalmente il DM 292/2004 e il DM 6/8/2015.
Le finalità espresse dall’art. 1, comma 163, Legge n. 208 del 2015 hanno ad oggetto: il pluralismo dell’informazione, il sostegno dell’occupazione del settore, il miglioramento dei livelli qualitativi dei contenuti forniti e l’incentivazione dell’uso di tecnologie innovative.
La disposizione primaria citata si limita a fissare le finalità del Fondo per il pluralismo nell’informazione radiotelevisiva e lascia ampi margini di manovra alla fonte regolamentare, da adottare ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze. Al regolamento, come detto, è rimessa dal legislatore la determinazione dei criteri di ripartizione del fondo tra gli aventi diritto ammessi alla procedura per l’erogazione delle risorse.
Il regolamento approvato con il d.P.R. n. 146 del 2017 prevede, in particolare, all’art. 2 che: “1. Il Ministero dello sviluppo economico […], provvede al riparto delle risorse dell’esercizio finanziario 2016 presenti sull’apposito capitolo di bilancio del Ministero e, annualmente, al riparto delle risorse del fondo di cui all’articolo 1, assegnate al Ministero, in sede di riparto del Fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione, ai sensi dell’articolo 1, comma 4, della legge 26 ottobre 2016, n. 198, secondo i seguenti criteri:
a) 85 per cento riservato ai contributi spettanti alle emittenti televisive operanti in ambito locale, di cui il 5 per cento deve essere riservato ai contributi destinati alle emittenti televisive aventi carattere comunitario secondo quanto indicato nell’articolo 7”.
b) 15 per cento riservato ai contributi spettanti alle emittenti radiofoniche operanti in ambito locale, di cui il 25 per cento deve essere riservato ai contributi destinati alle emittenti radiofoniche aventi carattere comunitario secondo quanto indicato nell’articolo 7. […]”.
Il successivo art. 6 del regolamento (in combinato disposto con la Tabella 1 allegata al medesimo regolamento) stabilisce i seguenti criteri in base ai quali si assegnano alle emittenti televisive concorrenti i punteggi, su cui poi calcolare l’ammontare del contributo a ciascuna spettante:
a) numero medio di dipendenti, effettivamente applicati all’attività di fornitore di servizi media audiovisivi o di emittente radiofonica per la regione e il marchio/ palinsesto oggetto della domanda, occupati nel biennio precedente con contratti a tempo indeterminato e a tempo determinato risultanti dalla presentazione del riepilogo delle posizioni iscritte presso l’INPS. Sono inclusi nel calcolo i lavoratori part-time e quelli con contratto di apprendistato. Per i dipendenti in cassa integrazione, con contratti di solidarietà e per quelli a tempo parziale e, nel caso in cui il medesimo soggetto presenti una pluralità di domande per più marchi/palinsesti, o presenti domande in più regioni, per i dipendenti impiegati per marchi/palinsesti diversi dal primo o diffusi in più di una regione, si tiene conto delle percentuali di impegno contrattuale in termini di ore effettivamente lavorate. In via transitoria, per le domande relative agli anni 2016 e 2017, il punteggio è quantificato sul numero medio dei dipendenti effettivamente dedicati ai servizi media audiovisivi o all’emittenza radiofonica per la regione e per il marchio/ palinsesto oggetto della domanda nell’anno di competenza del contributo e nell’anno precedente;
b) numero medio di giornalisti dipendenti (professionisti, pubblicisti e praticanti) effettivamente applicati all’attività di fornitore di servizi media audiovisivi o di emittente radiofonica per la regione e il marchio/palinsesto oggetto della domanda, occupati nel biennio precedente iscritti al relativo albo o registro, come risultanti dalla presentazione del riepilogo delle posizioni iscritte presso l’INPGI e per i pubblicisti che hanno optato per il mantenimento dell’iscrizione previdenziale presso l’INPS. Sono inclusi nel calcolo i lavoratori part-time e quelli con contratto di apprendistato. Per i giornalisti in cassa integrazione, con contratti di solidarietà e per quelli a tempo parziale e, nel caso in cui il medesimo soggetto presenti una pluralità di domande per più marchi/palinsesti diversi dal primo o diffusi in più di una regione, si tiene conto delle percentuali di impegno contrattuale in termini di ore effettivamente lavorate. In via transitoria, per le domande relative agli anni 2016 e 2017, il punteggio è quantificato sul numero medio dei giornalisti dipendenti effettivamente dedicati ai servizi media audiovisivi o all’emittenza radiofonica per la regione e per il marchio/palinsesto oggetto della domanda nell’anno di competenza del contributo e nell’anno precedente;
c) con riferimento alle sole emittenti televisive, media ponderata dell’indice di ascolto medio giornaliero basato sui dati del biennio precedente e del numero dei contatti netti giornalieri mediati sui dati del biennio precedente, calcolata secondo quanto indicato nell’allegata tabella 1, per marchio/palinsesto nella relativa regione, indicati nella domanda, rilevati dall’Auditel, nel biennio solare precedente alla presentazione della domanda. Per le domande relative all’anno 2016, si tiene conto della media dei dati del biennio 2015-2016, mentre per le domande relative all’anno 2017, si tiene conto della media dei dati del biennio 2016-2017.
In base alla Tabella 1, per gli anni 2016 e 2017, l’ammontare annuo dello stanziamento destinato alle emittenti televisive è ripartito secondo le seguenti aliquote: 80 % in base al criterio del numero medio di dipendenti e di giornalisti dipendenti come definiti dalle precedenti lettere a) e b); 17% in base al criterio AUDITEL di cui alla precedente lettera c); 3% in base ai costi sostenuti per spese in tecnologie innovative di cui all’articolo 6, comma 1, lettera e) del d.P.R. 146.
2. La tesi di fondo esposta in ricorso dalla società ricorrente – destinata ad ottenere rispetto al passato, sulla base dei nuovi criteri, un contributo molto più limitato, se non addirittura nessun contributo – è la seguente: la disciplina per l’accesso ai contributi pubblici statali ha subìto una profondissima trasformazione per effetto dell’entrata in vigore del nuovo regolamento approvato con il d.P.R. 146/2017 (atto impugnato), che, come detto, ha sostituito la precedente, dettata dalla Legge n. 448/98 e dai regolamenti e decreti attuativi (v D.M. 292/2004 e D.M. 6/8/2015).
Più che di innovazione si sarebbe trattato di un vero e proprio “stravolgimento” dell’impianto normativo, la cui applicazione avrebbe frustrato tutte le finalità ad esso sottese, perseguendo, in concreto, obiettivi esattamente opposti a quelli per i quali la stessa riforma è stata concepita (ai sensi d.P.R. 146/2017, art. 6, co. 1, in conformità al sopracitato art. 1, comma 163, Legge n. 208 del 2015 i fini a cui la distribuzione dei contribuiti era finalizzata sono: il pluralismo dell’informazione, il sostegno dell’occupazione del settore, il miglioramento dei livelli qualitativi dei contenuti forniti e l’incentivazione dell’uso di tecnologie innovative).
La disciplina previgente, infatti, era impostata sul riparto regionale dei contributi, coerentemente con le dimensioni locali – sul piano giuridico, tecnologico ed economico – delle emittenti televisive interessate. Tale confronto avveniva con riferimento a due soli parametri oggettivi, entrambi rapportati su scala regionale: il fatturato e il numero di dipendenti.
La procedura prevedeva, in effetti, l’elaborazione di una graduatoria nazionale costruita sulla base delle graduatorie regionali, con l’indicazione dell’importo spettante a ciascuna regione sulla base dei dati sviluppati dalle singole emittenti per regione; la relativa istruttoria era demandata ed era svolta dai Corecom regionali, i quali procedevano, successivamente, al riparto degli importi regionali, definiti per ciascuna emittente.
Il regolamento impugnato (d.P.R. 146/2017), oltre ai criteri di ripartizione sopra descritti, ha previsto una graduatoria unica nazionale (art. 5, co.3; art. 6, co. 2) redatta in applicazione di criteri facenti leva su dati assoluti (sia per quanto concerne il numero dei dipendenti che per i dati di ascolto), senza la previsione di alcun meccanismo “correttivo” volto a rapportarli proporzionalmente alla popolazione e alle dimensioni geografiche ed economiche delle diverse regioni italiane. Vi sarebbe, pertanto, una grave asimmetria concorrenziale nel meccanismo di calcolo che pretende di confrontare in termini assoluti emittenti operanti in regioni diverse sotto svariati punti di vista a partire da quello demografico (come, ad es. l’Abruzzo e la Lombardia) senza invece prevedere un algoritmo di riequilibrio inversamente proporzionale.
Dai nuovi criteri di punteggio, in base all’art. 6 cit. del regolamento impugnato, è stato espunto il fatturato.
Sulla base di tale premesse la società ricorrente articola i seguenti motivi di impugnazione:
1) “Incostituzionalità dell’art. 1 comma 163 legge n. 208/2015 in relazione all’art. 15, comma 2, della legge n. 243/12 ed all’art. 76 Cost. per eccesso di delega”: la legge n. 243/12 in vigore dal 30.01.2013 (definita “costituzionale” da parte ricorrente pur non essendolo) vieta che nella legge di bilancio, comunque denominata, siano previste norme di delega di carattere ordinamentale o organizzatorio, o interventi di natura localistica o microsettoriali (art. 15, 2 comma); la “ratio” della disposizione è quella di evitare che tramite la delega si aggirino le determinazioni del disegno collettivo di bilancio; inoltre sarebbe stato violato il dettato degli artt. 76 e 77 Cost., che definiscono i confini tra il potere legislativo e quello esecutivo: al di là dell’ipotesi di decreto legge ex art. 77, 2 comma Cost., la funzione legislativa non può essere esercitata dal Governo se non nei ristretti limiti tracciati dagli artt. 77, 1 e 76 Cost. vale a dire: necessità di legge delegante; fissazione necessaria da parte della norma delegante di “principi e criteri direttivi”, di oggetti definiti e limitazione temporale della delega; il comma 163 della legge n. 208 del 2015 delega al DPR la determinazione dei criteri direttivi e non invece li determina come previsto dall’art. 76 Cost..; parte ricorrente sottolinea che è il testo dell’art. 17, comma 2, Legge n. 400/88 a prevedere che “…le leggi della Repubblica autorizzando l’esercizio della potestà regolamentare del Governo determinano le norme generali regolatrici delle materie e dispongono l’abrogazione delle norme vigenti…”; dunque il comma 163 cit. sarebbe costituzionalmente illegittimo, perché non determina alcuna norma generale della materia.
2) “Incostituzionalità del DPR 146/17 per violazione degli artt. 5 e 21 Cost. e subordinatamente sussumibile in vizio di contraddittorietà e di ragionevolezza. Illegittimità per violazione dell’art. 101, 102 e 106 TFUE e dell’art. 107 e 117 TFUE e della lg 78/99; violazione dell’art. 1 comma 163 della legge n. 208/18, abuso di potere per difetto di istruttoria, contraddittorietà con i principi della delega, violazione dell’art. 11 preleggi cod. civ”.
a) Sulla graduatoria nazionale.
Secondo la società ricorrente, la formazione di una graduatoria nazionale (v. l’art. 5, comma 3 prevede, più esattamente, n. 4 graduatorie nazionali distinte per le categorie seguenti: emittenti televisive a carattere commerciale; emittenti radiofoniche a carattere commerciale; emittenti televisive a carattere comunitario; le emittenti radiofoniche a carattere comunitario) si pone in palese contraddizione con gli artt. 5 e 21 Cost. e con l’art. 1 comma 163 della legge n. 208/18 che definisce come “obiettivo di pubblico interesse” il pluralismo, specificando il favore per le emittenti “locali”; il rapporto tra personale occupato e popolazione regionale, peraltro utenza meramente supposta, è articolato in fasce avulse da ogni logica graduazione, con scalini troppo ampi nel rapporto dipendenti/abitanti e senza considerare il PIL. Questo comporta l’evidente esclusione dal beneficio di tutte le regioni di cui al n. 3 dell’art. 4, comma 1, d.P.R. n. 146 del 2017 (vale a dire quelle più piccole); tutto ciò “si pone in evidente conflitto” rispetto alla tutela e sviluppo delle autonomie locali e della pluralità dell’informazione e del rispetto delle culture locali;
b) Sull’Auditel.
La società ricorrente contesta l’art. 6, comma 1, lett. c) del regolamento impugnato a mente del quale, con riguardo alle sole emittenti televisive, deve tenersi conto ai fini del punteggio anche della “media ponderata dell’indice di ascolto medio giornaliero basato sui dati del biennio precedente e del numero dei contatti netti giornalieri mediati sui dati del biennio precedente, calcolata secondo quanto indicato nell’allegata tabella 1, per marchio/palinsesto nella relativa regione, indicati nella domanda, rilevati dall’Auditel, nel biennio solare precedente alla presentazione della domanda. Per le domande relative all’anno 2016, si tiene conto della media dei dati del biennio 2015-2016, mentre per le domande relative all’anno 2017, si tiene conto della media dei dati del biennio 2016-2017”; secondo la difesa della XXX, sarebbe stata assunta la retroattività a parametro, lautamente valutato nel punteggio, per gli anni dal 2015/2017, il che sarebbe in contrasto con l’art. 11 delle preleggi; senza considerare, poi, l’illegittimità dell’obbligo imposto alle emittenti di contrarre con l’Auditel; il sistema Auditel, in ogni caso, è costituito da una società privata ad evidente scopo consortile, che rende un servizio statistico ai suoi soci, al solo fine di ottenere parametri sui quali stabilire il prezzo, che gli inserzionisti debbano pagare per ottenere spazi pubblicitari; da ciò deriva anche un ulteriore profilo di ragionevolezza per l’estensione del sistema alle emittenti locali in relazione ai pur generici principi contenuti, nel più volte richiamato comma 163 e nell’ancor più generico ambito dell’art. 17, comma 2, legge 400/88; in definitiva, secondo la ricorrente, “non è solo una questione di obbligo a contrarre, ma di inefficacia del sistema Auditel che si risolve in un incremento di costo senza neppure la protezione per l’emittente dell’obbligo a contrarre ex art. 2597 cc e di un prezziario pubblico di riferimento”.
c) Sulla violazione delle regole di concorrenza.
Gli atti impugnati sarebbero inoltre violativi delle regole di concorrenza, sotto più profili; in primo luogo si eccepisce che all’Auditel venga riconosciuto un vero e proprio monopolio, con palese la violazione dell’art. 117 TFEU poiché in Europa vi sono altri soggetti che svolgono le stesse funzioni (di rilevazione dei dati di ascolto); inoltre l’Auditel, ad avviso della ricorrente, nella sua compagine societaria non contiene sufficiente e proporzionale rappresentanza delle realtà locali ingenerando conflitti di interesse; il monopolio infine produrrà servizi a minor costo per i soci maggioritari; aggiunge la ricorrente che molte regioni hanno previsto l’erogazione di contributi in favore delle emittenti locali regionali. Tuttavia non tutte le regioni italiane hanno provveduto in tal senso; una volta “varata una graduatoria nazionale l’effetto distorsivo della concorrenza sarà inevitabile e grave”;
d) infine il DM MiSE impugnato (pubblicato in G.U. n. 239 del 10.11.2017) sarebbe viziato “irreparabilmente” dallo stigma di incostituzionalità e/o di illegittimità degli atti logicamente e giuridicamente antecedenti e presupposti.
3. – Prima dell’udienza camerale fissata per la trattazione della domanda cautelare, proposta dalla ricorrente unitamente al ricorso, si sono costituiti congiuntamente la Presidenza del Consiglio ed il Ministero dello Sviluppo Economico; quest’ultimo ha depositato memoria nella quale contesta le censure in quanto, a suo avviso, infondate nel merito.
Si è altresì costituita per resistere al ricorso la società BBB S.p.a..
Sono intervenute “ad opponendum” la CCC e la DDD
4. – In esito alla camera di consiglio del 9.1.2018 la Sezione, con ordinanza n. 127/2019, ha respinto la domanda cautelare proposta con la seguente motivazione: “[…] le censure afferenti alla questione di costituzionalità dell’art. 1, comma 163, della Legge 208/2005, non essendo di immediata evidenza, richiedono un maggiore approfondimento, possibile solo nella fase di merito;
Considerato, altresì, che necessita di opportuno approfondimento in sede di merito anche l’eccezione ministeriale di avvenuta “legificazione” del regolamento impugnato di cui al d.P.R. 23 agosto 2017, n. 146 (per effetto dell’art. 4-bis del D.L. 25.7.2018, n. 91, introdotto dalla legge 108/2018 di conversione del predetto D.L.);
Considerato, nel bilanciamento degli opposti interessi, che, per scelta dell’Amministrazione, XXX S.r.l. ha già percepito il contributo spettante nella misura del 50%, come avvenuto per tutti i beneficiari in ragione della pendenza del presente ricorso (e di altri ricorsi) avverso il DPR 146/2017;
Considerata, in ogni caso, la natura economica e non irreversibile del pregiudizio lamentato e ritenuto che, pertanto, le esigenze cautelari della società ricorrente possano trovare adeguata tutela mediante la sollecita fissazione della pubblica udienza di merito, ai sensi dell’art. 55, comma 10, c.p.a.;[…]”.
5. – Con decreto direttoriale della Direzione Generale per i servizi di comunicazione elettronica di radiodiffusione e postali, Divisione V – Emittenza radiotelevisiva prot. int. 0058806.01-10-2018, il Ministero dello Sviluppo Economico ha provveduto all’approvazione della graduatoria definitiva delle domande ammesse al contributo per l’anno 2016 delle emittenti televisive a carattere commerciale, all’interno della quale la ricorrente si è collocata nella posizione n. 110, conseguendo un punteggio complessivo ritenuto al di sotto delle proprie legittime aspettative.
Con atto per motivi aggiunti depositato in data 12.12.2018 la suddetta graduatoria, pertanto, è stata impugnata dalla XXX “in parte qua”, in quanto la stessa e gli ulteriori atti impugnati con i motivi aggiunti (come in epigrafe specificati) sarebbero viziati in ragione della illegittimità e incostituzionalità loro derivata dagli atti presupposti oggetto di doglianza nel ricorso principale.
6. – Con ordinanza n. 3959 del 2019, per il ricorso introduttivo e, successivamente, con ordinanza n. 8498, per i motivi aggiunti, il Collegio ha disposto l’integrazione del contraddittorio nei confronti di tutte le imprese in graduatoria, autorizzando la società ricorrente alla notifica per pubblici proclami, “mediante indicazione a sua cura, in forma sintetica, del “petitum giudiziale”, delle censure contenute nel ricorso e nei motivi aggiunti e degli atti impugnati…”. E’ stata prodotta dalla ricorrente la documentazione attestante l’assolvimento dell’incombente.
7. – Con un secondo atto per motivi aggiunti (dep. il 22.5.2019) la società ricorrente ha impugnato:
– il Decreto Direttoriale MISE AOO_COM.REGISTROUFFICIALE. Int. 0014060.25.02.2019 mediante il quale il MISE ha approvato l’erogazione di un secondo acconto nella misura del 40% dell’importo previsto dal decreto direttoriale del primo ottobre 2018, che ha approvato la graduatoria definitiva delle domande ammesse al contributo per l’anno 2016 delle emittenti televisive a carattere commerciale, ai sensi del Regolamento nonché ogni altro atto presupposto;
– il Decreto Direttoriale registro Ufficiale Int.0024080.09.04.2019 con il quale il MISE ha approvato la graduatoria definitiva delle domande ammesse al contributo per l’anno 2017 (di seguito, anche solo “Decreto contributi 2017”);
– gli allegati A (graduatoria definitiva) e B (Importi spettanti di Fascia A e Fascia B) al Decreto contributi 2017, nonché ogni ulteriore atto connesso, presupposto e/o conseguente, anche non conosciuto, tra i quali anche il Decreto Direttoriale registro Ufficiale Int. 0079371.20.12.2018 unitamente agli elenchi ad esso allegati e la relazione istruttoria prot. n. 22575 del 3 aprile 2019.
Con i secondi motivi aggiunti parte ricorrente reitera sostanzialmente le medesime censure già articolate nel ricorso introduttivo le quali determinano, ad avviso della ricorrente, anche l’invalidità in via derivata degli atti da ultimo impugnati in quanto anch’essi applicativi dell’art. 1 comma 163 legge n. 208/15, da ritenere incostituzionale, nei termini già sopra esposti, in relazione all’art. 15, comma 2, Legge cost. n. 243/12 e all’art. 76 Cost. per eccesso di delega e del d.P.R. n. 146 del 2017 (regolamento), illegittimo per le ragioni già esposte nel ricorso introduttivo.
Nei secondi motivi aggiunti la società articola anche un motivo autonomo di doglianza per “3) Violazione e/o falsa applicazione di legge art. 97. Cost. eccesso di potere per illogicità errore in fatto e diritto contraddittorietà con precedenti provvedimenti e intrinseca, travisamento dei fatti e dei presupposti. Ingiustizia manifesta disparità di trattamento.”; tali profili di illegittimità si riferiscono al Decreto Direttoriale 0014060.25.02.2019 con riferimento al quale il vizio viene indicato nell’avere il MiSE operato un ingiustificato cambio di rotta rispetto al Decreto Direttoriale 58806.01.10.2018, nella parte in cui autorizza la liquidazione di un ulteriore 40 % dei contributi dovuti in dispregio della scelta precauzionale adottata nel precedete D.D. 2018 sull’errato presupposto dell’assenza di provvedimenti cautelari e per effetto di pressioni ricevute da alcune società creditrici.
Il vizio, ad avviso della società ricorrente, si palesa anche nel successivo Decreto Direttoriale 24080.09.2019 nel quale il Ministero, accortosi del precedente vizio si riserva la liquidazione del successivo 40 % all’esito dell’appello cautelare chiamato a decidere sull’impugnativa dell’ordinanza cautelare con la quale il TAR ha respinto la domanda di sospensione del DD 25.02.219.
Le considerazioni svolte nel merito del DD 25.02.2019 si estendono al decreto di approvazione della graduatoria definitiva 2017 “poichè il vizio originario lamentato è in grado di stravolgere significativamente l’intero sistema e meriterebbe di essere considerato dalla Pubblica Amministrazione con maggior cautela e rispetto attendendo il giudizio di merito” che (al momento della presentazione del gravame) era già stato fissato.
8. – Quindi, prodotti i documenti, le memorie difensive ex art. 73 c.p.a. e le note di replica dalle parti interessate, in data 4 dicembre 2019 la causa è stata discussa alla presenza, dei seguenti procuratori delle parti in giudizio: per la parte ricorrente gli Avv.ti (…, …), per BBB S.p.A. l’Avv. (…), per DDD gli Avv.ti (…, …, …), per CCC gli Avv.ti (…, …) e per le Amministrazioni resistenti l’Avvocato dello Stato Spina.
Terminata la discussione la causa è stata trattenuta in decisione.
9. – Prima di poter esaminare il merito del ricorso e dei motivi aggiunti è necessario l’esame dell’eccezione pregiudiziale sollevata dalla difesa erariale (vedi memoria per l’udienza del 4.1.2019) e da alcuni dei soggetti intervenuti “ad opponendum” (vedi, in particolare, la memoria CCC dep. 7.1.2019), secondo cui il ricorso sarebbe divenuto improcedibile per effetto della “legificazione” del regolamento contenuto nel decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 2017 n. 146 (oggetto dell’impugnazione), per effetto dell’art. 4-bis della legge 21 settembre 2018, n. 108, di conversione il D.L. 91/2018, che ha modificato l’art. 4 del d.P.R. impugnato, nei seguenti termini: “All’articolo 4, comma 2, ultimo periodo, del decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 2017, n. 146, recante il regolamento, da intendersi qui integralmente riportato, concernente i criteri di riparto tra i soggetti beneficiari e le procedure di erogazione delle risorse del Fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione in favore delle emittenti televisive e radiofoniche locali, in attuazione degli obiettivi di pubblico interesse di cui dall’articolo 1, comma 163, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, per l’assegnazione delle risorse del Fondo di cui all’articolo 1, comma 160, lettera b), della citata legge n. 208 del 2015, e successive modificazioni, destinate alle emittenti radiofoniche e televisive locali, al fine di estendere il regime transitorio anche all’anno 2019, dopo le parole: “alla data di presentazione della domanda” sono aggiunte le seguenti: «, mentre per le domande inerenti all’anno 2019 si prende in considerazione il numero medio di dipendenti occupati nell’esercizio precedente, fermo restando che il presente requisito dovrà essere posseduto anche all’atto della presentazione della domanda.».
La norma, secondo quanto eccepito dalla difesa erariale, avrebbe integralmente recepito il testo del d.P.R. con ciò denotando l’espressa volontà del legislatore di disciplinare con normativa di fonte primaria la materia relativa ai “criteri di riparto tra i soggetti beneficiari e le procedure di erogazione delle risorse del Fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione in favore delle emittenti televisive e radiofoniche locali”.
Di ciò sarebbe indicativo l’inciso “da qui intendersi integralmente riportato”, contenuto nel primo periodo dell’art. 4-bis in commento e riferito al regolamento al fine di determinare il suo innalzamento e il suo recepimento a livello della fonte primaria che lo richiama. A conferma di ciò viene anche citata la previsione contenuta al comma 1034 dell’art. 1 della Legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Legge di bilancio 2018) laddove prevede l’applicazione dei “criteri stabiliti dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 2017, n. 146”, per la formazione della particolare graduatoria dei soggetti abilitati quali fornitori di servizi di media audiovisivi in ambito locale, ai fini dell’utilizzazione della capacità trasmissiva di cui al comma 1033.
Da ciò consegue, secondo l’Amministrazione (e gli interventori ad opponendum), che, essendo intervenuta in corso di causa una modifica della natura della fonte regolamentare impugnata, che ne ha comportato la riqualificazione come fonte primaria, il gravame sarebbe divenuto improcedibile stante il difetto di potere giurisdizionale del Giudice adito rispetto al sindacato di legittimità su un atto (divenuto) legislativo.
Il Collegio non ritiene di poter accogliere l’eccezione di improcedibilità senza necessità, peraltro, di stabilire, se le disposizioni di legge citate (in particolare l’art. 4-bis del D.L. 25/07/2018, n. 91 inserito dalla legge di conversione) abbiano in effetti determinato l’innalzamento del regolamento al rango di fonte primaria, con conseguente “legificazione” del medesimo.
L’inserto introdotto dall’art. 4-bis, infatti, si inserisce nell’ultimo periodo del comma 2, dell’art. 4 del d.P.R. n. 146/2017, espressamente dedicato al periodo transitorio (2016-2019) di prima applicazione dei nuovi criteri di assegnazione dei punteggi. Il testo attuale del comma 2, ultimo periodo dell’art. 4, come modificato dall’art. 4-bis del D.L. n. 81/2018 (c.d. “Milleproroghe”) è dunque il seguente: “In via transitoria, per le domande relative agli anni dal 2016 al 2018 si prende in considerazione il numero dei dipendenti occupati alla data di presentazione della domanda, mentre per le domande inerenti all’anno 2019 si prende in considerazione il numero medio di dipendenti occupati nell’esercizio precedente, fermo restando che il presente requisito dovrà essere posseduto anche all’atto della presentazione della domanda.”. L’innovazione introdotta per via legislativa concerne dunque il solo anno 2019 atteso che, per gli anni anteriori e, segnatamente, per il 2016 che interessa nella specie, nulla è stato innovato rispetto al testo regolamentare originario (“In via transitoria, per le domande relative agli anni dal 2016 al 2018 si prende in considerazione il numero dei dipendenti occupati alla data di presentazione della domanda…”).
Deve dunque concludersi che la disposizione incisa “ex lege” si riferisce esclusivamente all’applicazione delle disposizioni del d.P.R. per l’anno 2019, in quanto l’art. 4-bis del “Milleproroghe” è volto a disciplinare, con disposizione a carattere transitorio, annualità diversa e successiva a quella per cui è causa e, dunque, non si applica “ratione temporis” alla fattispecie dedotta in giudizio che concerne l’annualità 2016.
L’esegesi che precede appare essere, peraltro, conforme al principio dell’interpretazione costituzionalmente orientata, ponendo, altrimenti, delle oggettive criticità un intervento di legificazione di norme regolamentari, incidente sui criteri di valutazione delle emittenti in concorso per l’anno 2016, entrato in vigore a graduatoria già approvata, dopo l’indicazione puntuale della generalità dei beneficiari e degli importi da ciascuno conseguiti, mentre erano pendenti vari ricorsi giurisdizionali presso questo TAR avverso la norma regolamentare e la graduatoria che era scaturita dalla applicazione di essa.
10. – Passando ora al merito del ricorso, il Collegio ne rileva l’infondatezza.
11. Con riguardo alla eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 1 comma 163 legge n. 208/05 in relazione all’art. 15, comma 2, della legge “costituzionale” n. 243/12 ed all’art. 76 Cost. per eccesso di delega (eccezione sollevata dalla società ricorrente nel ricorso introduttivo e reiterata in entrambi i ricorsi per motivi aggiunti proposti in successione), si osserva che, in primo luogo, poiché la legge 24/12/2012, n. 243 (“Disposizioni per l’attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell’articolo 81, sesto comma, della Costituzione”) è legge ordinaria dello Stato, l’art. 15, comma 2, della stessa non può assurgere a parametro di legittimità costituzionale di altra legge ordinaria quale è la Legge n. 208 del 2015 (Legge di bilancio per il 2016). Seppur è vero che la legge n. 243/2012, ai sensi dell’art. 1, comma 1, della legge stessa, “….costituisce attuazione dell’articolo 81, sesto comma, della Costituzione, come sostituito dalla legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1, e dell’articolo 5 della medesima legge costituzionale.” e, pertanto, può porsi in astratto quale parametro interposto che concorre ad integrare il parametro costituzionale, nella specie individuato nell’art. 81, comma 6, Cost.; è però altrettanto vero che, nel sollevare la sua eccezione di costituzionalità, parte ricorrente non specifica in alcun modo le ragioni per cui la Legge di bilancio 2016, attraverso l’ampia autorizzazione conferita al governo per la determinazione dei criteri di ripartizione del Fondo per il pluralismo radiotelevisivo, andrebbe a ledere l’art. 81 Cost. causando rischi per l’“equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni”, che è l’unico valore di rilevanza costituzionale che la norma mira a tutelare.
Sotto l’altro profilo di rilevanza costituzionale sollevato dalla ricorrente (indeterminatezza e genericità dei criteri e dei principi direttivi fissati dell’art. 1, comma 163 della Legge n. 208 del 2015), il Collegio osserva che il regolamento di cui al d.P.R. n. 146 del 2017 è stato emanato ai sensi dell’art. 17, comma 2, Legge n. 400 del 1988 secondo cui “2. Con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il Consiglio di Stato e previo parere delle Commissioni parlamentari competenti in materia, che si pronunciano entro trenta giorni dalla richiesta, sono emanati i regolamenti per la disciplina delle materie, non coperte da riserva assoluta di legge prevista dalla Costituzione, per le quali le leggi della Repubblica, autorizzando l’esercizio della potestà regolamentare del Governo, determinano le norme generali regolatrici della materia e dispongono l’abrogazione delle norme vigenti, con effetto dall’entrata in vigore delle norme regolamentari”. Ora, per quanto certamente ampia sia la “delega” conferita dal legislatore al Governo nella materia per cui è causa, non può affermarsi che siano assenti o indeterminati i principi e i criteri direttivi nella disposizione in commento, i quali, in realtà, sono delineati attraverso l’indicazione degli obbiettivi che la fonte secondaria deve necessariamente perseguire. Come visto, infatti, il comma 163 citato prevede che “[…] i criteri di riparto tra i soggetti beneficiari e le procedure di erogazione delle risorse del Fondo di cui alla lettera b) del comma 160, (siano, ndr) da assegnare in favore delle emittenti radiofoniche e televisive locali per la realizzazione di obiettivi di pubblico interesse, quali la promozione del pluralismo dell’informazione, il sostegno dell’occupazione nel settore, il miglioramento dei livelli qualitativi dei contenuti forniti e l’incentivazione dell’uso di tecnologie innovative.”. Gli obbiettivi esplicitati dal Legislatore appaiono in tal modo adeguatamente definiti in quanto possono fungere, all’occorrenza, da criteri alla luce dei quali valutare la conformità e l’adeguatezza della disciplina di fonte secondaria rispetto agli obbiettivi programmati.
In ogni caso parte ricorrente non allega sotto quali aspetti e perché le finalità elencate dal comma 163 non sarebbero parametri adeguati e sufficienti.
Le disposizioni aventi forza di legge censurate da controparte, infine, non manifestano alcun apprezzabile vizio di manifesta irragionevolezza.
Esse costituiscono il portato legittimo dell’attività di pianificazione censurato in riferimento a profili caratterizzati da ampia discrezionalità; discrezionalità che, nel caso di specie, appare correttamente esercitata, in quanto il criterio degli ascolti ha ottenuto una ponderazione ragionevole e proporzionata nell’ambito dei diversi parametri di valutativi per l’accesso ai contributi.
Va pertanto respinto il primo dei motivi di ricorso in quanto le questioni di costituzionalità ivi sollevate non posseggono il carattere della “non manifesta infondatezza”.
12. – Come si è visto le critiche svolte nel secondo motivo ruotano intorno al presunto carattere irragionevole e non conforme alle finalità fissate dall’art. 1, comma 163, della Legge 28.12.2015, n. 208 (vale a dire: pluralismo dell’informazione, sostegno dell’occupazione nel settore, miglioramento dei livelli qualitativi dei contenuti forniti e l’incentivazione dell’uso di tecnologie innovative) del carattere nazionale della graduatoria e del carattere assoluto degli elementi di attribuzione del punteggio, non accompagnati da alcun meccanismo perequativo “localistico” che tenga conto delle notevoli diversità demografiche ed economiche esistenti tra le diverse regioni italiane e, pertanto, tali da penalizzare proprio le regioni più piccole e meno popolose, costrette a competere con quelle di dimensioni non comparabili.
Invero la censura non convince in quanto, in realtà, il d.P.R. n. 146/2017 tiene conto della popolazione residente nelle diverse regioni con riguardo alla fase (prodromica rispetto a quella valutativa) di individuazione dei requisiti minimi che le emittenti debbono possedere per l’ammissione alla procedura, laddove prescrive, all’art. 4, comma 1, il possesso di un numero minimo di dipendenti (parametrato alla popolazione dell’ambito territoriale in cui opera l’emittente), secondo le seguenti tre fasce:
“1) pari ad almeno 14 dipendenti di cui almeno 4 giornalisti se il territorio nell’ambito di ciascuna regione per cui è stata presentata la domanda abbia più di 5 milioni di abitanti;
2) pari ad almeno 11 dipendenti di cui almeno 3 giornalisti se il territorio nell’ambito di ciascuna regione per cui è stata presentata la domanda abbia tra 1,5 e 5 milioni di abitanti;
3) pari ad almeno 8 dipendenti di cui almeno 2 giornalisti se il territorio nell’ambito di ciascuna regione per cui è stata presentata la domanda abbia fino a 1,5 milioni di abitanti;…”.
Tale criterio, nel richiedere, per l’ammissione alla procedura, il possesso di un numero maggiore di dipendenti ad un’emittente che operi in una regione maggiormente popolata e un numero più basso di dipendenti ad un’emittente che operi in una regione meno popolosa, sembra soddisfare il principio di proporzionalità e di non discriminazione tra tutti i soggetti partecipanti che siano attivi in regioni diverse, con diversi livelli di popolazione.
Peraltro va sempre rimarcato che la disposizione di legge (art. 1, comma 163, Legge n. 208/2015) che ha autorizzato l’adozione di un regolamento ex art. 17 Legge n. 400/1988, su proposta del MiSE, per la disciplina di criteri e procedure per l’attribuzione dei benefici economici in oggetto, lascia aperti ampi margini di discrezionalità in capo all’Amministrazione nella scelta di procedimenti e criteri per la ripartizione del Fondo per il pluralismo radiotelevisivo tra le diverse emittenti locali, limitandosi ad individuare le finalità (sopra più volte menzionate) a cui i contributi economici sono funzionali. Data l’ampia discrezionalità di cui l’Amministrazione è titolare, le norme regolamentari impugnate potrebbero ritenersi illegittime e meritevoli di annullamento soltanto ove vi sia una evidente incompatibilità tra le stesse ed i principi fissati dalla legge oppure una macroscopica illogicità ed irragionevolezza delle stesse rispetto allo scopo a cui sono dirette ovvero, più in generale, rispetto all’interesse pubblico.
Invero, dal tenore delle censure, non è dato comprendere per quale ragione i criteri di cui all’art. 6 e alle tabelle 1 e 2 del d.P.R. n. 146/2017 sarebbero in palese contrasto con gli obbiettivi del pluralismo dell’informazione, del sostegno dell’occupazione nel settore, del miglioramento dei livelli qualitativi dei contenuti forniti e dell’incentivazione dell’uso di tecnologie innovative.
La stessa “penalizzazione” delle emittenti operanti in ambiti regionali geograficamente meno popolosi – asseritamente collegata al calcolo dei dipendenti e dei dati Auditel, a livello assoluto e con graduatoria unica nazionale, in assenza di meccanismi diretti alla riparametrazione di essi in rapporto alla popolazione regionale – si è rivelata una petizione di principio ove si osservi l’esito concreto della graduatoria dedicata alle emittenti commerciali locali, nella quale diverse emittenti si sono piazzate tra le prime cento, pur essendo attive in contesti demograficamente svantaggiati (in rapporto alle più popolose regioni italiane).
Come evidenziato dalla difesa erariale ed emergente da un semplice esame della graduatoria definitiva per il 2016, l’emittente Videolina, pur operando nella regione Sardegna, regione che ha 1.653.135 abitanti (largamente inferiore a quello, ad esempio, della Lombardia, pari a 10.018.806) si è collocata al secondo posto assoluto; l’emittente TRM H24 che opera nella regione Basilicata si è collocata al 62esimo posto; le emittenti Trentino TV, RTTR, Video Bolzano 33, che operano nella regione Trentino Alto Adige si sono collocate rispettivamente al 59esimo, 73esimo e 82esimo posto; le emittenti Telequattro e Telefriuli, che operano nella regione Friuli Venezia Giulia, si sono collocate rispettivamente al 48esimo e 58esimo posto.
Ciò dimostra concretamente come i criteri di cui all’art. 6, lett. a), b) e c) del regolamento impugnato – basati, rispettivamente, su: numero medio di dipendenti, effettivamente applicati; numero medio di giornalisti dipendenti (professionisti, pubblicisti e praticanti); media ponderata dell’indice di ascolto medio giornaliero basato sui dati del biennio precedente e del numero dei contatti netti giornalieri mediati sui dati del biennio precedente, calcolata secondo quanto indicato nell’allegata tabella 1 – non comportavano a priori uno svantaggio competitivo per la ricorrente, se è vero che diverse emittenti operanti in regioni non popolose hanno raggiunto risultati di vertice.
L’obbiezione della ricorrente, invero, non considera che in Lombardia – per rimanere alla regione più frequentemente esemplificata in ricorso quale modello di contesto demografico regionale non comparabile con realtà quali il Molise o l’Abruzzo – il mercato dei programmi televisivi è conteso tra un numero di televisioni nettamente superiore a quello delle emittenti che operano, ad es., in Abruzzo (in Lombardia operano 45 televisioni, mentre in Abruzzo 5). Con la conseguenza che il conseguimento di buoni risultati in termini di audience può essere molto più arduo per una emittente lombarda che non per un’emittente abruzzese o del Molise, come peraltro indirettamente conferma la graduatoria approvata la quale ha sancito l’assegnazione di risorse anche in regioni di limitato livello demografico (quali Umbria, Trentino, Friuli e la stessa regione Abruzzo, dove vi sono state emittenti assegnatarie).
È la stessa Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, con la Delibera n. 41/17/CONS, in tema di “Individuazione dei mercati rilevanti nel settore dei servizi di media audiovisivi, ai sensi dell’articolo 43, comma 2, del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177 (fase 1)”, ad avere affermato che “le regioni con il maggior numero di fornitori di contenuti locali sono la Sicilia e la Campania, seguite dalla Lombardia, dalla Calabria e dal Lazio. Le regioni con il minor numero di soggetti sono la Sardegna, la Valle D’Aosta e il Molise” (All. A alla Delibera n. 41/17/CONS, pag. 34 e par. 137).
La stessa AGCOM ha dunque avuto modo di rilevare, seppur al di fuori del contesto normativo afferente alla presente causa, che, per ragioni di intuitiva evidenza, nelle regioni più popolose vi è una concorrenza, tra emittenti in competizione per dividersi lo “share”, nettamente superiore a quella che caratterizza le regioni meno popolose (quale quella ove opera l’odierna ricorrente); in presenza di una offerta nettamente superiore risulta dunque più difficile “fare audience” nelle regioni più popolose piuttosto che in quelle demograficamente meno rilevanti.
12. – Con riferimento ai dati Auditel, il Collegio rileva che le emittenti televisive commerciali non possono prescindere dalla rilevazione dei dati di ascolto per la stessa programmazione dei propri obbiettivi economici e strategici, in quanto operano in un mercato nel quale la remunerazione dell’attività dipende (anche) dalla vendita di spazi pubblicitari, il cui valore è direttamente proporzionale ai dati di ascolto.
Le emittenti che, in quanto “commerciali”, vogliono restare proficuamente nel mercato non possono prescindere dai ricavi pubblicitari (e, quindi, dai dati di ascolto) né confidare nel fatto che la sostenibilità del business sia unicamente garantita dagli incentivi statali, secondo un modello che il d.P.R. n. 146 del 2017 mira in modo evidente a superare.
Peraltro della “capacità delle imprese del settore di investire e di acquisire posizioni di mercato sostenibili nel tempo”, parla ora espressamente la Legge 26 ottobre 2016, n. 198 (“Istituzione del Fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione e deleghe al Governo per la ridefinizione della disciplina del sostegno pubblico per il settore dell’editoria e dell’emittenza radiofonica e televisiva locale, della disciplina di profili pensionistici dei giornalisti e della composizione e delle competenze del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti. Procedura per l’affidamento in concessione del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale”), la quale, a sua volta, si riferisce ai medesimi principi espressi dalla Legge n. 208/2015.
Quanto all’assenza di doverosità nell’attivazione del servizio Auditel (per il punteggio di “Area B” previsto dal d.P.R. impugnato, vedi Tabella 2), il Collegio osserva – in aggiunta a quanto poc’anzi esposto in merito alla imprescindibilità “nei fatti” dei dati di ascolto per ogni impresa televisiva che voglia continuare a stare nel mercato – che già nelle Linee Guida, pubblicate il 9 maggio 2016, a seguito di consultazione pubblica, era noto che gli indici di ascolto rilevati da Auditel sarebbero stati adottati dall’Amministrazione quali criteri di valutazione per la formazione della graduatoria rendendo. Pertanto i soggetti interessati erano stati già informati, fin dal maggio 2016, della futura adozione di nuovi criteri che avrebbero imposto l’onere della rilevazione dei dati auditel nell’interesse delle stesse emittenti, stante la rilevanza che sarebbe stata attribuita agli indici di ascolto. Tale informazione era stata diffusa tra gli operatori dall’Amministrazione circa un anno e mezzo prima dell’adozione del d.P.R. n. 146/2017 (pubbl. in G.U. n. 239 del 12.10.2017), il che rende non condivisibile la censura svolta con riguardo alla lesione dell’affidamento.
Va peraltro osservato che, in base a quanto eccepito dall’Amministrazione resistente (non contestata sul punto dalla ricorrente), l’onere economico per avvalersi del servizio Auditel comporta un costo contenuto per gli operatori (euro 3.500,00 annue circa), di regola sostenibile anche per le piccole aziende dell’emittenza locale.
Trattasi di ulteriore elemento che concorre ad escludere il carattere discriminatorio o irragionevole della previsione del “criterio auditel” di cui all’art. 6, lett. c) e Tabella n. 2 del d.P.R. impugnato. Peraltro giova rammentare che il rilevamento dati Auditel non costituisce un “unicum” contemplato dal d.P.R. citato in quanto è previsto anche in altri ambiti (anteriori alla normativa afferente al caso di specie), infatti: a mente dell’art. 6, comma 9 quinques del decreto legge 23 dicembre 2013, n. 145, i dati Auditel costituiscono uno dei criteri per formare la graduatoria dei soggetti legittimamente abilitati quali Fornitori di servizi di media audiovisivi (FSMA) a utilizzare la capacità trasmissiva a cui fa riferimento la disposizione stessa; – le graduatorie formate grazie anche al criterio di valutazione dei dati di ascolto sono poi utilizzate per l’assegnazione della numerazione LCN (acronimo di “logical channel number”) alle emittenti locali (sulla idoneità dei dati di ascolto a costituire un criterio valido per l’assegnazione della numerazione LCN cfr. anche Cons. St., Sez. III, 31 agosto 2012, n. 4658 che ha confermato TAR Lazio, Sez. III ter, n. 6901/2011).
Quanto, infine, all’attendibilità tecnica e all’imparzialità del rilevamento dei dati di ascolto, il Collegio si limita ad osservare che non sono stati segnalati da parte ricorrente specifici elementi (anche soltanto indiziari) da cui poter desumere possibili errori di stima. Va detto che i dati sono rilevati sulla base di una precisa metodologia la cui applicazione è soggetta alla vigilanza dell’AGCOM (cfr. la delibera n. 85/06/CSP, recante “Atto di indirizzo sulla rilevazione degli indici di ascolto e di diffusione”). In ogni caso il “criterio Auditel” ha un peso limitato (17% per l’anno 2016) rispetto al punteggio di “Area A” (in funzione della media di dipendenti e giornalisti dipendenti dell’azienda)
In definitiva, con il d.P.R. impugnato, la normativa secondaria ha inteso introdurre criteri diretti ad incrementare la qualità del servizio (attribuendo peso preponderante alla componente giornalisti e quindi all’informazione nella erogazione del servizio; ponendo altresì in primo piano i dati di ascolto, a testimonianza dell’interesse suscitato dalla trasmissioni presso gli utenti, e l’innovazione tecnologica ), in luogo dei precedenti criteri idonei a distribuire, come in passato, premi “a pioggia”.
Per tutto quanto precede, nessuna delle molteplici censure contenute nel secondo motivo di gravame merita accoglimento.
13. – In merito all’imparzialità dell’Auditel in relazione al ruolo che le viene assegnato dalla nuova normativa, il Collegio rileva che:
– i soci Auditel che sono operatori nazionali (RAI, Gruppo Mediaset, LaSette) non possono avere alcun interesse ad influenzare i dati di ascolto delle emittenti locali e a condizionare una graduatoria per la fruizione del Fondo per il pluralismo radiotelevisivo alla quale sono e restano estranei, in quanto operano in un mercato diverso da quello dell’emittenza locale (come conferma la delibera AGCom n. 41/17/CONS);
– nella composizione dell’Auditel vi sono, in ogni caso, le associazioni rappresentative dei diversi operatori e degli eterogenei interessi che si muovono a diversi livelli nel settore dell’emittenza radiotelevisiva e cioè: l’UPA – Utenti Pubblicità Associati (organismo associativo che riunisce le più importanti e prestigiose aziende industriali, commerciali e di servizi che investono in pubblicità e in comunicazione); l’ASSOCOM – Associazione Aziende di Comunicazione (che attualmente rappresenta 115 tra le più importanti imprese di comunicazione, nazionali e multinazionali, operanti in Italia); l’UNICOM – Unione Nazionale Imprese di Comunicazione (l’Associazione che attualmente raccoglie imprese operanti nei diversi rami della comunicazione: advertising, promozioni, direct marketing, pubbliche relazioni, sponsorizzazioni, web, brand image, packaging, centri media, etc.); la FIEG – Federazione Italiana Editori Giornali; la CRTV – Confindustria Radio Televisioni (associazione che riunisce in un solo soggetto le principali aziende radiotelevisive italiane: dal servizio pubblico agli operatori privati nazionali, alle piccole e medie imprese operanti sul territorio);
– in aggiunta a ciò, ulteriore elemento a garanzia dell’imparzialità dell’Ente va ravvisato nella circostanza che l’Auditel è sottoposta alla vigilanza dell’AGCom ed al rispetto delle previsioni della delibera della stessa Autorità n. 85/06/CSP, recante “Atto di indirizzo per la rilevazione degli indici di ascolto e di diffusione dei mezzi di comunicazione”; nella delibera, tra l’altro, è anche previsto che la compagine societaria dell’Auditel debba essere effettivamente rappresentativa dell’intero settore di riferimento;
– l’AUDITEL costituisce, dunque, una figura di “governance” che garantisce la terzietà rispetto ai destinatari della sua azione perché i suoi soci sono in (potenziale) conflitto di interessi tra di loro ed è proprio questa eterogeneità/conflittualità degli interessi “associati” che garantisce l’equilibrio degli opposti interessi.
A tutto ciò va ad aggiungersi che non sono stati allegati dalla ricorrente elementi probatori di sorta atti a rappresentare errori, lacune o carenze nei procedimenti seguiti dall’Auditel nella rilevazione dei dati di ascolto, sicchè le censure svolte in astratto sulla mancanza di imparzialità (in ogni caso non fondate, per quanto sopra esposto) e sulla violazione delle regole di concorrenza europee, non sono state accompagnate dall’allegazione di prove in ordine al fatto che l’Auditel abbia in qualche modo danneggiato la ricorrente.
Alla luce di quanto sopra argomentato va anche respinto il secondo motivo di gravame.
14. – Gli argomenti che precedono e che hanno condotto al rigetto del ricorso appaiono più che sufficienti anche ai fini della reiezione dei motivi aggiunti che, come esposto, sono in larga parte reiterativi delle medesime censure già svolte nel ricorso introduttivo, costituendo la graduatoria impugnata e le successive delibera sulla assegnazione delle somme in acconto, atti meramente applicativi delle norme regolamentari del d.P.R. n. 146/2017, oggetto del ricorso introduttivo.
Con specifico riguardo alla legittimità del Decreto per l’acconto 2016 il Collegio ritiene, altresì, di confermare la correttezza di quanto già statuito in sede cautelare nell’ambito dell’analogo giudizio introdotto da EEE S.r.l. (R.G. n. 12327/2017), con ordinanza del 5 aprile 2019, n. 2090, nella quale ha rilevato che: “il decreto ministeriale oggetto dei motivi aggiunti [ndr: Decreto acconto 2016], fornisce in realtà plurimi supporti alla determinazione di liberare parte delle risorse già accantonate, rinvenibili: – nel fisiologico allungamento dei tempi processuali di definizione dell’instaurato giudizio avverso il d.P.R. n. 146/2017; – nell’esistenza di una serie di iniziative assunte da alcune emittenti televisive controinteressate, al fine di ottenere l’erogazione dell’intero contributo dovuto e momentaneamente congelato, correlato all’obbligo previsto dall’art. 5, comma 7 del d.P.R. n. 146/2017 di corrispondere i contributi gravanti sul Fondo “in un’unica soluzione entro i successivi sessanta giorni”; – nella piena efficacia, finora mai sospesa, del d.P.R. n. 146/2017 e dell’obbligo di pagamento previsto dal citato art. 5, comma 7; – nel rischio di perenzione degli importi non spesi”.
15. – Per tutto quanto precede il ricorso è da respingere al pari dei motivi aggiunti.
Le spese del giudizio possono essere integralmente compensate tra tutte le parti in causa, stanti i molteplici profili di novità della controversia in cui vengono affrontate per la prima volta, in assenza di precedenti giurisprudenziali, questioni applicative relative alla nuova disciplina regolamentare della ripartizione del Fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione in favore delle emittenti televisive e radiofoniche locali.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso e sui motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, respinge sia il primo che i secondi.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 dicembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Vincenzo Blanda, Presidente FF
Achille Sinatra, Consigliere
Claudio Vallorani, Primo Referendario, Estensore
L’ESTENSORE
Claudio Vallorani
IL PRESIDENTE
Vincenzo Blanda
IL SEGRETARIO
(Pubblicato in data 03/03/2020)